Un baby criminale a Napoli. ACAB, la scritta tatuata, è l’acronomo di “All cops are bastard”,

Un baby criminale a Napoli. ACAB, la scritta tatuata, è l’acronomo di “All cops are bastard”, “Tutti i poliziotti sono bastardi”, e ha dato il titolo a un film di Stefano Sollima del 2012

Viaggio tra i ragazzi delle baby gang

Hanno fatto scalpore le aggressioni di Napoli. Ma in tutte le grandi città crescono per numero e ferocia i crimini commessi dai teenager. Che agiscono per emulare le fiction, per noia, per sentirsi invincibili. E sono la spia di un disagio che non si sconfigge solo con più poliziotti

Sono come piranha. Se ne incontri uno, in acqua, ti dà fastidio coi suoi dentini aguzzi. Ma se incroci il branco, allora sei morto. La Napoli di questi ultimi mesi è come una barchetta nel golfo infestato di pesci cattivi. Baby gang, bambini killer e criminali dalla faccia d’angelo stanno seminando il terrore lungo il 41esimo parallelo. Colpiscono nel mucchio. E così si sentono dio. «Oggi ho voglia di spaccare la faccia a qualcuno» dice un bullo a un amico poco prima di aggredire un 15enne e rompergli il naso, racconta un verbale della polizia. Un altro, fermato per aver accoltellato alla coscia un coetaneo, prova a giustificarsi col giudice: «Odiamo i ragazzi ricchi». Ma loro non sono poveri, e non vengono da famiglie povere; almeno non tutti. Sono il prodotto di una miscela esplosiva di fattori: bassa scolarità, degrado sociale e familiare, disoccupazione, tossicodipendenza. Una miscela che in città è rimasta a bollire sul fuoco dell’indifferenza per tanto, troppo tempo.

Aumentano i minorenni affidati ai servizi sociali

I nuovi spauracchi dei napoletani sono ragazzini dai 13 ai 19 anni che hanno deciso di fare del male al prossimo. Agiscono tanto in periferia (Scampia, Chiaiano, Ponticelli) quanto nel salotto buono (Chiaia, Vomero), sicuri che nessuno farà loro nulla. Arturo, a 17 anni, è vivo per miracolo. Mentre camminava per via Foria, in pieno centro, è finito nel mirino di una banda. Qualche spintone e poi i fendenti. Uno alla giugulare non l’ha lasciato dissanguato a terra, come fanno i jihadisti a Mosul o a Raqqa, solo per pochi millimetri. Sono criminali che vivono una vita con il piede schiacciato sull’acceleratore. Accecati dal mito dell’arricchimento facile, dell’esibizione del potere, della notorietà nel vicolo. Guardano ai personaggi delle fiction Narcos o Gomorra come modelli criminali a cui ispirarsi. Un giovane è stato picchiato utilizzando come tirapugni il cinturino di un orologio, proprio come in una scena cult della serie che vedeva protagonista Genny Savastano. «Il problema Gomorra esiste e non va sottovalutato» osserva il procuratore Paolo Mancuso, memoria storica dell’anticamorra partenopea. «Si tratta di un cattivo esempio, soprattutto se a guardarlo sono bambini di nemmeno 10 anni». Dello stesso parere il questore di Napoli, Antonio De Iesu, che ha parlato di «stili di vita gomorroidi».

È diventata una sorta di “moda”

I ragazzi vestono tutti allo stesso modo: felpe col cappuccio su jeans o pantaloni della tuta, e scarpe comode. Chi di loro è già organico ai clan si fa tatuare il cognome del boss del rione o la classica tigre con le fauci spalancate; chi ha costituito la “batteria” con pochi amici preferisce la parola “hermano”, fratello. Giovani in cerca di emozioni forti e soldi facili, per i quali il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha proposto l’estensione del tempo pieno a scuola, almeno nelle aree più degradate. Il suo collega dell’Interno Marco Minniti ha invece inviato a Napoli rinforzi per 100 uomini tra carabinieri e polizia: spalmati su un’area metropolitana di 3 milioni di abitanti, sono una goccia nell’oceano. «Puntiamo sullo sport e sulla rieducazione» propone Raffaele Marrone, presidente dei giovani imprenditori di Confapi Napoli. «Non si può risolvere tutto militarizzando la città o abbassando l’età imputabile (ora è 14 anni, ndr). È necessario recuperare il valore dell’apprendistato. Se i ragazzi stanno in bottega, non stanno in strada». Quando sono in strada, peraltro, classificare tutti i loro reati è impossibile perché molti episodi non vengono neppure denunciati. Quel che è certo è che i minorenni italiani seguiti dai servizi sociali a causa di episodi di reato nel 2016 sono stati 21.848, in aumento del 6,4% rispetto all’anno precedente. Le ragazze sono il 12,2%.

Si moltiplicano i raid a sfondo razziale

La panoramica è la stessa nel resto d’Italia: «I delitti commessi dai minori che entrano in carcere» scrive ancora l’Istat nell’ultima relazione sulla giustizia «sono principalmente contro il patrimonio o la persona, o violazioni delle leggi in materia di stupefacenti». Ecco perché fermarsi a Napoli significherebbe raccontare solo una parte della realtà. La verità è che negli ultimi tempi gli episodi attribuiti alle baby gang si sono moltiplicati un po’ dappertutto. Ma se a Napoli i ragazzini colpiscono sia per rapinare la vittima di turno sia per pura esibizione di forza, in altre realtà come Roma o Torino prevale la seconda motivazione, con una matrice quasi sempre razziale. Giovanissimi italiani che picchiano ragazzi di colore, e viceversa. A Milano, invece, la tendenza è quella dell’aggressione predatoria o vandalistica: la questura ha appena identificato i 39 componenti, tutti minorenni, del gruppo che il 24 dicembre scorso aveva distrutto due vagoni della metropolitana. Ma i raid di questo tipo, così come i reati legati al piccolo spaccio da parte degli under 18, sono stati 19 solo negli ultimi 2 mesi. Senza contare i furti e le aggressioni, dove sempre più spesso nelle mani dei ragazzi compare un coltello. Non a caso, un’altra indagine che ha portato all’arresto di 4 minorenni è stata ribattezzata dalla polizia Arancia Meccanica, come il film a cui si ispiravano. A ciascuno la sua Gomorra, insomma.

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