Marian Donner scrittrice e giornalista
Non un canone estetico a cui adeguarsi, né un ideale di perfezione a cui tendere. È la libertà di essere se stessi. E il coraggio di comprendere gli altri per ciò che sono. Come spiegano qui i nostri speciali contributor
Giovanni De Sandre
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Daniela Lucangeli docente di Psicologia dello sviluppo, autrice di A mente accesa – Crescere e far crescere (Mondadori)

«Per trovare e accendere la bellezza nella mente dei bambini bisogna abbassarsi, guardarli negli occhi e sorridere. Me lo ha insegnato Alessandro, 7 anni e mezzo. Questo per iniziare. Poi bisogna avere consapevolezza del proprio ruolo di insegnanti, educatori o genitori. Cosa vuol dire? Significa vedere che il tutto vale di più della somma delle parti. Se nel bambino che fa errori a scuola, che si comporta male, che mi mette in ansia, considero solo la somma delle sue caratteristiche disfunzionali, non mi rendo conto che essere lì, a sua disposizione, vuol dire rappresentare la sua opportunità. Il mio intervento può determinare un cambiamento radicale in lui. E anche in me. Se riesco a trasformare la sua vulnerabilità, diventeremo più forti entrambi. È questa la “bellezza accesa” di cui parlo nel mio libro: saper vedere con lo sguardo allargato, non fissarsi sulla minuzia della fatica quotidiana, ma trovare l’alleanza e la reciprocità in quella fatica. Io aiuto te che risolvi me. È un’architettura straordinaria. Persino il Covid ce lo ricorda: il respiro dell’altro è talmente connesso a me che il suo bene o la sua malattia possono diventare i miei». M.D.I.

Maurits Giesen
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Marian Donner scrittrice e giornalista olandese. Il suo ultimo libro è Manuale di autodistruzione (il Saggiatore)
«Se il mondo continua a dirti che non sei abbastanza bravo, sano, liscio, in forma, produttivo, positivo o zen, è ora di chiedersi cosa diavolo c’è che non va nel mondo. Il sottolitolo del mio libro, Perché dobbiamo bere, sanguinare, ballare e amare di più, è una metafora. Ma rende l’idea del mio pensiero: stiamo creando una società di robot, in cui bisogna essere sempre al meglio, lavorare tantissimo, apparire perfetti. Il mondo umano al contrario è incasinato, sporco. È un mondo dove abbiamo difetti, invecchiamo, commettiamo errori. Nelle pubblicità, nei libri, nei film ci dicono di essere sempre la nostra versione migliore, perché avere successo dipende da noi. E se falliamo è colpa nostra. Non è così. Ci sono un sacco di motivi per cui una persona può fallire: dal contesto socio-economico in cui si nasce alla fortuna. Non se ne parla mai. Oggi si discute di quanto sia importante mangiare sano, mantenersi in forma, fare yoga o mindfulness se si è stressati. C’è una pressione enorme sull’aspetto fisico, dettata anche dai social come Instagram, che sta modificando la realtà. Elly Hunt in un articolo dello scorso anno su The Guardian parlava di “selfie dysmorphia”: persone che si rivolgono al chirurgo plastico per assomigliare ai propri selfie. Non è assurdo? Il risultato è che ci sentiamo sempre più in colpa e infelici se non raggiungiamo il successo. Ma essere umani significa proprio non riuscire a realizzare i propri sogni, a centrare i propri obiettivi, perché a volte le cose vanno in modo differente da come pensavamo. Significa non cercare di essere perfetti come un robot, accettare il casino. Significa fallire, la vita stessa è un bellissimo fallimento». I.F.

Julian Hargreaves
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Paola Turci, cantante

«La bellezza è un’azione quotidiana, un lavoro sull’autostima, per avere un rapporto sereno con se stessi e con il prossimo. Ci ho messo tempo ad accettarmi, sia prima sia dopo la cicatrice. Ma ho capito che i segni che porto in viso rappresentano la mia storia, la mia forza, la mia diversità: la mia unicità. A lungo ho preferito nascondermi. Ma oggi, di fronte a quella cicatrice, mi sento più forte».


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Ingrid Paoletti docente di Materiali e tecnologie al Politecnico di Milano

«La parola cura ha la stessa radice di curiosità. La domanda “Come stai?” è il primo segno di interesse. Io sono convinta che questa apertura al mondo ci torni indietro sotto forma di bellezza: non a caso nell’antichità il concetto di bello era inscindibile da quello di buono e giusto. In architettura il valore estetico non può prescindere dal “buono”, ovvero il rispetto dell’ambiente e della storia di un luogo, e dal “giusto”, cioè la scelta di materiali sostenibili e la responsabilità di ciò che ne sarà del nostro intervento nel futuro. In questo senso la bellezza ha una capacità trasformativa, che facilita l’interazione e riesce a coinvolgere tutti, a prescindere dal genere, dalla razza, dalle inclinazioni politiche, dalla classe sociale. Coltivare la bellezza è possibile solo se lo si fa insieme: inseguire il bello vuol dire prendersi cura del bene comune». E.V.


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Vera Gheno sociolinguista, docente universitaria, conduce con Carlo Cianetti Linguacce su Radio1Rai

«Non esistono parole belle o brutte a priori, ma parole più o meno adatte a un certo contesto. Siamo abituati a parlare di inclusione, ma questo concetto andrebbe “sfidato”. Inclusività e tolleranza presuppongono l’esistenza di una parte maggioritaria di persone che stabiliscono cosa sia giusto e cosa sbagliato e, in un momento di generosità, decidono di includere coloro che non corrispondono al canone definito. Gli attivisti dell’inclusività che cercano di cambiare le cose “da dentro” – persone con disabilità, omosessuali, neri – stanno portando avanti un pensiero che superi tutto questo. Fabrizio Acanfora, autistico che lavora per la valorizzazione degli autistici nella società, dice: “Smettiamola di parlare di inclusività, iniziamo a parlare di convivenza con le differenze”. Sembra lapalissiano, non lo è: noi esseri umani tendiamo a vedere le differenze come estranee, nemiche. Una reazione che risale al nostro passato animale ma che viene superata grazie all’educazione. L’evoluzionista Telmo Pievani spiega che la stimolazione culturale e cognitiva permette al nostro cervello di evolvere. Anche se la nostra prima reazione è di perplessità, la differenza è ciò che ci permette di crescere. E, nell’ambito della bellezza, vuol dire abbracciare tutte le bellezze possibili». I.F.

Daniele Testa
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Geppy Cucciari, attrice e conduttrice

«Ci vuole più coraggio ed energia per cambiare ciò che non si ama di sé o più sicurezza e forza nel portare a spasso le proprie caratteristiche viranti al difetto che noi stesse vediamo a occhio, se non nudo, quantomeno vestito poco? Ma forse c’è una cosa che conta più del girovita, ed è la vita stessa. Tutte ci vediamo anche con gli occhi di chi abbiamo intorno. Uno sguardo storto, un commento fuori luogo sui social… Facciamo pulizia nel fantastico condominio che è la nostra anima. C’è posto per tutti, ma rivediamo i criteri di selezione all’ingresso. Chi ti ama non ti segua, bensì ti affianchi, ti prenda per mano e ti accompagni dove vuoi».


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Francesca Vecchioni, presidente di Diversity. Ha appena pubblicato Pregiudizi inconsapevoli (Mondadori)

«La libertà è la consapevolezza delle nostre potenzialità e dei nostri limiti. Perché i limiti ci danno la misura delle potenzialità, ci rendono capaci di affrontare la vita. Riuscire a esprimere quello che sono e che sento senza paura è un atto di libertà. E di bellezza. Non sempre è facile: esistono le aspettative degli altri, l’ansia di dover dimostrare qualcosa, il timore di essere giudicati. E i pregiudizi: scorciatoie che, di fronte alla mole di informazioni con cui veniamo in contatto, prendiamo per orientarci nella complessità della realtà. A priori. Siamo portati a dare più valore ai nostri simili – meccanismo agevolato dai social che ci fanno restare nelle nostre “bolle”, con chi la pensa allo stesso modo – e così facciamo più fatica a capire chi è diverso da noi. Ma unire due idee uguali non ci porta a una somma reale. Ciò che ci fa evolvere è la capacità di mettere insieme due idee differenti. Se comprendiamo che i pregiudizi esistono, e che li attiviamo anche noi, riusciamo a comprendere gli altri». I.F.

Daniele Testa
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Michela Murgia, scrittrice, autrice di Morgana

«La bellezza è una questione comunitaria: cosa sia bello o no lo impariamo dagli altri, spesso a nostre spese. Non è un passaggio evitabile, perché nessuno è bello da solo: a definire la bellezza sono le dinamiche di riconoscimento che siamo capaci di creare. Fuori dalla relazione con gli altri, essere belli non ha alcuna importanza. Come si fa a non cascare nella trappola triste di dividere il mondo in belli e brutti? Educando lo sguardo perché cerchi la differenza che stupisce, invece dell’omologazione che conferma».

Contrasto
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– Stefania Auci, scrittrice, autrice di I leoni di Sicilia

«La bellezza è la capacità di essere e di vivere nel proprio equilibrio interiore. È una sorta di ricerca dell’armonia e la ricerca dell’armonia è qualcosa che appartiene al cammino personale di ognuno di noi. Per questo non può essere legata a uno schema».

Hanno collaborato Laura Badaracchi, Annarita Briganti, Elisabetta Colangelo, Silvia Gianatti

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