Tornare a studiare dopo i 50 anni

Per passione, per trovare nuove opportunità di lavoro o per stare al passo con i tempi (e i nipoti). Come, dove e perché tornare a studiare da over 50

Arrivare a 50-60 anni e rimettersi in gioco è sempre più frequente. Se una volta questo traguardo significava l’inizio di una vita meno attiva, oggi più che mai questa è diventata l’età in cui potersi dedicare a passioni trascurate a causa degli impegni familiari e lavorativi. Accanto agli hobby più tradizionali, però, si fa strada la voglia di ricominciare a studiare. Secondo un recente sondaggio 1 italiano su 4 torna a riprendere in mano i libri, iscrivendosi alle università della Terza Età o agli atenei tradizionali. Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur), negli ultimi 10 anni gli over 60 iscritti agli atenei italiani sono aumentati del 50%. Oltre un terzo è rappresentato da donne. Ma non solo. Sono tanti anche gli adulti over 50 che si iscrivono ai corsi serali per conseguire il diplomasecondo i dati Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa), dal 2009 al 2015 oltre 2 milioni di studenti adulti si sono iscritti a circa 130.000 corsi serali.

Chi torna a studiare

Iscriversi all’università a 50-60 anni e oltre non è più un tabù. La frequenza degli atenei italiani, infatti, non prevede alcun limite di età e così capita sempre più spesso che accanto a 20enni freschi di diploma di maturità ci siano anche “matricole” più attempate: donne e uomini che seguono le lezioni, studiano e si presentano agli esami, con il sogno di raggiungere la laurea. Dall’anno accademico 2007/2008 al 2016/2017 il numero di iscritti con più di 60 anni nelle università italiane è infatti passato da 2.431 a 3.639. Di questi il 34% è rappresentato da donne (10 anni fa erano il 26%).

Quasi la metà dei nuovi iscritti in età più avanzata segue corsi universitari di area sociale (48%), circa un terzo preferisce quella umanistica (34%), mentre sono meno coloro che scelgono l’area scientifica (16%) e sanitaria (2%), che prevedono iter formativi molto più lunghi, obbligo di frequenza, tirocini, e meno adatti a chi non vuole intraprendere la specifica professione mediso-sanitaria.

Perché tornare a studiare?

C’è chi lo fa per tenersi al passo con i cambiamenti sociali, e soprattutto tecnologici e informatici, in modo da poter mantenere maggiori occasioni di dialogo e confronto con figli e nipoti; chi invece per mantenere il cervello in allenamento, chi per semplice passatempo e chi per passione. Ma non mancano coloro che tornano a studiare anche per “necessità” lavorative: “Per me si è trattato di una vera esigenza professionale: sono una grafologa e criminologa, e mi occupo di psicologia della scrittura, non solo per le perizie tecniche in  Tribunale” spiega a Donna Moderna Marilena Cremaschini, quasi 50enne, una laurea in legge e diversi master in criminologia. “I miei titoli non mi bastavano più, perché come libera professionista ho bisogno di avere un’ulteriore qualifica. Per questo sono tornata all’università per laurearmi in psicologia clinica” aggiunge Cremaschini.

“La mia passione nel campo della criminologia e dello studio della grafia mi ha portata a coltivare nuovi interessi e ora sento la necessità di completare la mia formazione, senza più bisogno di demandare una parte del lavoro ad altri” aggiunge la grafologa, che lavora come counselor presso scuole e altri enti: “Oltre alle consulenze per il Tribunale di Brescia, vengo chiamata dagli istituti scolastici per effettuare valutazioni sugli studenti, il loro rendimento scolastico e le loro attitudini. Per le aziende, invece, la mia professione è importante per la gestione e conoscenza del personale, sia nella fase dell’assunzione che nel mantenimento e nella scelta dell’inquadramento dei dipendenti nell’ambito più adatto” spiega Cremaschini che è anche Coach Life e in questa veste esorta le donne a “buttarsi, a osare e cimentarsi con gli studi universitari che appassionano, perché non è mai troppo tardi neppure per reinventarsi un lavoro“.

I corsi serali

Per chi volesse completare la propria formazione culturale, magari raggiungendo il diploma di maturità che non ha conseguire perché entrato presto nel mondo del lavoro, esiste anche la possibilità di frequentare appositi corsi serali riconosciuti dal MIUR. Dal 2015 sono stati attivati i cosiddetti Centri provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA), che hanno sostituito i vecchi Centri territoriali per l’Educazione degli Adulti e gli ex corsi serali. Qui vengono svolti percorsi di primo livello (per ottenere il diploma di scuola media) e di secondo livello (diploma di maturità). Per entrambi occorre avere almeno 18 anni. Questo tipo di corsi è particolarmente seguito: secondo i dati Indire dal 2009 al 2015 oltre 2 milioni di studenti adulti si sono iscritti a circa 130.000 corsi serali. Di questi in un solo anno i pensionati sono stati circa 200 mila (dati 2015).

Le lezioni sono organizzate presso scuole superiori, in coordinamento con Province e Città metropolitane e le iscrizioni vengono effettuate ogni anno entro il 31 maggio (in caso di ritardo non oltre il 15 ottobre), come stabilito dal MIUR. Moltissimi gli indirizzi. A Milano, ad esempio, sono stati organizzati corsi serali a indirizzo figurativo presso il Liceo Boccioni, informatici al Mattei di Rho, o ancora di agraria agli istituti Pareto del capoluogo e Argentia di Gorgonzola: offrono la possibilità di una formazione ai ragazzi over 18 in questo settore, ma sono rivolti anche agli adulti che vogliano rimettersi in gioco, magari aprendo un’azienda agricola.

Numerosi in tutta Italia sono poi i corsi di lingue straniere, che permettono di ampliare le proprie conoscenze e avviare percorsi professionali che prevedano anche contatti con l’estero, come al CPIA di Pisa, dove si studiano inglese, spagnolo e tedesco dal livello A1 ai livelli superiori. A Napoli, invece, l’istituto superiore De Sanctis organizza percorsi di formazione nell’ambito commerciale e dei servizi turistici, l’istituto Romanò per operatori dell’abbigliamento e della moda e nel settore odontotecnico. Molte anche le offerte formative in ambio tecnico-elettronico, del marketing e dell’enogastronomia.

Gli studenti adulti possono così arricchire le proprie competenze e trovare nuovi sbocchi lavorativi, ad esempio presso cooperative sociali, fondazioni socio-culturali, enti pubblici e strutture private. Tutti i corsi si concludono con l’esame di Stato e il rilascio del diploma, legalmente riconosciuto dal MIUR.

Università della Terza Età

Tra le over 50 e 60 che tornano a studiare, molte lo fanno per coltivare una passione che le esigenze lavorative e familiari avevano costretto ad accantonare. Per chi non si sentisse di iscriversi ad un ateneo tradizionale, esiste la possibilità di frequentare le Università della Terza Età. Sono gestite dalle Regioni, che hanno competenza in questo settore e le sostengono con appositi fondi. Il loro costo, dunque, è molto più accessibile: “Non prevedono tasse universitarie spesso proibitive, ma una semplice iscrizione annuale, che dà diritto a seguire diversi corsi in vari ambiti” spiega Giovanna Fralonardo, Presidente di Federuni, che raggruppa oltre 3000 università della Terza Età in tutta Italia.

“Qualcuno non le chiama più neppure così, ma Università del Tempo Libero. Alcune hanno taglio più socializzante, per favorire relazioni e contatti tra persone che sono uscite dal mondo del lavoro o che vi sono ancora, altre invece hanno una vocazione più culturale. Noi puntiamo proprio su questo secondo aspetto: i docenti sono tutti laureati, tengono lezioni come volontari e si affiancano ad esperti di diverse materie. Da noi insegnano anche tirocinanti universitari, questo favorisce contatti e scambio anche tra generazioni differenti. I corsi spaziano dalla letteratura, alle lingue straniere, passando per quelli di musica e arti manuali” aggiunge Fralonardo.

Come funzionano le Università della Terza Età

“Un tempo esisteva un’età minima di accesso alle Università della Terza Età, fissata in 40 anni, ma oggi questa barriera non c’è più: si possono iscrivere tutti, dai 20 ai 99 anni” spiega la Presidente di Federuni, che aggiunge: “In media l’80% dei frequentatori è donna, contro un 20% di uomini. Nelle regioni del nord le percentuali cambiano un po’: in genere c’è un 65% di presenza femminile e un 35% di quella maschile. I corsi sono solitamente pomeridiani o serali, ma non mancano lezioni al mattino, dove si può usufruire di spazi disponibili, come aule di istituti superiori che non siano occupate dai ragazzi. Le università della Terza Età, infatti, possono essere promosse da diverse realtà: sindacati, circoli o altri enti”.

La competenza è regionale, ma Federuni ha presentato, lo scorso novembre, una proposta di legge per istituzionalizzare questi enti di formazione e cultura, in modo da uniformarli e prevedere anche appositi contributi statali.

Cosa si studia alle Università della Terza Età

A differenza delle università tradizionali, per accedere a quelle della terza età non è necessario essere in possesso di alcun diploma di scuola superiore né di licenza media. “L’iscrizione prevede un contributo annuo molto contenuto, pari a circa 50/70 euro al centro e al sud, che dà diritto a seguire le diverse attività proposte. In qualche caso al nord i singoli corsi hanno un costo” spiega Fralonardo.

“Non sono previsti esami o verifiche” aggiunge la Presidente di Federuni. È sufficiente la frequenza, al termine della quale viene rilasciato un attestato, che non ha valore legale. Per i corsi di tipo manuale e artistico, invece, sono spesso organizzati eventi dare la possibilità, ad esempio, di esporre i propri quadri al termine di un corso di pittura, o di esibirsi in concerto per chi segue corsi di musica.

Rimettersi a studiare da adulti: i benefici

“Con l’aumento dell’età pensionistica, queste università raccolgono non solo persone che sono uscite dal mondo del lavoro, ma anche coloro che sono ancora in attività, ma desiderano coltivare una passione o integrare le proprie conoscenze. I benefici sono molti, a partire dal fatto di tenere in allenamento il cervello” dice Fralonardo.

Una ricerca della Denise Park University di Dallas, in Texas (Usa), pubblicata su Phycological Service, ha dimostrato come imparare cose nuove contribuisca a contrastare l’invecchiamento del cervello e migliorare le prestazioni cognitive. In particolare, cimentarsi in attività nuove è fondamentale per mantenere in esercizio la mente. I ricercatori americani hanno monitorato 221 adulti di età compresa tra i 60 e i 90 anni per 3 mesi, chiedendo loro di impegnarsi in un’attività per almeno 15 ore alla settimane. Ad un gruppo è stato chiesto di tenersi occupati con pratiche poco impegnative a livello mnemonico, come ascoltare la musica a casa o dedicarsi a cruciverba e rebus. A un altro gruppo sono stati proposti concerti a teatro, viaggi e gite, mentre ad un terzo è stato chiesto di dedicarsi a nuove occupazioni e mansioni, che richiedevano uno sforzo maggiore di memoria, come la fotografia digitale. Al termine del periodo di analisi, gli appartenenti a quest’ultimo gruppo hanno mostrato di avere miglioramenti sensibili nella memoria rispetto agli altri due.

Laurearsi dopo i 40 anni: i corsi migliori

VEDI ANCHE

Laurearsi dopo i 40 anni: i corsi migliori

Vuoi un lavoro a 50 anni?

VEDI ANCHE

Vuoi un lavoro a 50 anni?

Riproduzione riservata