Lorenzo Sisto (Giò) e Francesco Gheghi (Giacomo preadolescente) in una scena del film Mio frat

Lorenzo Sisto (Giò) e Francesco Gheghi (Giacomo preadolescente) in una scena del film Mio fratello rincorre i dinosauri diretto da Stefano Cipani

Crescere con un fratello con la sindrome di Down

Com’è crescere accanto a un bambino con la sindrome  di Down? Lo racconta il film Mio fratello rincorre i dinosauri, nelle sale dal 5 settembre, tratto dal libro di Giacomo Mazzariol. E lo spiegano gli esperti qui

«Questa è la storia mia e di mio fratello Giovanni, che ha un cromosoma in più». Così scrive Giacomo Mazzariol in Mio fratello rincorre i dinosauri (Einaudi), un libro accolto con entusiasmo quando uscì nel 2016 e che ora è diventato un film di Stefano Cipani con Alessandro Gassmann, Isabella Ragonese, Lorenzo Sisto e Rossy De Palma.

Il libro e il film

La pellicola arriva nelle sale il 5 settembre dopo la premiére alla Mostra del Cinema di Venezia e racconta, per chi non avesse letto il romanzo, della nascita del fratellino Giovanni, che ha la sindrome di Down, e della sua crescita vista attraverso gli occhi di Giacomo, più grande di 6 anni. Un percorso particolare, unico, perché narra di come un adolescente che frequenta le medie si rapporta con un fratello con una disabilità, di come affronta certe problematiche in un momento per lui critico di crescita, di quali difficoltà incontra per farsi accettare dagli altri e darsi un’identità.

Una relazione speciale

Una relazione speciale che dura per sempre. Giacomo oggi ha 22 anni, ha pubblicato un altro romanzo e scrive sceneggiature per la tv e il cinema. Per Mio fratello rincorre i dinosauri ha lavorato alla stesura del soggetto al fianco di Fabio Bonifacci per 2 anni e mezzo. Raccontare la sua storia gli ha cambiato la vita. Quando uscì il libro, sull’onda di un video diventato virale in cui Giacomo faceva finta di fare un colloquio di lavoro al fratellino Giò, l’autore aveva 19 anni ed era appena uscito dalle tempeste dell’adolescenza: «Per trovare un’identità di cui non vergognarsi, a quell’età i ragazzi o scaricano le colpe su altri o le nascondono. Io racconto quello che ho vissuto tramite Giò, i pregiudizi che ci circondavano, il fatto di dovergli stare dietro. Poi ho capito che a lui non riesci a stare dietro, per quanto figo è».

I “siblings”, i fratelli dei bimbi con disabilità

Del rapporto con un fratello o una sorella disabile si è occupato Andrea Dondi, psicologo e psicoterapeuta in Siblings. Crescere fratelli e sorelle di bambini con disabilità (Edizioni San Paolo). «I “siblings”, così vengono chiamati i fratelli dei bambini disabili, rispetto ai loro coetanei acquisiscono un maggiore livello di maturità, di empatia, pazienza e tolleranza». Un rapporto che dura tutta la vita e che dipende molto anche da come e quanto questi ragazzi vengono supportati nel loro percorso, spiega Dondi. «I miei mi hanno lasciato la libertà di sbagliare e di prendere le sberle dal mondo» puntualizza Mazzariol. «Così mi sono reso conto che non era Giò che non riuscivo ad accettare, ma me stesso, come persona. Insomma ero io che sbagliavo».

Come crescono i “siblings”

Un percorso emotivo pieno di imprevisti. Si acquistano superpoteri? Forse sì. «I ragazzi che vivono al fianco della disabilità hanno una maggiore resilienza, una capacità di recuperare superiore agli altri» spiega lo psicoterapeuta Dondi. Aspetti che aiutano a superare i momenti di difficoltà. «È vero, ci sono i sensi di colpa, la frustrazione di non riuscire, a volte, a ottenere o fare quello che vogliono». Soprattutto se riguarda degli adolescenti che scalpitano. La lista delle priorità, poi, nella famiglia viene rivista. È un rapporto che fa crescere ma anche pieno di imprevisti. «La strada con un fratello con la sindrome di Down è fatta di salite con cui fare i conti, di scorciatoie, di aspettative mancate e di sorprese positive. Imparare ad accettare l’altro per quello che è, fare spazio per la diversità senza resistere, senza opporsi, senza giudicarla, è un allenamento a cui i fratelli di persone con disabilità si sottopongono fin da piccoli» spiega Martina Fuga, scrittrice e responsabile delle campagne internazionali di Coordown, il Coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con sindrome di Down.


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Lorenzo Sisto (Giò), in una scena del film diretto da Stefano Cipani


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Una palestra di vita

Ma è un rapporto davvero così diverso? «La nostra esperienza come associazioni ci dice che i fratelli e le sorelle non lo vivono tutti allo stesso modo: c’è chi la subisce con molto dolore, chi è troppo responsabilizzato dai genitori e chi minimizza perché non ha ancora accettato» spiega Fuga. «Ogni esperienza è diversa. Un fratello è la prima palestra di vita, con o senza la sindrome di Down: insieme si impara a stare al mondo, si impara a costruire relazioni, si impara che le cose sono diverse da come sembrano. Si allenano i muscoli alla vita e lo si fa con gioie e dolori, con giochi e dispetti, con delusioni e sorprese. Avere un fratello con la sindrome di Down dovrebbe essere semplicemente avere un fratello, con cui giocare o litigare, un fratello da amare, un fratello che può contare su di te e un fratello su cui contare indipendentemente dalle sue difficoltà». Proprio come la storia di Giacomo e Giò.

Giacomo Mazzariol, autore del libro da cui è tratto il film, oggi 22enne

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