Lasciar piangere il neonato: ecco perché fa male alla sua salute

È opinione piuttosto diffusa che lasciar piangere il proprio bebè possa essere un metodo educativo efficace. Eppure quei pianti non ascoltati, per il neonato, potrebbero essere davvero dannosi

“Piangi, piangi. Non verrà comunque nessuno in tuo aiuto.” Ecco il brutale messaggio che viene trasmesso a un neonato quando si decide di non ascoltarne il pianto.
Per molti neonati i momenti legati alla nanna sono fonte di notevole stress in quanto i loro genitori decidono deliberatamente di ignorarne pianti e richieste affettive, con il fine di insegnare loro l’autonomia del sonno e con la convinzione che “qualche lacrima” non possa essere poi così dannosa.
Eppure, quelle lacrime, per un piccolo di pochi mesi altro non sono che parole, richieste, esternazioni di disagio. Il pianto è l’unico linguaggio possibile per un bebè. Infatti, ignorare la voce del proprio bambino può portare ad alzare notevolmente il suo livello di stress, con possibili conseguenze fino all’età adulta!

Il neonato piange? Non sono capricci!

“Sono solo capricci, imparerà a calmarsi da solo”. “Qualche lacrima non può certo far male”.
Questi pensieri, riferiti ai neonati, sono piuttosto comuni in diverse case.
Per molti genitori infatti lasciar piangere il proprio bebè vuole essere una tecnica educativa tesa ad insegnargli ad auto-calmarsi e a trovare la via del sonno autonomamente.
Si tratta di un metodo, definito “risposta ritardata”, messo a punto dal Dott. Richard Ferber – neurologo e pediatra dell’Università di Harvard e presso l’ospedale pediatrico di Boston –  che prevede di lasciar piangere il proprio bambino per periodi di tempo via via sempre più lunghi, fino a quando il piccolo non avrà imparato ad “arrendersi” e ad addormentarsi velocemente.

Non è noto esattamente cosa accada in un bambino così piccolo quando viene lasciato piangere ininterrottamente. Eppure una cosa è certa: il livello di stress in una situazione simile diventa decisamente alto, sostenerlo e adattarvisi per un neonato non è cosa semplice. Per questo le conseguenze psicofisiche potrebbero essere importanti e manifestarsi anche ben oltre i primi mesi di vita, durante la crescita del bambino.

I neonati ci “parlano” attraverso il pianto

Un piccolo di pochi mesi è in tutto e per tutto dipendente dai propri genitori. Non ha modo di avanzare richieste o di agire autonomamente per soddisfarle.
L’unico modo che ha per comunicare qualcosa è il pianto, attraverso il quale esprime fame, disagio o semplicemente bisogno di coccole e calore.
Ignorare il pianto di un neonato significa dunque non ascoltare un’esplicita richiesta d’aiuto e far crescere dentro di lui la convinzione di non avere nessuno su cui poter contare, di non poter soddisfare il proprio bisogno, di essere solo.

Continuando a piangere, il piccolo non potrà che sentirsi impotente e trarre la conclusione di doversela comunque “sbrigare” per conto proprio. Ovviamente col tempo il pianto cesserà, ma sarà solo un segno di resa.
A risentirne, inutile dirlo, potrebbe essere innanzitutto il futuro legame tra il bambino e i propri genitori.

Questo disagio inoltre innescherà un preciso meccanismo dentro il neonato: il livello di ormoni dello stress si alzerà notevolmente con possibili ripercussioni sul sistema nervoso centrale.
In tal caso le conseguenze negative potrebbero essere molteplici e di differenti entità e arrivare a influenzare persino la crescita del bambino o manifestarsi in età adulta.
Problemi affettivi, ansia e sintomi depressivi infatti sono solo alcuni dei possibili problemi riconducibili alla mancanza di ascolto e affetto per un piccolo da parte dei propri genitori.

Una situazione dannosa per tutta la famiglia

Non solo il neonato, anche i novelli genitori vengono messi a dura prova da questo metodo.
Restare impassibili di fronte al pianto del proprio piccolo non è certo cosa facile: non intervenire spesso è estenuante e richiede una dose di autocontrollo extra difficile da trovare.
Il livello di stress si alza dunque notevolmente anche per mamma e papà e questo rischia di innescare circoli viziosi decisamente poco costruttivi e salutari per tutti i membri della famiglia. Se i genitori sono calmi infatti, molto verosimilmente riusciranno a trasmettere serenità e pace anche al bambino.

La natura stessa spinge un genitore a rispondere al pianto del proprio piccolo, ecco perché forse si tratta della reazione più giusta. Ascoltare nel profondo il proprio istinto genitoriale dunque potrebbe essere la chiave per intervenire nel modo migliore, sia per il proprio bambino che per sé stessi.

Coccole e calore: la formula vincente per calmare i neonati

A spiegare molto chiaramente il ruolo fondamentale che giocano le coccole e il contatto fisico tra genitori e neonato è la Dottoressa Fabienne Becker-Stoll – direttrice dell’Istituto di Pedagogia infantile della Baviera – che in un’intervista a SZ – famoso quotidiano tedesco – specifica che: “I bambini hanno bisogno di calore fisico su cui poter contare, al fine di soddisfare i loro bisogni psicologici elementari e di far diminuire lo stress. È solo in questo modo che possono costruire un legame saldo con i genitori e poi con le persone intorno a loro”.

Non solo, anche uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’ Università statunitense di Notre-Dame è stato in grado di confermare quanto il tocco amorevole dei genitori possa influire positivamente sullo sviluppo psicofisico dei bambini fino all’età adulta.
Su un campione di 600 adulti è stato osservato infatti come, chi ha potuto beneficiare nella propria infanzia di una buona dose affettiva, risulti più sano, meno incline a manifestazioni depressive e maggiormente empatico.

Ecco quindi svelata la formula perfetta per una crescita serena: ascolto, calore umano e tanto affetto.
Perché le conferme d’amore di mamma e papà sono da sempre il modo migliore per diventare grandi con il sorriso!

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