Manuela Ulivi

Manuela Ulivi: più giustizia per tutte

Presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano, Manuela Ulivi da 32 anni è al fianco delle vittime di violenza. «Metà delle denunce finisce nel vuoto. Servono protezione e prevenzione»

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Chi è Manuela Ulivi

«Il violento ti isola, ti controlla, ti tiene sempre in allerta. È come se ti desse il veleno goccia a goccia, vuol far morire le tue aspettative, la gioia, le relazioni, ti corteggia e ti manipola. Ricordo un’amica dirigente di una grande società di moda che un giorno mi chiese di vederci alle 17 in punto per parlarmi. Alle 17,30 era già in agitazione perché il marito sapeva che finiva di lavorare a quell’ora e controllava quanto tempo ci metteva a tornare a casa. Ma come si fa a vivere così? È inaccettabile». Sei pagine di curriculum potrebbero intimidire chiunque, ma la carica umana di Manuela Ulivi, presidente della Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano (cadmi.org) e battagliera avvocata civilista («Non avvocatessa, per carità! Sembra uno sfottò» dice ridendo), è fuori discussione. Fin dalle prime battute di questa intervista dove la cronaca ha preso il sopravvento sul racconto personale.

I numeri dei femminicidi

Sull’onda dell’omicidio di Giulia Tramontano a Senago, il governo ha approvato un disegno di legge con nuove misure per rafforzare il Codice rosso. Dal braccialetto elettronico in via cautelare per l’uomo violento alla distanza minima di 500 metri dalla vittima, dall’arresto in flagranza differita alla priorità per i processi di violenza domestica. Provvedimenti che vorrebbero arginare un fenomeno che pare inarrestabile. Secondo i dati del Viminale, tra gennaio e maggio 2023 ci sono già stati 45 femminicidi, di cui 37 in ambito familiare e affettivo. Storie di donne in pericolo come le centinaia difese dall’avvocata Ulivi, 62 anni, dal 2011 alla guida della Cadmi, mantovana “milanesizzata” da bambina («ma il legame con la mia terra, il dialetto e i tortelli di zucca è ancora forte») e tra le vincitrici del #ProudToBeGiovina Awards 2023 promosso da Cristalfarma.

Come ha iniziato Manuela Ulivi

Laureata in Giurisprudenza, sposata e mamma di «un giovane e sensibile uomo», a 15 anni scopre una passione per i collettivi politici studenteschi, che frequenta prendendo un tram direzione Giambellino «sentendomi sempre al sicuro: oggi invece c’è un po’ di imbarbarimento in città, l’abbiamo detto al sindaco che deve prendere una posizione decisa non solo quando c’è un caso di stupro. Milano è una città che ti abbraccia e ti accoglie, un luogo dove è possibile realizzare i propri progetti, ma è anche osmotica e imbruttita». La sliding door che devia la sua carriera dal diritto del lavoro arriva durante la Guerra del Golfo nel 1991, dopo un incontro con un’attivista che le propone di visitare il primo centro antiviolenza in Italia, fondato nel 1986 dall’Unione donne italiane. «Non ero mai entrata nei luoghi del femminismo, ho trovato un gruppo di persone toste che avevano tanti desideri e ci ho messo dentro anche il mio: sono ancora qui dopo 32 anni».

A che punto siamo

La violenza domestica era già un tema caldo quando ha iniziato?

«Era un tema che ancora non emergeva. Quando raccontavo agli amici che andavo alla Casa delle donne maltrattate c’era sempre la battuta: “Eh ma anche noi uomini lo siamo!”. Solo nel 1993 l’Onu iniziò a prendere alcuni provvedimenti su questo tipo di reati. In Italia la prima legge specifica è del 2013, l’ex ministro dell’Interno Angelino Alfano la sponsorizzò proprio sull’onda dell’emotività di delitti che avevano colpito l’opinione pubblica aggravando le pene e disponendo un ammonimento in caso di “reati sentinella”, senza però obbligare i compagni ad allontanarsi da casa. Cosa ne è stato? Poco: è nato il protocollo Zeus della Polizia di Stato con lo scopo di intercettare le situazioni a rischio, ma nei centri antiviolenza non sono diminuiti gli accessi».

Quali sono le nuove leggi e perché non bastano

Come giudica questo nuovo disegno di legge?

«Hanno disposto l’obbligo del braccialetto elettronico, peccato che a noi le procure dicano che non ne hanno più… I politici utilizzano sempre il tema per propaganda, riconoscere la violenza è invece un fatto complesso, ci vogliono meno panchine rosse e più interventi nelle scuole, per esempio. Dobbiamo parlare di sessualità ai giovani senza paura dei genitori che si inalberano e poi non controllano se i figli vanno sui siti dove consumano visivamente tanto sesso in modo prestazionale e brutale. Formiamo gli insegnanti, finanziamo meglio i centri di aiuto, applichiamo le leggi. L’Italia è stata già condannata 7 volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo perché non in linea con la Convenzione di Istanbul del 2011 e tutto quello che prevede rispetto alla normativa delle tre “p”: politiche integrate, protezione, prevenzione».

Il lavoro di Manuela Ulivi

Le capita ancora di rispondere al centralino per dare sostegno?

«Sì, ogni tanto mi piace mettere di nuovo “le mani in pasta” (ride, ndr). Il primo giorno che la Casa aprì il call center erano tutte nel panico, c’era inesperienza; oggi siamo preparatissime e guai se non abbiamo una consulente d’accoglienza con un corso di formazione di 3 o 6 mesi alle spalle e un tirocinio lungo per verificare se è adatta a farlo. Capita spesso che ai Cav, i centri antiviolenza, si presentino donne in cerca di riscatto dei loro vissuti, e non c’è niente di peggio perché poi si immedesimano. Dobbiamo valutare molto bene le candidature».

Chi sono gli uomini violenti oggi

Trent’anni fa si immaginava di dover ancora oggi proteggere le donne?

«Non guardavo così lontano, ero concentrata sul presente, e mi sembrava già inaccettabile scoprire che la violenza domestica accadeva in contesti normali. Si pensava che colpisse in ambiti di degrado, povertà, miseria e sottocultura, invece il centralino scoperchiava un mondo dove anche la collega di studio poteva essere in pericolo, era trasversale, colpiva persino le magistrate. Oggi sempre più giovani donne ci chiedono aiuto pur non subendo più la ruolizzazione classica del femminile volto alla cura di figli e mariti, hanno tutte le informazioni del caso eppure entrano lo stesso nel ciclo della violenza. Penso che ci sia stata una forte reazione maschile alla maggiore libertà femminile, con uomini che vogliono dominare e bloccare le scelte di vita e le aspirazioni delle compagne».

Perché è sempre colpa nostra?

L’omicidio di Giulia Tramontano è stato particolarmente feroce.

«È un omicidio scioccante che colpisce per assenza di sentimento e di empatia. E l’invito della procuratrice aggiunta Letizia Mannella, incaricata del caso, di non andare mai all’ultimo appuntamento è stato fuori luogo perché punta ancora il dito contro le donne. Ma si può pensare di vivere in un mondo in cui qualcuno ci può aggredire fino alla morte? Abbiamo ricordato alla procuratrice che le donne subiscono violenze tutti i giorni e la giustizia non sempre le tutela. Quando una coppia ha dei figli, i litigi si trasformano in aperte conflittualità. Sa quante archiviazioni ci sono sulla motivazione di pregiudizi nei confronti delle compagne perché magari potrebbero accusare gli ex in modo strumentale? Su 1.500 denunce, 800 finiscono in niente ogni anno. Troppe».

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