4 donne ti raccontano la loro storia di violenza

Gli anni di maltrattamenti, il coraggio di chiedere aiuto, il desiderio di ricominciare, l’orgoglio per i passi compiuti. Quattro donne, vittime degli abusi dei compagni, raccontano la loro storia. Anche in video

Testo e foto di Linda Dorigo

«Oggi vivo in una casa protetta con i miei figli e ho iniziato a lavorare nello studio di un commercialista come tirocinante». Giulia, 37 anni, laureata in Economia, ha perso il suo posto di commessa in nero in un negozio di abbigliamento a inizio marzo. Stessa sorte è capitata al marito, imbianchino, che nella convivenza forzata ha esasperato la sua aggressività verso la moglie. «Le violenze erano iniziate ben prima della pandemia, ma con il lockdown la mia vita è diventata un inferno. Lui aveva problemi con l’alcol, però non lo ammetteva: quando era ubriaco – e accadeva spesso – perdeva i nervi, alzava le mani. Io ero sempre a cucinare e pulire, con in braccio mia figlia di 3 anni; lui si sedeva in terrazzo, giocava col cellulare e ogni giorno si scolava almeno 12 birre. Non ne potevo più delle sue minacce: “Troia, non vali niente, la mia ex non aveva figli ma era una madre migliore di te”».

Il 7 marzo Giulia è finita in ospedale con una contusione alla testa. Il 27 aprile, dopo l’ennesimo litigio finito a calci e pugni, ha chiamato l’ambulanza e dall’ospedale è scattata la denuncia per maltrattamenti. «Tre pattuglie hanno accompagnato me e mia figlia al centro antiviolenza. Lì ho colto l’opportunità di iniziare una nuova vita e, piano piano, di inseguire anche i miei sogni».

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Con la pandemia, la violenza dentro le case è aumentata in maniera esponenziale

La storia di Giulia è comune a tante donne che durante lo scorso lockdown si sono trovate chiuse in casa con i loro aguzzini, senza via d’uscita. L’Istat ha messo a confronto le chiamate al numero verde 1522 tra marzo e giugno 2020 e quelle dello stesso periodo del 2019: dopo un calo nelle prime 3 settimane, sono più che raddoppiate (+119,6%); e sono aumentate anche le richieste di aiuto via chat, passando dalle 417 del 2019 alle 2.666 del 2020.

Alla luce delle nuove restrizioni, il 25 novembre, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, assume una valenza ancora più significativa e urgente, perché mette all’ordine del giorno l’elaborazione del nuovo Piano Nazionale Antiviolenza per il 2021-2023 (vedi sotto).


Il nuovo piano nazionale deve essere approvato entro fine anno. La ministra per le pari opportunità Elena Bonetti ha promesso altri 28 milioni di euro


Un report della ong ActionAid, Tra retorica e realtà, ha monitorato i fondi statali e regionali del precedente piano in scadenza a fine 2020 – in totale 132 milioni di euro – e ha osservato che i centri antiviolenza ricevono i finanziamenti solo in parte e con notevole ritardo. Risultato: l’Italia non ha ancora un sistema di interventi capace di incidere sulla cultura sessista che produce la violenza di genere né di fornire un supporto adeguato alle donne che di quella cultura sono vittime.

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Come Francesca, 42 anni: per 13 ha subito maltrattamenti da parte del suo ex, che minacciava di togliersi la vita davanti ai loro 2 figli. «Si è messo la cintura intorno al collo dicendo “Non vivo senza di te”. Io non riuscivo a reagire, ero costretta a trovare i soldi per i suoi debiti tra i miei risparmi e quelli per i bambini. Alla fine è stato condannato per truffa, ma a farmi rinascere è stato un po’ di sano egoismo. Oggi guardo il mondo da una nuova prospettiva, quella della mia bicicletta: pedalo per chilometri e mi sento finalmente felice. Quando ripenso ai poliziotti che hanno raccolto la mia denuncia – “Signora, ma chi è lei per dire a quest’uomo che non deve tornare a casa?” – mi chiedo: per quanto ancora non saremo credute?».

Guarda il video con la testimonianza di Francesca:

I finanziamenti destinati a rendere efficaci le condanne sono troppo pochi

Secondo il report di ActionAid, le risorse del Piano 2017-2020 non sono state sufficienti a coprire le 4 azioni fondamentali previste dalla Convenzione di Istanbul sulla lotta alla violenza contro le donne del 2011, ratificata dall’Italia nel 2013: prevenire, proteggere, perseguire, punire. Pochissimi fondi sono stati destinati alle ultime 2, fondamentali per migliorare l’efficacia dei procedimenti giudiziari e per ridurre il rischio di letalità e recidiva.

Ne è testimonianza la storia di Lorenza, 48 anni, che quando si è ammalata di tumore al seno si è sentita urlare «Muori, bastarda, neppure il cancro ti vuole» dall’ex compagno, un collaboratore di giustizia che faceva il muratore in nero, con il vizio del gioco d’azzardo. «Non ho mai smesso di lavorare, neppure quando mi sono ammalata» racconta. «Ma proprio la malattia mi ha spalancato gli occhi su quello che stava succedendo. Le strade erano 2: continuare a essere il suo bancomat o andarmene. Quando ho avuto il coraggio di chiamare il centro antiviolenza, ho lasciato un messaggio in segreteria – “credo di aver bisogno di aiuto” – e sono scoppiata a piangere».

Guarda il video con la testimonianza di Lorenza:

Il percorso di rinascita di Lorenza è iniziato 1 anno fa, quando se ne è andata di casa e ha denunciato l’ex. «Ma lui mi aspettava fuori dal lavoro e un giorno si è appostato fuori dalla scuola di mio figlio urlando: “Giuro su Dio che ti ammazzo”. Alla fine ha patteggiato, ma dei 13 mesi di reclusione ha fatto solo un giorno ed è andato agli arresti domiciliari perché giudicato non compatibile con la carcerazione».

Per proteggersi Lorenza ha comprato il salvavita collegato al 112, ha cambiato impiego e amicizie e ha preso casa davanti alla caserma dei carabinieri. Ma qualche mese fa l’ex ha scoperto dove lavora ed è andato sotto il suo ufficio. «“Le ha fatto qualcosa?” mi ha chiesto il poliziotto quando ho segnalato l’accaduto. “Finché non fa niente…”. E quando lo farà? La violenza sulle donne non è un fatto privato. Ma oggi che la mia storia non è ancora finita riesco comunque a guardarmi indietro e a essere orgogliosa dei passi compiuti».

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I centri antiviolenza continuano a lavorare anche quando finiscono i fondi

I motori del sistema territoriale di contrasto agli abusi sono stati spesso costretti a sospendere gli stipendi delle operatrici, a usufruire del lavoro volontario per garantire un adeguato supporto alle donne accolte e, come accaduto durante il primo lockdown, ad attuare gli ennesimi atti di resilienza. Tra scarsità di mascherine e impossibilità di accedere ai tamponi, la mancanza di spazi adeguati per l’accoglienza in emergenza resta il problema più urgente.

Nonostante la circolare inviata a marzo dal ministero dell’Interno alle Prefetture per rendere disponibili alloggi alternativi, i centri sono stati costretti a ricorrere a bed&breakfast o appartamenti messi a disposizione da conoscenti e privati. «L’epidemia ci ha dato tante lezioni che non vanno dimenticate, prima tra tutte il ruolo essenziale dei centri nel sostegno alle donne» osserva Isabella Orfano, esperta del programma Diritti delle donne di ActionAid. «Hanno dimostrato una grande capacità di adattamento nel reinventare un modello di approccio e intervento rapido, che però non può funzionare se non supportato in maniera adeguata».


I centri e le case rifugio hanno un ruolo essenziale nel sostegno alle donne. Ma per svolgerlo hanno bisogno di ricevere i fondi con rapidità e velocità


Sulla necessità di nuovi fondi si è espressa anche la ministra per le Pari opportunità Elena Bonetti, che ha promesso un nuovo bando nazionale attraverso il quale saranno distribuiti alle Regioni 28 milioni di euro.

Quanto siano importanti queste strutture lo dimostra la storia di Erica, 29 anni. Dopo 5 anni di calvario, in cui gli assistenti sociali «mi facevano sentire come la matrigna di Biancaneve», si è rivolta a un centro per ottenere l’affido della figlia. «Il mio ex era spigliato, io invece non riuscivo mai a trovare le parole giuste. Durante i colloqui aveva sempre la meglio e gli assistenti sociali mettevano in dubbio le mie parole. “Ma non ti fidi di lui?” mi dicevano. Tu ti fideresti di chi ti ha presa a pugni in faccia e obbligata ad avere rapporti sessuali? Ho detto basta e sono andata al centro che mi ha indirizzata a un avvocato. Loro mi hanno davvero aiutata a trovare il coraggio di affrontare la situazione. Il mio ex è stato condannato, sono tra le fortunate che hanno vinto la battaglia contro la violenza. Occorre denunciare per sé stesse, per rifiorire, perché una vita nella violenza è una vita buttata via».

Guarda il video con la testimonianza di Erica:

IL PROGETTO
L’autrice dell’articolo, Linda Dorigo, è una dei 2 vincitori italiani del finanziamento dello European Journalism Fund e dell’organizzazione Hostwriter, grazie ai quali ha realizzato un’inchiesta sulla violenza domestica durante la pandemia.

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Cos’è il Piano Nazionale Antiviolenza

Il Piano Nazionale Antiviolenza è un documento elaborato dal Dipartimento delle Pari opportunità e adottato dal Consiglio dei ministri, a partire dal 2010, con cui il governo realizza la strategia nazionale per prevenire e contrastare la violenza di genere, trasferendo fondi alle Regioni per l’attuazione sul territorio.

A causa dell’iter burocratico, però, i centri antiviolenza ricevono i finanziamenti con enormi ritardi, che ne mettono a rischio la sopravvivenza. Due esempi su tutti: nel 2019 le Regioni hanno erogato solo il 10% dei finanziamenti annui previsti e il governo non ha ancora emesso un decreto per la ripartizione dei fondi 2020.

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