Colloqui di lavoro sala attesa

Il reddito di cittadinanza non aiuta a trovare lavoro

Chi riceve il sostegno economico introdotto un anno fa, in molti casi resta disoccupato. Colpa di un meccanismo che non funziona al meglio, ma anche di convinzioni sbagliate. Come l’idea che le raccomandazioni siano più utili dei corsi di aggiornamento

Tanti assegni, pochi posti di lavoro. A guardare i numeri, il reddito di cittadinanza si è fermato alla fase uno, quella assistenziale che distribuisce bonifici agli italiani che ne hanno bisogno. Ma non ha mai attuato pienamente la due, quella più ambiziosa e lungimirante che promette di aiutare i beneficiari a formarsi e trovare un nuovo lavoro.

Secondo gli ultimi dati Inps, a poco più di un anno dalla introduzione di questo sostegno economico, ci sono circa 1,1 milioni di famiglie che ricevono un assegno mensile, per un totale di 2,8 milioni di italiani. I beneficiari che possono essere collocabili sul mercato del lavoro sono soprattutto 35-45 enni con basse qualifiche professionali, disoccupati da tempo o attivi sporadicamente con contratti a termine.

Secondo i dati dell’Anpal, l’agenzia del ministero, solo una metà avrebbe sottoscritto il Patto per il lavoro. L’altra non ha iniziato quel percorso con cui il beneficiario viene affiancato dagli operatori, che tracciano un primo bilancio delle sue competenze professionali e gli consigliano la strada da seguire, che sia un corso di formazione o un’offerta di lavoro. E se parliamo di un impiego attualmente solo 100.000 ne hanno uno. Nella maggior parte dei casi l’avrebbero trovato da soli, senza un aiuto concreto da parte dei Centri per l’impiego, dell’attesissima App lavoro o dei famosi navigator. «Il meccanismo non funziona come dovrebbe, ma i dati di questo primo anno hanno evidenziato anche gli errori commessi dai disoccupati e le lacune che possono colmare nella ricerca del lavoro» spiega Francesco Giubileo, ricercatore e consulente delle politiche per il lavoro che quei dati li ha analizzati.

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L’importanza della riqualificazione professionale

Un problema è proprio quello dell’autopercezione: ancora prima della pandemia, in pochi hanno chiesto di intraprendere un percorso di formazione. O un progetto di accompagnamento al lavoro. «La maggior parte di loro è convinta di non aver bisogno di aggiornarsi e di possedere tutte le competenze necessarie. Peccato che appena l’11% dichiari di aver fatto un colloquio negli ultimi mesi».

Il consiglio che vale per tutti, ma che è ancora più strategico se si è più in là con gli anni, è quello di riqualificarsi all’interno di un mercato del lavoro che cambia continuamente. Un buono strumento sono proprio i corsi di formazione che vengono consigliati dai Centri per l’impiego. «Hanno una durata che può variare ma vengono tutti organizzati da enti formativi accreditati al ministero del Lavoro e pagati coi fondi sociali europei. Tra i più diffusi quelli di inglese, informatica o contabilità» continua Giubileo. Quello per operatori socio-sanitari, per esempio, ha avuto uno straordinario successo occupazionale.

L’indice migliore per capire la validità di un corso naturalmente è il tasso occupazionale delle persone che lo hanno frequentato. «Purtroppo questo dato in Italia spesso non è disponibile, però si può ricostruire parlando con chi ha già frequentato le lezioni. In generale, se ci riferiamo a un pubblico non più giovane, un buon risultato è il 10%». Tradotto significa che a un anno dalla frequenza del corso, almeno 10 persone su 100 hanno trovato un’occupazione.

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Bisogna studiare le strategie migliori per farsi trovare

Una volta che si è lavorato su di sé per essere “attraenti” nell’attuale mercato del lavoro, bisogna studiare le strategie migliori per farsi trovare. È in questa fase che, secondo le ricerche, emergono altre 2 debolezze del meccanismo del reddito di cittadinanza: «Oggi spesso ci si scontra con l’inadeguatezza della formazione dei 3.000 navigator (le figure assunte per guidare i disoccupati nella ricerca di nuove opportunità professionali, ndr) e l’irrilevanza della piattaforma» continua l’esperto.

La famosa App lavoro che dovrebbe mettere in comunicazione aziende e disoccupati è ancora in fase di sviluppo, in ritardo sulla tabella di marcia. E sulla piattaforma MyAnpal, costata già 100 milioni di euro, da almeno un anno è presente un applicativo “Domanda e offerta di lavoro”. «Ma le offerte caricate sono appena 2.500. E i dati dicono che di queste solo una su 10 si è concretizzata in un’assunzione» spiega Giubileo.

Il consiglio, nell’attesa, è di puntare su altri portali. «Le piattaforme da cui si può partire sono InfoJobs o Indeed» consiglia il consulente. «Ospitano la maggior parte degli annunci e tante offerte di qualifiche generiche, più adatte per i disoccupati con un livello di formazione basso. Basta evitare la tentazione di caricare il curriculum su tutti i portali e poi sparire. In generale a vincere sono la cura e la perseveranza».

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Gli italiani non sono bravi nel cercare lavoro

Purtroppo noi italiani siamo meno bravi rispetto ai nostri colleghi europei nel cercare lavoro. Il sistema ancora molto diffuso della classica raccomandazione chiesta ad amici, parenti e conoscenti poteva funzionare fino a pochi anni fa, quando il mercato era più locale e le professioni più generiche. Oggi anche le piccole imprese hanno bisogno di persone qualificate, che non riescono a trovare tramite il passaparola.

«Molto meglio fare networking in maniera intelligente sui social, chiedendo a vecchi fornitori o ex-colleghi la segnalazione di annunci utili» continua Giubileo. «Facebook è forse il social più adatto per chi cerca un’attività manuale a bassa qualifica. Consiglio di iscriversi ai gruppi cittadini e di quartiere, quelli con nomi come “Sei di Milano se” o “Cerco e offro lavoro in Lombardia” e monitorare le notifiche: si possono trovare annunci postati da utenti privati che sono alla ricerca di figure come commessi, camerieri o badanti».

E Linkedin? «Inviare richieste di collegamento agli sconosciuti o messaggi privati al responsabile delle risorse umane di un’azienda è il miglior modo per farsi scartare. La carta vincente è seguire gruppi coerenti con la propria professione. Su tutti i social a essere premiato è chi interagisce quotidianamente con gli altri. Esempio banalissimo: sei un parrucchiere a domicilio? Più che mandare mille Cv “a pioggia” fatti notare su Instagram: apri un tuo canale e posta con costanza le foto delle tue creazioni e dei tuoi tagli».

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Reddito e pensione di cittadinanza: numeri in aumento

A luglio i beneficiari di reddito e pensione di cittadinanza hanno superato i 3 milioni. Secondo l’ultimo rapporto Inps, sono in aumento del 17% rispetto a gennaio 2020, complice anche l’effetto della pandemia e della quarantena. L’importo medio ricevuto è di 561,23 euro al mese.

I “case manager” che funzionano all’estero

I navigator italiani sono un esercito di 3.000 professionisti chiamati ad assistere i beneficiari del reddito di cittadinanza nella ricerca di una nuova occupazione. Il problema, sottolineano gli esperti, è che sono quasi tutti laureati in Giurisprudenza. Conoscono benissimo le norme e la burocrazia, ma sono poco competenti su altre materie.

All’estero, invece, vengono chiamati “case manager” e sono professionisti che hanno completato un percorso di studi specifico. Sono esperti in management pubblico, hanno competenze specifiche in pedagogia sociale, nella gestione del mercato del lavoro, nelle risorse umane e in psicologia. E sì, sono molto efficienti.

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