Quando scrivo di fiori, cerco di narrare storie felici di bellezza e bontà, ma a volte non ce la faccio -la rabbia sale- e ahimè sento il bisogno di partire dalla fine della racconto, che da favola bucolica si sta velocemente trasformando in triste realtà: i papaveri, insieme ai compagni fiordaliso e a molte specie selvatiche, stanno scomparendo a causa dell’uso massiccio di pesticidi e diserbanti. (Uno studio inglese afferma che nel Regno Unito negli ultimi 100 anni è scomparso il 97% dei fiori di campo e in Italia non penso la situazione sia molto diversa).
Sì, proprio così. Un fiore robusto, accondiscendente, parco e autosufficiente (oltre che buono e bellissimo) sta scomparendo a causa nostra: chi di voi si ricorda i campi di grano tempestati di rosso per tutta l’estate? Se siete della mia generazione, tenetevi stretti questo ricordo perché tra qualche anno sarà tutto ciò che ci rimarrà. Come si racconterà lo spettacolo mozzafiato di questo rosso generoso ai bambini?
Amare il papavero, (non solo) per il rosso scarlatto

Se non fosse per la criticità che vi ho appena raccontato, direi senza ombra di dubbio che il papavero comune o rosolaccio (Papaver rhoeas, quello rosso per intenderci) è il fiore del futuro. Lo sarebbe in effetti, proprio per il suo carattere:
- È una specie cosmopolita e fa tutto da solo riseminandosi ogni anno.
- Vive bene in condizioni estreme di siccità, secco, sole, terreni poveri.
- È pianta ornamentale facile da ospitare ma anche quasi completamente edule (si mangiano i petali a crudo, i semi -dai quali si estrae anche un olio alimentare- e le foglie tenere di primavera che rosolate sono una vera leccornia contadina).
- È pianta officinale, anche se con effetti più blandi del suo parente Papaver somniferum, quello che ancora più raramente si vede nei campi con i petali rosa.
Visto da vicino

Il rosolaccio è una pianta erbacea annuale, dai grandi fiori effimeri con 4 petali rosso scarlatto spesso macchiati di nero, racchiusi inizialmente in una capsula che li comprime così tanto da farli sembrare stropicciati. È un fiore ermafrodita come tutte le Papaveracee: nonostante sia privo di nettare, l’impollinazione avviene attraverso gli insetti, attratti dai petali dal colore vivace.
Le foglie, anch’esse molto decorative e verde brillante, sono dentate e profondamente lobate, tanto da sembrare un intaglio di Madre Natura.

I moltissimi semi sono contenuti in una capsula che, una volta secca, li rilascia utilizzando il vento come vettore.

Tutta la pianta emette un lattice bianco leggermente narcotico.
Pillola verde: spazio alle radici

Essendo una pianta spontanea e rustica, il papavero è una specie davvero facile da coltivare. Basta seminarlo a spaglio in un campo o in una aiuola soleggiata ad inizio primavera per poi dimenticarselo fino a quando fiorirà.
Meglio evitare il vaso, a meno che non sia molto capiente e profondo: le sue radici sono molto efficienti e necessitano quindi di spazio.
Curiosità: un papavero, molti significati

Pochi come lui, il papavero selvatico, hanno così tanti significati (positivi e negativi) nel linguaggio dei fiori. È associato al sonno, alla pace (per le sue proprietà narcotiche), alla morte (per il colore rosso sangue dei petali), alla memoria, al sacrificio e al ricordo (la sua corolla è divenuta il simbolo delle vittime di guerra).
Il fiore è anche associato al potere: spesso si sente dire “gli alti papaveri” ma anche “sindrome del papavero alto”, che colpisce chi emerge e spicca per qualità e competenza, specie nell’ambiente lavorativo.