L’anno scolastico è agli sgoccioli e i genitori lo sanno bene: da diverse settimane si moltiplicano le offerte di campus estivi per i figli. La scelta è pressoché obbligata per la maggior parte delle famiglie, perché i calendari scolastici non corrispondono a quelli lavorativi di madri e padri. Chi non può contare sui nonni, quindi, deve optare per qualche attività estiva organizzata, ma a caro prezzo. Secondo una ricerca il costo medio per mantenere un figlio è di 645 euro al mese, anche in estate.

Quanto costano i campus estivi?

A fare i conti ci ha provato KRUK Italia, specializzata in gestione del debito. In media ogni figlio costa 645 euro al mese e d’estate la cifra rischia di «crescere per genitori con figli piccoli e pre adolescenti. Considerando pasti in più, qualche sfizio e le varie attività di intrattenimento, per la maggior parte del campione la spesa aggiuntiva è compresa tra i 600 e gli 800 euro da aggiungere al mantenimento regolare del figlio. Addirittura c’è un 17% che afferma di spendere più di 1000 euro per impegnare i figli in estate, un mix preoccupante se unito al fatto che gli stipendi italiani sono invariati da decenni», spiegano da KRUK.

I campi estivi come “salvavita” per le famiglie

I dati indicano che «solo il 10% dei rispondenti dichiara di non usufruire dei campi estivi e addirittura il 21% del campione afferma che per le attività estive (campi estivi inclusi) si arriva a pagare la stessa cifra che si spenderebbe per portare i propri figli in vacanza». «Ogni anno questo periodo è un salasso per le famiglie con bambini. L’indicazione con cui consigliamo di affrontare il momento delle iscrizioni ai vari campi estivi è quello di pianificare sin da inizio anno un budget dedicato, coerente con quanto speso l’anno precedente ma che tenga anche in considerazione eventuali spese extra», suggerisce Giusy Minutoli, Regional Manager di KRUK Italia.

Attenzione agli extra

In media i bambini trascorrono dalle 3 alle 4 settimane (31%) nei campus, alcuni anche più di 4 (24%). A pesare, però, quest’anno ci sono i rincari, che si aggiungono a possibili voci di spesa non previste: «Le spese extra per il 55% del campione riguardano le trasferte e le gite fuori porta seguite a pari merito da abbigliamento/attrezzatura sportiva e la spesa per il pasto al sacco o la mensa (38%), terza posizione per gli abbonamenti extra a navette o club sportivi (21%)», spiega ancora Minutoli. Da qui l’idea che i costi dei campus estivi debbano rientrare nel paniere delle spese economiche delle famiglie italiane.

Il campo estivo in Italia è un privilegio

«Innanzitutto poter scegliere non è da tutti: chi può permettersi un centro estivo vive già una condizione di privilegio, perché in Italia esistono numerosi divari territoriali, ma anche di estrazione sociale», premette Sarah Malnerich, autrice e co-founder di Mammedimerda.it insieme a Francesca Fiore. «Detto questo, è un’ingiustizia che siano le famiglie a doversi sobbarcare interamente questi costi: dovrebbe esserci, invece, un supporto da parte dello Stato, come avviene in altri Paesi europei», aggiunge Malnerich che con le pagine social totalizza migliaia di followers e visualizzazioni ai post pubblicati con Fiore.

Un’estate “parcheggiati” davanti a tv e smartphone

«I meno fortunati o diversamente fortunati possono contare sui nonni. Però in molti non hanno questo welfare a costo zero, che lo è anche per lo Stato, o perché non hanno i nonni o perché questi magari lavorano ancora, visto che l’età pensionabile si allontana – aggiunge Malnerich – In alcuni casi, però, non ci sono neppure alternative concrete. Accade in alcune aree interne del Paese o in aree disagiate o meno attrezzate spesso non ci sono proprio i campi estivi. Per questo bambini e ragazzi finiscono col rimanere “parcheggiati” davanti alla tv o agli smartphone».

Niente bonus per le famiglie

«Purtroppo non esiste alcun bonus per campus estivi e simili. Non è mai stato previsto e non c’è alcuna copertura in questo ambito. L’unico periodo in cui c’è stata risale al periodo della pandemia, quando il bonus baby sitter esisteva e si poteva usare o per la baby sitter appunto, oppure anche per i campus estivi», conferma Carolina Casolo, consulente fiscale e previdenziale di Sportellomamme.it. «All’epoca aveva funzionato moltissimo. Purtroppo è stato abbandonato appena finita l’emergenza Covid. Il bonus non è stato rifinanziato e non è diventato strutturale, un vero peccato perché aveva rappresentato un prezioso strumento per tutti quei nuclei familiari che non hanno la possibilità di avere i nonni o una rete familiare di supporto».

Le madri costrette a restare a casa?

«Al momento non solo non c’è alcun sostegno del genere, ma non è neppure in previsione in una nuova bozza di intervento. Il governo ha invece introdotto misure come l’assegno per i gemelli, di minor valenza rispetto a un problema come quello della gestione dei figli nel periodo estivo, visto che si ripresenta ogni anno in questo periodo e nel tempo. Sta quindi diventando un problema – osserva Casolo – Il rischio, infatti, è che un genitore (spesso la madre) sia costretto a rimanere a casa, specie nel periodo di luglio o i primi di settembre, fino a che non ricomincia la scuola».

Le alternative oggi: la detrazione per i campus estivi

«Esattamente al pari del bonus nido, che è diventato strutturale per far fronte al costo elevato di questi servizi, anche per i centri estivi sarebbe molto importante disporre di una misura analoga, per evitare che le famiglie si ritrovassero in difficoltà – prosegue l’esperta – Detto questo, l’unica possibilità al momento e in alcuni casi è portare a detrazione in dichiarazione dei redditi eventualmente parte del costo sostenuto per il campus. Il limite è che occorre controllare bene di che tipo di campo estivo si tratta, per esempio se è sportivo oppure no, o le logiche dei massimali di detrazione, ecc.». Spesso il risultato è che non sempre questa opzione è disponibile.

Cosa serve alle madri: le richieste

«Insieme al centro studi di WeWorld abbiamo lanciato una petizione su change.org, proponendo che i 200 giorni di attività didattica siano ridistribuiti durante l’anno, quindi aumentando l’attività a giugno e settembre. Sarebbe utile, inoltre, che nei momenti di sospensione come a luglio e agosto le scuole rimanessero aperte per offrire un’alternativa a bambini, ragazzi e famiglie che non possono permettersi le vacanze – spiega Francesca Fiore – Il terzo settore potrebbe organizzare corsi di teatro o coding, gite a musei, ecc., a prezzi calmierati, con contributi da parte delle famiglie, proporzionati al reddito, evitando dunque ai genitori di doversi districare nella giungla delle offerte dei centri estivi carissimi, come avviene oggi».