Valutare le contrazioni

Non correre in ospedale alle prime fitte, anche se ritmiche: ecco come distinguere la fase attiva e cercare di alleviare la sofferenza

Forse avrai sentito parlare del periodo prodromico, cioè di quel momento che precede il travaglio vero e proprio, e per il primo bambino può durare anche due giorni. La mamma avverte contrazioni “fastidiose” che possono avere un andamento discontinuo: iniziano e smettono più volte nel corso della giornata. Altre volte, invece, e questo trae in inganno molte mamme, sono piuttosto dolorose e hanno una cadenza ritmica. A questo punto scatta l’allarme: è iniziato il travaglio?

Il criterio per capire se è giunto il tempo di andare in ospedale, è la durata delle contrazioni.

Di solito quelle preparatorie possono essere anche molto ravvicinate, ma sono brevi, non vanno oltre i venti, trenta secondi. Il loro compito è quello di appianare il collo dell’utero, prepararlo cioè alla fase successiva: la sua dilatazione. Un “trucco” che spesso insegnano le ostetriche per rilassarsi in questi frangenti è quello di immergersi in una vasca colma d’acqua tiepida: il dolore si avverte meno e se la fase è solo quella prodromica, dopo un po’ le contrazioni passano.

Il segnale che invece il travaglio è avviato, è quando le contrazioni, oltre ad essere ritmiche (ogni cinque-dieci minuti), diventano più lunghe. Per essere efficaci devono durare sessanta-settanta secondi ed essere più intense e quindi dolorose, di quelle prodromiche. Sono questi i due parametri più importanti da verificare. Il rischio altrimenti è che la mamma si precipiti in ospedale convinta che in breve nascerà il suo bambino, e venga invece rispedita a casa.

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