ragazza che corre in città al mattino

Come respirare durante la corsa

Respirare nel modo giusto è fondamentale per correre meglio e tarare lo sforzo, ma anche nella vita di ogni giorno, perché influisce sulle emozioni e sull'attività del cervello.

Un adulto sano, a riposo, respira circa 1000 volte all’ora, 25mila volte al giorno. Difficile immaginare che si possa avere piena consapevolezza nel compiere questo gesto del tutto naturale, eppure è proprio questo lo sforzo che chiedono gli esperti per imparare a gestire bene la respirazione. L’obiettivo, quando si affronta una attività come la corsa, è innanzitutto usarlo per tarare la propria resistenza alla fatica e, in secondo luogo, regolarne le modalità per ottenere più performance quando serve.

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Il respiro condiziona molti aspetti

Insomma, è sbagliato dare per scontato il modo in cui respiriamo. Perché non è una banale questione di aria che entra ed esce, e perché respirare bene ha benefici effetti su tutta la nostra vita, oltre all’esercizio fisico. I ricercatori della Stanford University School of Medicine hanno dimostrato che la respirazione è in grado di controllare il sistema nervoso centrale e ha un legame con le funzioni vitali principali come la qualità del sonno, il recupero delle energie, la digestione e lo stato mentale.

Hanno identificato un gruppo di neuroni che collegano la respirazione agli stati d’animo e sono responsabili di quello stato di calma che si percepisce quando si respira lentamente e a fondo. In più, una corretta respirazione può aiutare anche a prevenire disfunzioni posturali e migliorare memoria e concentrazione. Impegni, sedentarietà o allenamenti con movimenti “ingegnerizzati” ci hanno fatto dimenticare la naturalità di questo gesto, che serve anche, nell’attività fisica, a controllare lo sforzo.

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Come imparare a respirare bene

«Con qualche consiglio mirato, imparare a respirare bene si può, sia per migliorare le performance durante la corsa, sia per ottenere un maggior stato di benessere nella quotidianità», spiega il dottor Daniele Casalini, medico dello sport, membro dello staff medico della squadra di basket Armani Milano e responsabile UO Ortopedia II degli Istituti clinici Zucchi di Monza. Se pensiamo di poter allenare i polmoni come facciamo con i muscoli, però, siamo fuori strada.

«La nostra capacità polmonare, e di conseguenza la performance respiratoria, dipendono in larga parte da come siamo fatti. I polmoni, dall’età dell’adolescenza in avanti, sono formati. Non sono come i muscoli, che aumentano di volume e tonicità se vengono allenati. Però, se si affronta un esercizio fisico di lunga durata come la corsa, è meglio conoscere alcune tecniche per migliorare e per sfruttare a pieno la capacità dei nostri polmoni di introdurre ed espellere aria».

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Quali muscoli sono coinvolti nell’atto respiratorio?

Si attivano il diaframma – muscolo orizzontale posto sotto al torace come una cupola – e i muscoli intercostali esterni, in condizioni “normali”. Se la respirazione è più forzata, coinvolge anche i muscoli elevatori delle coste, i muscoli scaleni, sternocleidomastoidei, estensori del capo, pettorali, il muscolo gran dorsale, il gran dentato.

Su cosa dobbiamo focalizzarci? Sulla differenza tra respirazione diaframmatica e toracica. Quella con il diaframma è molto più profonda e permette di introdurre una maggiore quantità di aria e ossigeno. Quando inspiriamo, il diaframma si flette verso il basso e lascia entrare l’aria nei polmoni. All’espirazione, spinge verso l’alto e li fa svuotare.

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La respirazione toracica

Con la respirazione toracica, invece, si usa “solo” la parte alta dei polmoni per azione dei muscoli intercostali, con un minore ricambio di aria. Meglio la prima, sia per la maggiore efficienza sia perché un diaframma elastico porta anche altri vantaggi. Il suo movimento “a pistone” stimola meccanicamente gli organi interni: quando si abbassa comprime fegato e intestino, rivitalizza la circolazione e fa scattare una sorta di massaggio dolce all’addome che favorisce la digestione e combatte la stitichezza.

L’onda lunga del movimento diaframmatico raggiunge anche le gambe, attraverso la circolazione. Inoltre, è amico della postura – visto che i due pilastri posteriori del diaframma sono agganciati alle vertebre lombari.

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La respirazione diaframmatica

Si può imparare a utilizzare il diaframma, ma sarebbe più corretto dire “re-impara”, perché è la forma più naturale e spontanea di respirazione. Per verificarlo, basta osservare come respira un neonato mentre dorme: vedremo salire e scendere la pancia, che si sgonfia e rigonfia come un piccolo palloncino. Ecco, l’unico esercizio che possiamo fare per recuperare confidenza con il nostro diaframma parte proprio da lì, dalla pancia. Una semplice esercizio per imparare a prendere consapevolezza del modo in cui respiriamo, e anche per allenare il muscolo.

Ce lo suggerisce Daniele Vecchioni, fondatore del metodo Correre Naturale, dottore in scienze motorie ed esperto di corsa e movimento: «Sdraiamoci a pancia in su, mettiamo una mano aperta sullo sterno e l’altra sul diaframma (sulla pancia, appena sotto la gabbia toracica). Inspirando con il naso, facciamo alzare solo la mano sulla pancia e concentriamoci per tenere ferma quella sul torace. Espiriamo facendola abbassare. In questo modo rieduchiamo mente e corpo alla respirazione diaframmatica. Poiché l’esercizio favorisce anche il rilassamento, possiamo eseguirlo la sera, prima di andare a dormire o in momento di relax, dai 2 ai 5 minuti ogni giorno. Va bene anche qualche minuto prima dell’allenamento».

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Il respiro ideale mentre si corre

E mentre corriamo? Controllare il ritmo della respirazione ci permette di monitorare lo stato di forma e il livello di fatica. «Per calcolarlo», spiega il dottor Daniele Casalini, «basta correre a velocità costante e contare. Per un minuto, contiamo gli atti respiratori (cicli completi di inspirazione ed espirazione). Nel minuto successivo, contiamo il numero di passi che facciamo. Il ritmo emerge da una correlazione tra i due numeri: quanti passi per ogni respiro? Per una corsa blanda al parco, il ritmo consigliato è di 3 passi a inspirazione e 3 passi a espirazione. Nella corsa veloce, un podista normale arriva al ritmo di 1 a 1».

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Naso o bocca?

Non basta. C’è l’eterno dilemma: naso o bocca? Consiglia l’esperto Daniele Vecchioni in questo video: «L’aspetto fondamentale, quando corriamo, è che arrivi abbastanza ossigeno ai muscoli. L’ossigeno entra con l’aria nei polmoni, passa nel sangue e da lì raggiunge le cellule. Perché arrivi a destinazione, serve anche una dose di anidride carbonica, senza la quale i globuli rossi non lo rilasciano. L’anidride carbonica fa da catalizzatore in questo processo. Per questo sono un grande sostenitore della respirazione nasale. Usare il naso sia per inspirare che per espirare permette di non espellere troppa anidride carbonica: è un’azione più equilibrata rispetto alla espirazione con la bocca».

Il ritmo della respirazione nasale

Gli studi sui benefici della respirazione nasale sulla salute non mancano. In allenamento, basta concentrarsi e trovare il proprio ritmo. «Io suggerisco di basarsi su una scala di colore bianco-nero legata al rumore del naso. Se affrontiamo una corsa aerobica rigenerante, con un minimo impegno, il rumore del naso nella respirazione deve essere minimo – io lo chiamo “naso bianco”. Se invece è una corsa a ritmo gestibile, ma non blando, avremo una respirazione più spinta, ma ancora senza fame d’aria: un “naso grigio”. Al naso “nero” non dovremmo arrivare, perché indica che siamo a un ritmo veloce con respiro rumoroso, superiore a quello che possiamo permetterci».

corsa respirazione
Shutterstock

Perché è importante respirare con il naso

Il naso ha anche un altro plus: è un filtro naturale, che blocca impurità e germi, e fa da regolatore di temperatura e umidità dell’aria in entrata, preservando le vie aeree. Però, prima o poi, alzando il ritmo della corsa si tenderà ad aprire la bocca per introdurre più aria. «Per questo», dice Vecchioni, «gestire il respiro con il naso significa rallentare, trovare un ritmo sostenibile. Si otterrà più resistenza alla fatica nel breve periodo e poi, alla lunga, si raggiungeranno performance migliori.

La respirazione va usata, insomma, come un limitatore della performance, un tachimetro naturale e personale. Non ha senso alzare i giri del motore: meglio potenziarlo, e con questo modo di respirare si fa proprio questo. Si porta il corpo in condizione aerobica, e alla fine si andrà più forte a parità di fatica, non con una fatica maggiore. Ovvio che questo vale fino a quando si corre alla ricerca del benessere. Per un allenamento ad alta intensità – e per un podista allenato – o all’ultimo chilometro di una gara o in un caso in cui serva uno sforzo massimale, posso respirare con la bocca introducendo molta più aria in breve tempo. Ma è una modalità legata a un impegno fisico estremo e limitato nel tempo».

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Quanto conta la testa nella gestione del fiato?

«La testa conta sempre molto, insieme naturalmente al grado di allenamento. Generalmente si soffre per i primi 273 chilometri, quando il battito cardiaco tende a salire rapidamente, ma se si ha la costanza di gestire la respirazione, la crisi passa rapidamente» prosegue la maratoneta «Non occorre avere fretta né serve farsi prendere dal panico! È meglio fare un buon riscaldamento, anche di 15/20 minuti, rallentando il ritmo se occorre, per poi aumentarlo una volta che la respirazione di è regolarizzata. Non bisogna pensare che accada solo ai principianti: anche i top runner seguono queste indicazioni» conclude.

una signora sta facendo jogging
Pexels

Il respiro agisce su emozioni e cervello

Il respiro affannoso, nell’esercizio fisico, è il campanello d’allarme che indica un “fuori giri” del corpo. Spiega ancora il medico dello sport, dottor Casalini: «Vado in debito di ossigeno e per sostenere lo sforzo aumento la frequenza e diminuisco la profondità degli atti respiratori. Così si sovraccaricano gli organi interni e compaiono i classici dolori al fianco per la compressione addominale». È la spia che segnala l’esaurimento dell’energie a disposizione. Ma un respiro alterato non è solo legato a uno sforzo accentuato. Può essere anche un segnale di ansia. Il legame è semplicissimo: «Ogni stato di stress fa aumentare la frequenza cardiaca e quella respiratoria. Il sistema nervoso attiva un meccanismo che può diventare vizioso, e non a caso la prima cosa che si dice a un atleta che ha avuto un infortunio e prova dolore è “respira con calma”». Respiri lenti, profondi e ritmici favoriscono la concentrazione e tranquillizzano.

È dimostrato che una respirazione consapevole e mediata dal diaframma permette una attivazione mentale positiva, un maggior controllo emotivo e una riduzione dello stress. Una ricerca condotta alla Northwestern University Feinberg School of Medicine ha mostrato come il ritmo della respirazione sia in grado di generare attività elettrica nel cervello e, in questo modo, incidere sulla memoria e su emozioni quali la paura. Quando inspiriamo, l’attività cerebrale muta nell’amigdala e nell’ippocampo, le due aree del cervello deputate rispettivamente alla gestione delle emozioni e della memoria.

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