Era il 1976 quando a Londra la nascita dei Sex Pistols diventava voce in musica di una nuova subcultura che avrebbe influenzato arte e moda. Ancora oggi gli stilisti ne attingono a piene mani
40 anni di punk, la storia
Ci sono generazioni che segnano epoche e quei giovani che si trovavano nel 1976, tra la fine del sogno hippie e quello laburista, la crisi economica e la sempre più forte propensione della società all’individualismo, si unirono sotto lo slogan “no future” di Rotten, il Johnny dei Sex Pistols, gruppo più influente della scena punk londinese, segnando la nascita della subcultura punk. Con a seguire nuovi adepti: i Clash, i Damned di Dave Vanian e Captain Sensible, Shame 69, Eates, i Lurkers, i 999 e la lista potrebbe continuare a lungo.
Il punk diventa una sottocultura che si espande a macchia d’olio tra i giovani londinesi, in primis, e che grazie alla musica creò un vero e proprio incendio culturale, il rifiuto del conformismo della società si trasformò in chitarre sporche, brani grezzi, ritmiche elementari, voci tutt’altro che intonate nella maggior parte dei casi. L’obiettivo era creare caos e destabilizzare il sistema discografico, il motto: “Siate infantili. Siate irresponsabili. Siate irriverenti. Siate ogni cosa che questa società detesta”.
40 anni di punk, la moda
Gli elementi di disturbo non erano soltanto musicali, anche nell’estetica si contravertivano le regole creando immagini oltraggiose: capelli rasati con grosse creste, abiti strappate, spille e piercing, catene, oggetti fetish. Non solo uomini, per la prima volta le band erano anche femminili, Lora Logic e Poly Styrene, Pauline Murray dei Penetration, Gaya Advert degli Adverts, e le Slits che furono le prime ad indossare calze a rete e Doc Martens, l’anfibio più celebre e che ancora oggi rimane simbolo di quel periodo.
Di lì in poi lo stile punk ha fatto storia e contaminato epoche diverse che sebbene non condividessero le stesse idee lo hanno eletto periodo feticcio da cui attingere a piene mani. Nel 2013, ad esempio, il Metropolitan Museum of Art gli ha dedicato una mostra, intitolata Punk: chaos to couture.
La mostra raccoglie un centinaio di abiti di stilisti diversi che hanno trovato nell’anticonformisno e nello spirito ribelle, aggressivo punk, ispirazione senza tempo.
40 anni di punk, Vivienne Westwood
Quando pensiamo al punk nella moda, il collegamento alla stilista britannica Vivienne Westwood è immediato. Nel secondo dopoguerra il modello trickledown che contraddistingueva le tendenze nella moda facendole provenire dalle classi dominanti, subisce un completo rovesciamento, con l’arrivo della società di massa sono le subculture a fare tendenza e dettare le regole. Le differenze di classe non erano più così evidenti e i codici estetici diventavano strumenti comunicativi potenti.
Vivienne Westwood era la giovane moglie di Malcom McLaren,il manager che nel 1975 creò il mito dei Sex Pistols. Fu lei a forgiarne il look stravagante, creando quelli che sarebbero diventati i simboli dello stile punk e che divennero alla portata di tutti grazie all’apertura dei negozi Sex e Let it rock.
40 anni di punk, lo stile
Il punk prende i capi icona dello stile borghese e li riempie di spille e borchie, li straccia, attinge a piene mani dal mondo del sadomaso, idem le lamette da barba che diventano accessori e che sembrano lì pronte per atti di autolesionismo. Oggi di tutto questo restano le suggestioni, ma davvero poco di quella subcultura. Abbiamo visto sulla passerella uomo Autunno Inverno 2016-2017 di Alexander McQueen, finte spille da balia infilate nelle guance, anfibi extralusso, ma anche nella moda donna, le suggestioni per acconciature e make-up tornano stagione dopo stagione, più soft, più glamour, togliendo così a quella voce che urlava “No future”, tutta la sua forza sovversiva e facendolo diventare l’ennesimo periodo storico a cui attingere per nuove collezioni che sembrano, sempre più spesso, saper ispirarsi solo al passato senza dare però nuovi messaggi.