Alla maturità voti alti. Ai test Invalsi, bassi. Perché?

I risultati della maturità 2019 sono buoni, addirittura ottimi nelle regioni del Sud dove, invece, i test Invalsi sono andati malissimo. Si tratta di prove molto diverse ma il confronto stride. Alcune riflessioni per capire il perché di questa contraddizone

Il MIUR ha reso noti i risultati finali dei neo diplomati all’esame di maturità: la percentuale dei promossi supera il 99%. In aumento i voti alti e altissimi in Campania; seguono la Puglia e la Sicilia, persino con un incremento dei 100 e lode (le lodi in Calabria sono il quadruplo di quelle lombarde), specialmente nei licei. Buoni, ma con punte di eccellenza meno clamorose, i risultati degli studenti al centro-nord; e anche qui i migliori sono i ragazzi dei licei e dei classici in particolare.

I risultati dei test Invalsi, obbligatori da quest’anno per gli studenti delle quinte ma ininfluenti ai fini della votazione finale, raccontano però una storia diametralmente opposta. Le stesse regioni che hanno trionfato agli esami riportano medie sensibilmente inferiori a quelle nazionali, con picchi negativi tra il -10% e il -20% in Italiano, Matematica e Inglese. Perché il dato è così difforme?

I test Invalsi sono indiscutibilmente oggettivi e scorporano gli esiti per materia, per ordine di scuola e per fasce socioeconomiche; la loro finalità è la rilevazione statistica dei livelli di apprendimento. Presuppongono una didattica per competenze più diffusa di quanto in realtà non sia e valutano – con quesiti a risposta multipla svolti in modalità digitale- solo l’Italiano, la Matematica e l’Inglese.

Gli esami di Stato, nonostante sforzi e proclami, rimangono invece legati ai contenuti disciplinari e almeno sulla carta permettono di valorizzare l’acquisizione del senso critico e il profilo del futuro cittadino (le famose competenze di cittadinanza e Costituzione).

I risultati degli esami sono inoltre condizionati dalla roulette delle commissioni (in parte esterne) e si legano all’esito della combinata scritti + colloquio orale su cui grava una maggiore emotività dei candidati. Senza contare che se l’Invalsi nelle quinte superiori è una novità introdotta senza grossi patemi (è dalle elementari che i ragazzi sostengono i test), ben altre incertezze hanno accompagnato la riforma dell’esame di Stato 2019, proposta in corsa ad anno scolastico avviato: qualche prof potrà averne tenuto conto, qualcuno magari no.

Per ovviare alle disparità degli esiti (il gap tra nord e sud appariva incolmabile anche un anno fa) lo scorso inverno il MIUR aveva fornito griglie valutative per gli scritti uguali su tutto il territorio nazionale. È presto per dire se questo strumento sia stato efficace, del resto ci vogliono anni perché le riforme diventino sistema. Di sicuro però le griglie ministeriali oggettive non bastano: il colloquio rimane scoperto e per la sua valutazione ci si è affidati ai criteri elaborati dalle singole commissioni. Inoltre sul voto finale pesano per il 40% i crediti dell’ultimo triennio. Poiché i crediti sono frutto delle medie scolastiche, bisogna pensare che al centro-nord si usi ancora con fatica una scala decimale che contempla l’attribuzione dei voti alti. In altri termini: per i bravissimi che però non prendono mai 9 e 10 in terza, quarta e quinta, concludere gli studi con un bel 100 è missione impossibile. Della lode neanche a parlarne.

Anche la preparazione conta: se nella scuola primaria e alle medie l’abitudine a sperimentare le modalità Invalsi con simulazioni è ampiamente diffusa, alle superiori questa pratica didattica è marginale.

Inevitabile si è sollevato il polverone delle polemiche. Se i numeri confliggono in modo così vistoso, vale la pena continuare a far coesistere Invalsi e Maturità? C’è chi propone l’abolizione dell’esame di Stato: costoso, complicato e per certi aspetti ridotto a rito iniziatico, praticamente inutile per proseguire gli studi e spesso anche per entrare nell’agone del mondo del lavoro. C’è poi chi approfitta del dato per alimentare il dibattito sulla proposta (per ora congelata) di regionalizzazione della scuola, almeno per quanto riguarda l’autonomia e la diversificazione delle programmazioni: il piano insomma della didattica e dell’offerta formativa.

E infine una nota a margine su quello che sembra il successo dei licei e del classico in particolare. Il diluvio di bellissimi voti nei licei ginnasi da nord a sud racconta di una reale superiorità di quest’ordine di scuola che viene dato per morto un anno sì e uno no? Il classico è e rimane un percorso di contenuti validissimi e continua a garantire un’eccellente formazione trasversale. Ma negli ultimi anni è stato difeso con una campagna mediatica condotta a suon di saggi, pamphlet, eventi mediatici e persino sui social. In più al classico si sono quasi ovunque “alzati” i voti, nel meritorio tentativo di renderlo inclusivo e accogliente perché non fosse più il vivaio delle sole classi dirigenti. Ora però serve rimodernarlo davvero: metodologie, programmi, aperture e dialogo (vero) col territorio. Pena quella (per ora lieve) flessione che dal settentrione al meridione proprio gli Invalsi fanno emergere. E proprio in Italiano, materia d’indirizzo per eccellenza.

Per i diplomati che vogliono sapere com’è andata coi test, il sito messo a disposizione è www.invalsiopen.it: si entra con il codice che a ogni studente è stato dato per affrontare le prove 2019. Sono disponibili online, per chi volesse cominciare a esercitarsi, anche gli esempi delle prove somministrate al termine del secondo ciclo.

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