Silvia Amorosino

Silvia Amorosino, 30 anni, con l'alopecia da quando ne aveva 14. Su Instagram insegna alle donne con la malattia come la sua a usare il turbante (tutte le foto sono di Francesco Amorosino)

L’alopecia mi ha insegnato ad amarmi

Settembre è il mese dedicato alla sensibilizzazione sul tema dell'alopecia areata, una malattia autoimmune che colpisce 145 milioni di persone nel mondo. Provoca la perdita dei capelli, in alcune forme anche dei peli, e può diventare una patologia cronica con gravi ripercussioni sull'identità. Parlarne aiuta a conoscerla e a sostenere chi ne soffre

Di un uomo calvo diciamo che è calvo, non ci giriamo troppo intorno con espressioni come “senza capelli” oppure “rasato”. È calvo e basta. E pensiamo subito a Yul Brynner e a quanto ci piaceva il suo essere sexy con la testa liscia. Di una donna calva non osiamo dire che è calva e non pensiamo a Nathalie Portman (l’avete presente nel film “V per Vendetta”?). Pensiamo subito a un tumore, alla fine di un amore, di un lavoro. A un brutto momento. Oppure ci chiediamo – senza osare farlo a lei: «Ma sarà pelata anche lì sotto?». Perché se guardiamo bene, di solito una donna senza capelli è anche senza sopracciglia, senza ciglia, senza peli. Tutti quei retaggi ancestrali, insomma, che forse un giorno spariranno, ma la cui mancanza oggi ci spiazza. Ci spiazza perché capiamo che non si tratta di una scelta estetica, di un vezzo, ma ha a che fare con qualcos’altro di poco noto e che ci respinge.

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Le difficoltà della parrucca

Con tutto ciò devono fare i conti le ragazze, le donne, le bambine che hanno l’alopecia areata, magari anche nella sua versione più radicale: quella universalis. In Italia le stime parlano di circa un milione e mezzo di persone colpite da questa malattia. La maggior parte sono donne. Non si notano perché in genere portano la parrucca. Quando invece, come Silvia Amorosino, scelgono di vivere senza e di essere semplicemente se stesse, il nostro sguardo per forza si posa lì, sul loro cranio lucido, che le rende creature rare ed esotiche, capaci di scombussolare il nostro inconscio e di confondere le identità di genere. «Ho perso anche le sopracciglia nel 2019, dopo anni in cui a turno mi cadevano: prima una e poi l’altra. Le ciglia le ho ancora, i capelli li avevo lasciati sul cuscino da ragazzina. Mi successe la prima volta a 14 anni: dal letto al lavandino, il segnale che qualcosa da dentro mi stava trasformando. Ti senti impotente, i genitori ti portano a comprare la parrucca e tu cominci a vivere con questa protesi che si sposta, fa sudare, ti impedisce di andare ai pigiama party o in piscina perché non puoi neanche buttarti in acqua. Mi sembrava impossibile essere pelata e vivere una vita da ragazzina».

La paura di essere diversa

E poi i cicli di cure, i viaggi su e giù per l’Italia tra tricologi e dermatologi, alla ricerca dell’ultima novità. «Siamo stati ovunque per cercare cure che non esistono perché l’alopecia è una malattia genetica: ci si nasce. Anche mio papà ne soffre». Il sistema immunitario attacca i bulbi piliferi non riconoscendoli: è come avere un nemico dentro. «Ho fatto cicli di cortisone, preso integratori di ogni tipo e quando i capelli ricrescevano mi illudevo che sarebbe stata la volta buona e invece no, i capelli non tornano. Resti tu e con questo devi fare i conti. Da ragazzina però i conti non quadravano mai, solo tanto dolore, il buio profondo e la paura di essere diversa dagli altri. Perché la diversità, anche la tua, fa paura e ci vuole tanto coraggio ad affrontarla».

Dalla parrucca al turbante

Silvia il suo lo trova lasciando la Basilicata, spinta anche dai genitori, capaci di costruirle intorno non una barriera per proteggerla, ma un ponte per aprirsi al mondo. «A 17 anni pensavo di essere l’unica con la mia malattia. Invece negli Stati Uniti, dove ho vissuto per un anno, ho scoperto un gruppo Yahoo e tantissime persone che lì si aprivano, raccontando problemi e angosce che erano anche i miei». Poi il ritorno a casa, la scelta di tagliare l’ultima ciocca rimasta, il rito consolatorio delle tante parrucche per ogni look e il periodo dell’università. Si iscrive al Politecnico di Milano e si laurea in Design della maglieria: lei, prigioniera dell’immagine, ora sceglie di guidarla. Ed è allora che comincia a spogliarsi del passato, delle paure, dell’insicurezza e si libera delle parrucche, mentre la chiama a lavorare una grande stilista. «Sono passata ai turbanti. Ho cominciato a realizzarli io, cercando di insegnare alle donne come portarli. Ma poi ho capito che anche del turbante potevo fare a meno, com’era stato per la parrucca. Così, con le gambe che mi tremavano, un giorno ho infilato il portone e sono uscita così, io e la mia pelata. Sentivo tutti gli sguardi su di me ma invece di vederci pena o curiosità, vedevo solo ammirazione. Ero diventata la ragazza audace, senza paura. Finché al supermercato un ragazzo mi ha detto che ero bellissima. Lì ho capito che potevo anche essere bella».

Vivere senza sopracciglia

Poi sono cadute le sopracciglia, ultimo avamposto della Silvia di ieri. «Erano piene, davano profondità al mio sguardo. La fronte era diventata piatta: lì, solo pelle. Ero ossessionata dall’idea che senza di loro non sarei stata più bella. Ma potrei stare giorni e giorni a pensare a come potrei essere se solo le avessi. Invece è la vita spesso a decidere per te». Per questo oggi a volte se le disegna, a volte esce anche senza. «Perdere i capelli mi ha aiutato ad amarmi. È stata dura arrivare dove sono oggi. L’accettazione è un lungo cammino che richiede tempo. I chili in più, il doppio mento, la parrucca, il sedere grande: sono alcune delle cose che ho dovuto accettare, oltre alla mancanza di capelli e sopracciglia». Sul suo profilo Instagram, dove pubblica tutorial per mettersi il turbante ma anche foto a capo scoperto con il suo compagno Mattia, scrive post che parlano a tutti: «Posso solo vivere la mia vita per quello che ho, mettere il dolore in una piccola parte del mio cuore e andare avanti. Accetta la tua fronte piatta, sii grata per le tue ciglia, metti il make up, annoda il foulard e affronta un altro giorno per quello che la vita ti ha dato».

A chi rivolgersi

Il riferimento medico per la malattia è la Società Italiana di Tricologia

L’associazione Alopecia Areata & Friends è attiva in tutto il territorio e insieme all’Ospedale Sant’Orsola Malpighi promuove la giornata nazionale ALOPECIA AREATA DAY in 10 ospedali italiani. Nel 2020 si svolge il 18 settembre. Il 31 maggio tutt al raduno nazionale a Venezia, il 4 ottobre a Roma e il 29 novembre a Napoli.

ASAA (Associazione Sostegno Alopecia Areata) è specializzata nell’assistenza alle famiglie.

Da segnalare il gruppo su Facebook Alopecia & Co, nato da poco e in evoluzione.

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