L’amore (internazionale) ai tempi del coronavirus

  • 12 03 2020

Chiara, italiana, e Raül, spagnolo: insieme ma divisi dal coronavirus. Cronaca amorosa di una delle tante coppie separate dalla pandemia

«Meno male che avete messo quelle firme prima dell’inizio di tutto questo casino!”». Ogni volta che sento una delle mie migliori amiche e parliamo di come riesco a gestire l’emergenza coronavirus sul piano sentimentale, mi sento ripetere questa frase. Meno male, davvero.

Ufficialmente siamo una coppia di fatto “italocatalana” dal 17 febbraio, stiamo insieme da un anno e due mesi, siamo entrambi classe 1990 e guardando al futuro, ci vediamo insieme tra una sessantina d’anni, a raccontare ai nipotini di quando il nonno e la nonna hanno dovuto affrontare il coronavirus a 1319 km di distanza. Lui è un avvocato di Barcellona, io sono una giornalista pubblicista italiana, in questo momento in isolamento fiduciario a Terni, nella casa dei miei, perché ero a Venezia con loro prima che venisse dichiarata zona rossa. Lui è a Barcellona, perché è stato minacciato di venire licenziato se fosse venuto a trovarmi o se io fossi andata a trovare lui. Io sono qui, appesa alla nostra chat di Whatsapp e alle notizie che arrivano dal mondo per trovare un briciolo di speranza.

È la prima volta da quando ci conosciamo che non sappiamo quando ci rivedremo; è la prima volta da quando stiamo insieme che non possiamo fare un conto alla rovescia senza sentire una spada di Damocle sulle nostre teste e un peso sul cuore dovuto all’impotenza di tutti davanti a un’emergenza del genere. Il nostro Google calendar pieno di fine settimana qui in Italia e di fine settimana lunghi a Barcellona è in bilico, così come la possibilità di festeggiare, tra meno di un mese, i suoi 30 anni con la sua famiglia e i suoi amici. I suoi nonni hanno tra gli 80 e i 90 anni, non mi avvicinerei mai e poi mai a loro con quest’emergenza in corso, né a lui, sapendo di impedirgli poi di vederli per minimo due settimane. La sua famiglia è comprensiva, si preoccupa per me (e per i miei, che fanno comunque parte della “popolazione a rischio” per questioni anagrafiche) e sdrammatizza nella chat di gruppo, ma l’opinione pubblica spagnola si è scagliata a più riprese contro gli italiani in queste settimane e, con l’idea di trasferirmi a settembre in pianta stabile a Barcellona, leggere tutto quello che sono arrivati a scrivere in questi giorni non ha certamente aiutato a risollevare il morale.

Ieri abbiamo discusso perché, nonostante tutto quello che sta succedendo qui, ancora a Barcellona non ci fosse quella consapevolezza che evitare gli assembramenti, cercare di ridurre al minimo le uscite di casa, potrebbe aiutare davvero a ridurre il rischio di un’impennata dei contagiati come da noi. Oggi la Spagna ha interrotto i voli per e dall’Italia e io mi sono ritrovata a dover interrompere il pranzo, scoppiando a piangere come una bambina piccola davanti ai miei, per l’ondata di impotenza e distanza impossibile da accorciare che ho sentito letteralmente infrangersi sulle mie spalle. Poco dopo Raül mi ha scritto un messaggio che mi ha fatto sorridere mentre mi asciugavo gli occhi: «Attraverserò la frontiera a remi, se necessario, non credere che mi fermi un virus». Rimaniamo a casa, per favore: vogliamo tutti tornare a poter abbracciare qualcuno il prima possibile senza dover imbracciare i remi, no?

(di Chiara Colasanti)

#lenostrevitesospese

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