Autismo: le parole giuste per dirlo

Il 2 aprile è la Giornata mondiale per la consapevolezza dell’autismo. Perché bisogna parlare di questo disturbo e soprattutto che parole e prospettiva usare per parlarne

Il 2 aprile è la Giornata mondiale per la consapevolezza dell’autismo. Ma dovrebbe essere tutti i giorni il 2 aprile, perché sensibilizzare e richiamare l’attenzione sui diritti delle persone con un disturbo dello spettro autistico aiuta loro e le loro famiglie ma rende anche migliore il mondo. Ne è convinta Paola Severini Melograni, giornalista, da sempre impegnata a dar voce a quella disabilità, spesso invisibile all’opinione pubblica.

Perché, Paola, questa giornata è così importante?

«Innanzitutto per una questione di numeri: in Italia ci sono circa 700.000 persone con un disturbo legato allo spettro autistico. Una cifra che continua ad aumentare. E poi perché questi ragazzi, che vivono in una bolla che a volte è impossibile bucare, hanno il diritto di vivere in modo più felice, di stare meglio, di divertirsi, di fare sport».

VEDI ANCHE

Autismo: un libro e un video per spiegare cosa si prova

In che modo possiamo aiutare i ragazzi?

«Cambiando prospettiva. Come in parte ha fatto la pandemia, che ha dato visibilità al tema salute in generale e quindi anche alla disabilità, fino ad allora piuttosto “invisibile”. E ci ha fatto capire che, raccontandole nel modo giusto, si possono davvero cambiare alcune cose».

E qual è questo modo?

«Bisognerebbe farlo sorridendo, non sbattendo il mostro in prima pagina. Va raccontata la normalità, l’ordinarietà di questa disabilità, perché la diversità fa parte della vita. Non dobbiamo parlare di supereroi irraggiungibili ma di gente normale, come per esempio Salvo, un ragazzo autistico che disegnava sempre clown. Be’, alla fine quel clown è diventato il simbolo di tutta la sua scuola».

A che punto siamo in questo cambio di prospettiva?

«Abbiamo fatto tanta strada negli ultimi anni. Merito di una rivoluzione dolce, fatta di buone pratiche e atti rivoluzionari. Come quando nel 2016 ho portato Ezio Bosso (compositore e pianista colpito da una malattia neurodegenerativa, ndr) a Sanremo. Che, se ci pensate, è stato molto più rivoluzionario di tanti baci di Fedez».

E quando parla di buone pratiche a cosa si riferisce?

«A PizzAut, per esempio, la pizzeria gestita da ragazzi autistici. È un laboratorio di inclusione sociale e contemporaneamente un modello che offre lavoro e formazione, tenendo in considerazione tutte le esigenze dei ragazzi: soffitti insonorizzati, luci ben distribuite, attenzione alla policromia. O al Politecnico di Milano, che sta lavorando su un robottino che possa interagire con i bambini non verbali. Ma anche al mondo del calcio: forse pochi sanno che tutte le squadre di serie A hanno adottato una squadra “special”, costituita in gran parte da atleti con autismo. Non potete immaginare cosa vuol dire per questi ragazzi poter giocare con la maglia dell’Inter! E adesso stiamo anche pensando di organizzare un vero e proprio campionato e di far fare un album di figurine».

VEDI ANCHE

Arriva il supermercato autism friendly

A questo punto cosa manca?

«Che questi ragazzi diventino più protagonisti, per esempio influencer, come ce ne sono già tanti su altre disabilità. Che si raccontino da soli, senza il bisogno che li raccontiamo noi». Il messaggio di Paola è chiaro e soprattutto positivo. Tanto che lei stessa, prima di salutarci, richiama, come suo motto, San Giovanni Bosco: «Il bene bisogna farlo bene, non ci si può improvvisare». E aggiunge: «Bisogna farlo, però, anche con gioia».

Riproduzione riservata