social e minorenni

Social network, blocco per gli under 15?

In Francia si propone di limitare l’accesso ai social network ai minori di 15 anni. In Italia la Garante per l’Infanzia vorrebbe alzare l’età a 16 anni e usare lo Spid

Quella in arrivo potrebbe essere una vera e propria stretta sui social network. La Francia, non nuova a iniziative che limitano anche il ricorso agli smartphone (come per esempio a scuola) sta valutando il blocco all’accesso alle più note piattaforme di social network come TikTok, Instagram, ma anche l’amatissimo – dai giovani – Snapchat, senza dimenticare Twitter e Facebook al di sotto dei 15 anni. Il tutto mentre l’amatissima Billie Eilish, star della generazione Z, confessa di aver eliminato tutte le app di social network dal suo smartphone.

Anche dall’Italia, però, arrivano la proposta di restringere l’accesso alle piattaforme, portando l’età minima da 14 a 16 anni, e introducendo l’uso di uno Spid, l’identità digitale.

Niente social network agli under 16?

«Nel nostro Paese il limite è fissato a 14 anni e andrebbe alzato a 16, come l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza propone sin dal 2018», ha chiarito Carla Garlatti, titolare dell’Autorità garante. «È opportuno che il legislatore o il governo italiano trovino lo stesso coraggio, presentando una proposta di legge per alzare l’età per il consenso digitale al trattamento dei dati dei minorenni senza l’intervento dei genitori».

Ma l’età può rappresentare una barriera per ridurre gli effetti “negativi” dei social? «Non è una questione di età ma di responsabilità. A 14 anni per la legge italiana si può essere imputabili e credo si abbia la maturità anche per gestire un account social. Il problema è semmai di cultura e di educazione. Imporre nuovi limiti di accesso creerebbe soltanto nuove idee per superarli», commenta l’avvocato Marisa Marraffino, specializzata in reati digitali e minori.

La proposta italiana: accesso solo con lo Spid

La proposta, dunque, va nella direzione di un giro di vite, che possa prevedere anche la necessità dello Spid come credenziale d’accesso, cioè l’identità digitale, come spiegato ancora da Garlatti: «Al termine di un tavolo di lavoro coordinato dal Ministero della Giustizia, insieme ad Agcom e Garante privacy abbiamo proposto l’introduzione di una sorta di Spid. Si tratta in pratica di istituire un nuovo sistema per la verifica dell’età dei minorenni che accedono ai servizi digitali, basato sulla certificazione dell’identità da parte di terzi, così da mantenere pienamente tutelato il diritto alla privacy», conclude la Garante.

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I social network possono già identificare gli utenti

«Il problema vero – prosegue Marraffino – è far passare un messaggio chiaro: ci sono degli illeciti che si possono commettere anche a mezzo social network per i quali dovrebbe esserci la certezza di poter identificare i responsabili. Cosa che oggi in Italia non esiste perché circa l’80% delle diffamazioni online vengono archiviate perché spesso basta nascondersi dietro a un nickname per vanificare le indagini. I social hanno già dati sufficienti per poter identificare gli utenti, senza scomodare lo Spid: è solo questione di far rispettare un obbligo a cui sono tenute le piattaforme, cioè collaborare con le autorità e fornire i dati identificativi in caso di richiesta da parte di un giudice. L’autenticazione a due fattori, ad esempio, consente la registrazione del numero di cellulare e aumenta la sicurezza degli account». 

Francia: limiti e controlli agli accessi ai social network

La Garante ha fatto esplicito riferimento alla proposta di legge francese all’Asemblée Nazionale firmata dal deputato centrista Laurent Marcangeli del gruppo Horizons. Una sorta di “patentino” che certifichi il «consenso digitale» già previsto peraltro dall’Unione europea (e recepito dagli Stati membri) che fissa l’età minima per poter usare i social dai 13 ai 16 anni. Finora, però, quelle indicazioni sono rimaste lettera morta. «Vogliamo provare a regolare un mondo che non ha regole», ha spiegato Marcangeli, padre di due figlie di 8 e 10 anni. La proposta prevede che social e App come WhatsApp o Snapchat si possano usare solo dietro consenso dei genitori o di chi ne fa le veci. I controlli sarebbero responsabilità e compito delle piattaforme, che potrebbero avvalersi delle tecniche dell’Autorità di regolamento della comunicazione audiovisiva, l’Arcom. In caso di violazioni scatterebbero le multe, che non supererebbero l’1% del volume di affari delle stesse piattaforme. Tradotto, significa che Meta potrebbe arrivare a dover versare fino a 1 miliardo di euro.

Controlli e multe sono sufficienti?

La domanda, che interessa anche l’Italia, è: si riuscirebbe davvero a controllare l’identità dei giovanissimi? E le multe rappresentano davvero un deterrente? «Il Parlamento europeo ha già approvato il Digital Services Act che imporrà alle piattaforme più controlli e tutele per i minorenni. Sono previsti precisi obblighi di controllo che quindi i social network dovranno rispettare, ma sono norme di sistema, non agiscono sul caso concreto, salvo eccezioni» spiega l’avvocato Marraffino, che punta l’attenzione anche sui genitori (è recente il caso dello Sharenting, le polemiche sulla condivisione “selvaggia” da parte dei genitori, di foto e contenuti dei figli). «In Italia ci sono già stati tanti casi di figli minorenni che si sono opposti alla sovraesposizione sui social network da parte dei genitori e hanno ottenuto la rimozione dei contenuti condivisi senza il loro consenso. È un segnale grave dei tempi che viviamo. Diamo sempre la colpa ai giovani delle condotte illecite online, spostando l’attenzione dagli adulti di rifermento», aggiunge l’esperta.

I precedenti: TikTok non oltre 60 minuti

Sulla facilità nell’aggirare i blocchi ci sono già alcuni esempi, come quello di TikTok, che ha annunciato di introdurre a breve un limite di un’ora di uso giornaliero per i minorenni. In teoria nella fascia tra i 13 anni (età minima) e i 18, dopo 60 minuti lo schermo della App si dovrebbe oscurare automaticamente. In realtà la novità, oltre a non piacere agli adolescenti, è stata accolta negativamente persino dall’Europarlamento e dalla Commissione Ue, oltreché che dai governi di Usa, Canada e da molte università americane. A prescindere dalle critiche, si tratta soprattutto di una mossa per incentivare a un uso consapevole dei social, perché la stessa TikTok invierà un codice di sblocco per la App. Un successivo passaggio prevede che dopo 100 minuti d’uso (1 ora e 40’) arrivi un altro avviso per reimpostare il codice.

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Un problema di contenuti

Un altro limite, però, è rappresentato dai contenuti oltre che dal tempo trascorso sui social. Secondo Imran Ahmed, capo del CPSO Council about countering disinformation and digital hate (il centro britannico contro l’odio digitale), TikTok è «la cocaina degli algoritmi», paragonando la dipendenza della sostanza stupefacente a quella data dal social. «Il limite temporale annunciato da TikTok è un segnale, ma da solo non serve. Ci sono molti studi clinici a livello mondiale sui danni causati dagli algoritmi e sulle conseguenze neurologiche sui più giovani – spiega Marraffino – Non c’è dubbio che i social siano progettati per massimizzare gli introiti pubblicitari e quindi il tempo che trascorriamo a visualizzare i contenuti. Negli Stati Uniti ci sono molte cause pendenti su questo. In Italia stiamo vedendo oggi soltanto la punta di un iceberg. Le conseguenze sulla salute mentale dei nostri ragazzi e ragazze saranno a lungo termine e non sarà facile risolverle. Siamo a un punto critico, la responsabilità è collettiva. Abbiamo smesso di essere adulti autorevoli, rinunciando ad essere buoni esempi. Lo studio francese ha dimostrato che in media i minori compaiono in 1.300 fotografie pubblicate online prima dei 13 anni sui propri account o su quelli di genitori e parenti. Poi gli stessi genitori o parenti, che compaiono essi stessi spesso con foto intime o imbarazzanti, dovrebbero insegnare ai ragazzi come usare i social? Il cambiamento dovrà essere prima di tutto culturale e quindi sarà difficile e lungo. Richiederà un impegno su tutti i fronti, non soltanto su quello normativo», commenta Marraffino, impegnata con Terres des Hommes in diversi progetti proprio di sensibilizzazione dei giovani e degli adulti sulla responsabilità digitale.

Billie Eilish cancella le App dal telefono: «Fanno schifo»

Intanto ad alimentare il dibattito ci ha pensato anche Billie Eilish, che ha annunciato di aver cancellato le App social dal proprio smartphone, ribadendo un’opinione già espressa in passato, cioè che «fanno schifo» e che la sua scelta va direzione di «preservare la salute mentale». La pop star, infatti, ha spiegato (sì, sui social, ma probabilmente tramite altri device non sempre a portata di mano oppure tramite i suoi social media manager!): «Non li guardo più», aggiungendo: «Ho cancellato tutto dal mio telefono, il che è una cosa enorme per me». La cantante ha proseguito: «Quando ero preadolescente c’erano gli iPhone, e quando sono diventata un po’ più grande c’era tutto quello che abbiamo oggi. Ma quando ero una preadolescente e un’adolescente, su Internet ero una di loro. Ero una di quelle persone su Internet. E poi, dentro di me, mi sento come se non fosse cambiato nulla, ma all’improvviso faccio quello che ho sempre fatto e guardo Internet perché sono un personaggio di Internet… e lentamente i video che guardo e le cose che vedo su Internet riguardano me. Che schifo, che puzza, non mi piace», ha detto. Un paio di anni fa, invece, al Los Angeles Times aveva spiegato di essere pronta a rivedere le proprie attività online, «perché altrimenti andrei fuori di testa, e quello schifo è cattivo come la morte». Ora pare che abbia deciso seriamente di autolimitarsi.

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