Come ho sconfitto l’obesità

  • 09 10 2018

Il 10 ottobre è l'Obesity Day. In Italia una persona su 3 è sovrappeso. Obesità vuol dire prima di tutto salute a rischio. Ma anche vergogna, difficoltà a farsi accettare dagli altri, rifiuto di se stessi. Lo racconta Stefania, una donna che ci è passata. E ce l'ha fatta 

La mia storia di obesità forse nasce con me, nel 1978. Nasco in una famiglia umile, da genitori che si separano male poco dopo la mia nascita, vengo quasi abbandonata da mio padre. Cresco con mia mamma che fa mille sacrifici per farmi crescere, lavora solo lei e i soldi non bastano mai. Ho pochi ricordi di quel periodo, ma ricordo bene quando nel piatto c’era una fettina di carne per me e un pezzo di formaggio e pane per lei con la sua scusa “Mangia tu la carne perché io non ho fame”. Nonostante sia piccola, io capisco bene la sua privazione e quanto significhi quel gesto. Cresco con la convinzione che nel piatto non si debba lasciare niente, soprattutto per rispetto, per affetto, per amore.

amore, quell’amore che non sapevamo veicolare con le parole con i gesti affettuosi, quell’amore che passava attraverso il cibo. Ricordo una Stefania sottopeso da bambina, (a scuola mi prendevano in giro per la situazione familiare, all’epoca ero una mosca bianca e mi dicevano di mettere i sassi in tasca),  normopeso fino alle gravidanze.

Sono sempre stata una ragazza solitaria, non ho mai avuto un ottimo rapporto con me stessa, mi vedevo il brutto anatroccolo della situazione, mi sono sempre sentita inadeguata ed inferiore agli altri. Qualche delusione amorosa adolescenziale mi porta a chiudermi ancora di più e a pensare ” io non troveró mai l’amore della mia vita”.

Poi conosco Michele, mio marito: ci innamoriamo, ci sposiamo e poco dopo aspetto la mia prima figlia.

Cosa cambia? Non lo so, forse il dover assumere le responsabilità di una famiglia, fosse il voler essere riconosciuta come donna e non solo come madre, il mio peso lievita. Con Laura prendo 22 kg, sono ancora accettabile, anche se comincio a far fatica, mi stanco facilmente. Compaiono le prime magagne: ovaio policistico, assenza di ciclo mestruale, problemi ormonali e i chili vanno su. Nasce anche Daniele e ingrasso ancora.

Paradossalmente, pur vergognandomi del mio aspetto fisico, divento la “compagnona”, la Stefania disponibile a disposizione di tutti, la Stefania che non dice mai di no pur di non essere rifiutata. Sorrido sempre, fingo di essere felice, soddisfatta, non dico mai di no. Sono autoironica, mi prendo in giro da sola, mi chiamo” balena”, “cicciona”, “culona”, “mucca”…  mi prendo in giro da sola prima che lo facciano gli altri e questo fa meno male. Fa male avere su di sé gli occhi della gente che ti guarda con compassione, con disprezzo, con disappunto, con sufficienza, fa male sentirsi dire, soprattutto da persone all’interno della famiglia o vicine o amiche (almeno le credevo tali) che per dimagrire bisognava chiudere la bocca.

Mi impegno nel lavoro che amo, faccio la maestra, mi impegno nel canto che mi dà soddisfazione, canto in un coro gospel che presta la sua voce per sovvenzionare opere di volontariato. Cerco di trovare una mia “comfort zone”, quei posti, luoghi o attività in cui il mio peso non fa la differenza, dove posso essere brava nonostante il mio essere enorme.

Se devo dire come sono arrivata a pesare 116 kg, beh non so rispondere. Mi rendo conto di essere obesa, so che avevo paura di salire sulla bilancia, la mia immagine mi faceva schifo, tanto schifo e ribrezzo da aver tolto gli specchi da casa. Ho provato a fare  innumerevoli diete: quella del minestrone, la dieta con le anfetamine, percorsi alimentari con diversi dietologi e nutrizionisti, la dieta Dukan, la dieta del sondino, la dieta weight watchers, la dieta con le pastigliette miracolose e chi più ne ha più ne metta, mi mancava solo lo sciamano e l’esilio in Burundi. Ogni dieta è stato un fallimento fuori e dentro.

Ogni giorno era sempre più difficile vivere, trovare vestiti o tendoni da circo era diventata una missione impossibile, vestivo sempre di nero… Ero spenta.

Poi un giorno su un aereo provo la profonda vergogna, la cintura non si chiude, le hostess mi osservano e vogliono darmi la prolunga, la gente mi guarda. Vorrei sparire. Vorrei nascondermi ma sono troppo enorme per passare inosservata. Ecco, in quel momento ho toccato il fondo, lì ho deciso che dovevo salvarmi la vita, che dovevo fare qualcosa per me, per la mia famiglia, non volevo che si vergognassero per causa mia. Così come tutte le cose nulla avviene per caso… incontro i miei angeli, persone che mi raccontano il loro percorso, persone che mi parlano a cuore aperto perché hanno vissuto le mie stesse sensazioni, il gruppo “Amici Obesi”, i miei medici. Così supero la vergogna, la paura è mi sottopongo alla sleeve gastrectomy. Il giorno dell’intervento peso 116 kg, il mio bmi è 47, l’intervento è rischioso, me lo hanno detto. L’equipe della clinica Zucchi di Monza mi prende per mano e mi accompagna in questo faticoso e difficile  percorso.

Non voglio più sopravvivere voglio tornare a vivere, così entro in sala operatoria con tanta paura, ho il timore di non uscire viva da lì. Sono davanti alla porta del blocco operatorio e Vorrei fuggire, anche in quel momento riesco essere autoironica e confesso il barelliere che vorrei scappare e non lo faccio solo perché il camice operatorio è piccolo e mi si vede il sedere. Ricordo il freddo, la paura e due occhi blu dell’anestesista che mi fissano e che mi dicono che lei non permetterà che succeda nulla di male e che da quel momento in poi sarà tutto in discesa.

Ricordo di essermi svegliata ancora con quegli occhi blu che mi sorridevano e che mi dicevano che tutto era andato bene. Era il 5 ottobre 2016, il mio secondo compleanno, sono rinata.

L’intervento non è né la via più facile, né una bacchetta magica. Ho dovuto svezzarmi, imparare a mangiare di nuovo, capire quanto il mio stomachino potesse contenere, superare la paura, la pigrizia, la vergogna. Iscrivermi in palestra. poi pian piano arrivavano i risultati, la bilancia scendeva, la fatica diminuiva , il cibo non era più coccola ma era necessità per sopravvivere.

Mi sento finalmente forte. Forse per una volta nella vita sono riuscita a concludere qualcosa di positivo. Non so se ho vinto io contro l’obesità, probabilmente sarò obesa a vita nella mia testa e ho comunque paura che prima o poi io possa ritornare ad essere quella che ero.

2 anni fa pesavo 116 kg, oggi ne peso 50, sembra impossibile ma è così. Oggi sto finalmente bene e sono felice e questo intervento che mi ha cambiato la vita lo rifarei mille volte. (Stefania Lampedecchia)

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