Coronavirus: come parlarne ai bambini

Cosa dire ai bambini sul coronavirus e come, ora che molte scuole sono chiuse. Le prime regole sono: non trasmettere ansia con parole e comportamenti e non spiegare troppo. Ecco i consigli del pedagogista Daniele Novara  

A causa del coronavirus, molte scuole sono chiuse nelle regioni del nord, dalla Lombardia al Veneto, passando per Liguria, Emilia Romagna. Si tratta di una misura di precauzione che, secondo le autorità, permette di evitare la propagazione del virus Covid-19, ma che ha già avuto l’effetto di spaventare molti genitori e bambini. Come si può parlare di quanto sta accadendo senza creare eccessive paure nei più piccoli? Da che età li si può coinvolgere?

Regola numero 1, non trasmettere ansia

«I genitori si pongono domande e non è sempre semplice avere risposte scientifiche e comunque attendibili. È invece facile cadere nell’enfasi emotiva che non aiuta i più piccoli a vivere in questa inedita situazione» premette il pedagogista Daniele Novara. «Il tema di fondo è non terrorizzare i bambini, che a causa della loro età non sono in grado di capire contenuti e toni eccessivamente minacciosi» spiega l’esperto, fondatore del Centro Psico-Pedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti.

Non allontanarli dalla famiglia

«I bambini e le bambine vivono gli stati emotivi dei loro genitori, sono estremamente permeabili alle loro ansie e paure, alle loro inquietudini. È quindi da evitare in modo assoluto un atteggiamento di spavento da parte di madri e padri, che devono piuttosto essere presenti per rassicurarli. Come dimostrato dagli studi di Donald Winnicott, proprio come accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale, i bambini meno traumatizzati furono quelli che restarono nei rifugi con i genitori piuttosto che quelli che furono allontanati dai genitori per andare in speciali strutture lontano dalla città» spiega Novara. Nessun allontanamento, dunque, per mandarli ad esempio dai nonni o altri parenti nel tentativo di ridurre i rischi per i figli perché, al contrario, si avrebbe l’effetto di aumentarne l’ansia.

Non raccontargli troppo

«Finché sono piccoli (almeno fino ai 6/7 anni) non è necessario, anzi è sconsigliabile, cercare di fornire spiegazioni lunghe ed elaborate ai bambini, magari scientifiche o sociologiche, che non sono in grado di capire perché non hanno ancora le capacità cognitive per farlo: sono sufficienti indicazioni operative, semplici e asciutte, basta dire loro che le scuole sono chiuse (cosa che peraltro li renderà anche felici), perché c’è una malattia. Non serve altro e non è opportuno neppure eccedere con le rassicurazioni, che a volte sono solo un modo per gli adulti di tranquillizzare se stessi» consiglia il pedagogista.

Non guardare i telegiornali 

«Il consiglio è di tenerli lontani dai telegiornali, dai dibattiti tv in genere, da immagini che possono essere “forti” (come quella dell’uomo morto per infarto in Cina, per strada, ma di cui si era detto fosse una vittima di coronavirus) e dai social, almeno fino ai 10 anni. I toni enfatici di questi giorni possono solo spaventare ed è controproducente trattare i bambini come fossero adulti. Diverso è il discorso in età preadolescenziale, dagli 11 anni, dall’età delle medie, quando si può iniziare a fornire loro qualche indicazione in più» consiglia l’esperto.

Rendere attivo il tempo libero

«Esattamente come accade d’estate, quando le scuole sono chiuse, è possibile impegnare i bambini in attività alternative, portarli al parco, farli giocare con qualche amico. Insomma, non occorre vivere come se si fosse in unlazzaretto, a meno che non ci siano condizioni di isolamento e quarantena particolari» spiega Novara.

Lasciare esprimere la paura

Se poi si nota che i bambini stanno comunque vivendo una condizione di paura, si può cercare di convogliare questi sentimenti negativi in altre forme di comunicazione, come i disegni, ma senza esagerare: «Per i bambini è normale prendere spunto dalla realtà: lo facevano anche quelli sotto assedio a Sarajevo, che disegnavano le bombe. Ma non vanno comunque forzati, va lasciata loro la possibilità di esprimere il pensiero magico e fantastico in modo naturale» conclude Daniele Novara.

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