Tampone: perché non si fa a tutti

In vista della fase 2 si parla con insistenza di tamponi come condizione per il rientro al lavoro e a scuola. Ma è una condizione che si scontra con la realtà italiana e con i limiti del test

Riaprono alcuni esercizi commerciali e produttivi, si pensa a una ripresa di attività anche prima del 3 maggio, ma previo tampone per controllare che i lavoratori siano negativi al coronavirus. Ma è davvero percorribile la strada dei controlli a tappeto, anche nel mondo della sanità e successivamente della scuola?

Tamponi: perché non si possono fare a tutti

L’Organizzazione mondiale della Sanità ha raccomandato di non eccedere nei tamponi, da effettuare solo ai sintomatici che presentino problemi respiratori e febbre o che abbiano una storia clinica a rischio, motivo per cui anche molti medici non sono sottoposti a test, se non lavorano in reparti Covid.

Ma in vista della fase 2 si parla con insistenza di tamponi come condizione per il rientro: «Il problema dei controlli con tampone nasale o orofaringeo è quanti kit abbiamo a disposizione. Pensare di farne a 60 milioni di abitanti presuppone un’organizzazione su più livelli. Nel nostro laboratorio, ad esempio, ne possiamo fare fino a 1.300 al giorno, ma molto dipende anche da quanti sono i kit a disposizione, prenotati e acquistati dalle singole Regioni, tra le quali ci sono molte differenze» premette l’infettivologo Massimo Puoti, Direttore del Reparto di Malattie Infettive all’ospedale Niguarda di Milano.

Quanti se ne possono fare?

I dati di un mese fa mostravano già come, a fronte di circa 125mila tamponi su scala nazionale, in Lombardia ne erano stati fatti oltre 40mila, in Veneto 32mila, in Emilia Romagna 12mila, nel Lazio appena 8.3345. a seguire le regioni del sud, come Sicilia (2.400), Campania (2.213) e Puglia (2.013). Nelle ultime settimane, però, c’è stata un’accelerazione, con i tamponi saliti di 36mila unità già al 25 marzo, sia per i doppi controlli, sia per la scelta di regioni come il Veneto di procedere a screening a tappeto: «Il professor Crisanti, che ha messo a punto il piano di contenimento dell’epidemia in Veneto, ha spiegato che la Regione ha prenotato 500mila tamponi, ma la popolazione resta comunque superiore, quindi non sono sufficienti per tutti» spiega Puoti.

In altri Paesi i numeri sono di gran lunga superiori: in Germania, ad esempio, sono 500mila i tamponi settimanali, circa 70mila al giorno, pari a oltre 10 volte tanto quelli effettuati in Italia (circa 6.000 al giorno, secondo i dati della Protezione civile e delle Regioni).

Tempi e modi

Rispetto alle prime settimane, i tempi per ottenere il risultato di un tampone si sono accorciati: dalle 24 ore iniziali per un responso si è scesi anche a 4/6 ore di media. «I tamponi possono essere effettuati anche in auto, ci sono test che permettono di avere i risultati rapidissimi, anche in 45 minuti, e sono piuttosto affidabili, ma occorre un’organizzazione logistica accurata, che prevede risorse materiali e umane, di personale. Si devono acquistare i bastoncini di cotone di cui sono costituiti i tamponi e i reagenti, ma si deve disporre anche delle macchine che processino il risultato e del personale addetto. Teniamo presente che in un momento di grande richiesta mondiale di kit la capacità produttiva non è infinita» spiega l’infettivologo.

Se il costo della materia prima è contenuto (1 euro circa a bastoncino) a incidere è invece quello dei reagenti, della lavorazione e dei trasporti. Anche per questioni di spese, ad esempio, nel Lazio si è dato il via libera ai test sierologici (45 euro con prelievo venoso, 20 con sangue capillare, con esito in 15 minuti per entrambi. Ma l’affidabilità non è la stessa tanto che la Regione ha imposto alle aziende di specificare che il risultato non fornisce alcun tipo di certificazione per un’eventuale guarigione, positività o contagiosità della malattia.

I limiti dei tamponi

«I tamponi al momento rappresentano lo strumento principale e più affidabile di cui disponiamo per individuare i contagi, ma hanno anch’essi dei limiti. Ad esempio, non tutti possono effettuarli, occorre una formazione del personale: il bastoncino va infilato con una certa inclinazione e deve toccare una parte precisa del tratto rinofaringeo, altrimenti si rischia un falso negativo. Chi è a digiuno di anatomia potrebbe sbagliare» spiega l’infettivologo del Niguarda. «Anche la tempistica è fondamentale, perché effettuato troppo presto potrebbe risultare negativo, mentre la malattia potrebbe comparire nei giorni seguenti. Oppure potrebbe capitare che il virus non si trovi più nel naso o in gola, ma sia già nei polmoni» aggiunge il direttore del reparto di Malattie infettive dell’ospedale milanese.

Altre soluzioni?

«Negli ospedali procediamo con più valutazioni per poter stabilire se un paziente è contagioso: oltre al tampone si fa un’ecografia polmonare e si indaga la storia clinica. È chiaro che non è pensabile seguire questa procedura su larga scala, quindi occorre organizzarsi per aumentare i tamponi, possibilmente incrociandoli con i test sierologici, dunque da fare entrambi. Ma nel frattempo bisogna affidarsi ad altre misure: il distanziamento sociale e le mascherine sono indispensabili. I termoscanner e le termocamere possono essere utili, ma non del tutto affidabili, dal momento che ci sono anche asintomatici che dunque non presentano febbre, ma possono trasmettere l’infezione» conclude Massimo Puoti.

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