Dieta mima digiuno contro il tumore al seno

La restrizione calorica, insieme a un farmaco antidiabetico, possono combattere il cancro al seno. Ecco lo studio innovativo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano

Una dieta mima digiuno, molto controllata e seguita dai medici a cicli di cinque giorni, può aiutare a combattere uno dei tumori più resistenti alle terapie: il cancro al seno triplo negativo. Dopo alcuni risultati positivi emersi dai primi studi in materia, un team dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano sta conducendo uno studio su un campione di 90 donne tra i 18 e i 75 anni, sulle quali l’azione combinata di una restrizione calorica molto severa di appena 1.800 calorie in cinque giorni, associata a un farmaco anti-diabetico, sembra aumentare le probabilità di prognosi positiva nelle pazienti che devono sottoporsi a chemioterapia e intervento chirurgico.

Lo studio Breakfast

Si chiama Breakfast ed è stato avviato prima dell’estate, dopo una serie di analisi precliniche e cliniche, con lo scopo di migliorare la prognosi in uno dei tumori peggiori, quello al seno triplo negativo, che colpisce le donne, è operabile, ma contro il quale le attuali terapie (come l’immunoterapia) non danno esiti soddisfacenti. «Si tratta di un percorso iniziato con altre ricerche. Analizzando i dati dei tumori endocrini nell’ambito dello studio FAME, ad esempio, ci siamo accorti che i pazienti con tumori endocrini che assumevano il farmaco antidiabetico metformina avevano il doppio di sopravvivenza rispetto agli altri. Dalla ricerca DigesT su soggetti sottoposti a una dieta ipocalorica, è emerso invece che questa restrizione alimentare dà effetti del tutto simili a quelli della somministrazione di un farmaco. Partendo da questi presupposti abbiamo cercato di capire se una dieta molto severa, che riduce in particolare gli zuccheri e le proteine, possa essere applicata a persone malate di cancro, aumentando in modo significativo la guarigione» spiega Filippo de Braud, direttore del Dipartimento e della Divisione di Oncologia Medica ed Ematologia dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e coordinatore dello studio Breakfast.

«Lo scopo è proprio quello di guarire più persone e l’obiettivo è molto ambizioso: passare dall’attuale 45% di prognosi di scomparsa del tumore ottenuta con la sola chemioterapia al 65%, dunque con un aumento di circa il 50% grazie a una terapia basata sull’associazione tra la metformina e una severa restrizione calorica» dice il professore. Ma qual è l’azione di una dieta mima digiuno?

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Perché la dieta mima digiuno aiuta?

La dieta ipocalorica sperimentata prevede una forte riduzione di zuccheri e proteine, basandosi invece soprattutto su cibi freschi come insalata, zucchine e verdure a foglia verde, insieme a olio di oliva e frutta secca, quest’ultima per il suo apporto di grassi “buoni”. Non sono ammesse, invece, proteine (da carne, formaggi, pesce né legumi) né alcuni tipi di ortaggi come patate, zucca o carote perché più ricchi di carboidrati. «Va seguita in concomitanza con la chemioterapia, come fase preparatoria all’intervento chirurgico e prevede solo 1.800 calorie in cinque giorni, ossia circa quelle che sono assunte normalmente da un soggetto adulto in un giorno solo» spiega l’esperto dell’INT di Milano.

Ma perché questo regime alimentare aiuta contro il tumore? «Perché si va a modificare il metabolismo e la risposta immunitaria dell’organismo riducendo l’apporto di zucchero, che rappresenta un fattore di crescita delle cellule tumorali. La drastica restrizione proprio degli zuccheri e delle proteine, che insieme forniscono energia ai tessuti, crea uno stress che aumenta la sofferenza delle cellule tumorali. Queste, infatti, hanno meno capacità di risposta immunitaria, faticano maggiormente a rigenerarsi e a recuperare il danno chemioterapico rispetto a quelle sane. In pratica la dieta le rende più vulnerabili nei confronti di un trattamento chemioterapico» spiega De Braud.

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L’aiuto del farmaco antidiabete

L’azione del farmaco antidiabetico metformina è stata dimostrata da alcuni studi e di recente confermata dall’IFOM, l’Istituto FIRC di oncologia molecolare, creato dalla Fondazione Italiana per la Ricerca sul Cancro. «Questo farmaco ha dato risultati positivi su alcuni tipi di tumore endocrino, perché permette di abbassare ulteriormente l’assorbimento di zuccheri e incide sul metabolismo degli zuccheri stessi» spiega il direttore del Dipartimento e della Divisione di Oncologia Medica ed Ematologia dell’INT di Milano, Filippo de Braud.

I vantaggi: maggiore guarigione

«La scelta di questo tipo di cancro, quello alla mammella, è legata a diversi motivi: si tratta di un tumore molto frequente, operabile, ma verso il quale oggi non ci sono alternative terapeutiche efficaci. Ha anche il vantaggio di permetterci di misurare l’efficacia del trattamento sperimentale, perché la prognosi con la sola chemioterapia e con l’intervento chirurgico non è così positiva. L’obiettivo è arrivare a un’alta percentuale di scomparsa del tumore sia a livello della mammella che dei linfonodi, con una guarigione completa che noi miriamo a portare al 65% dei casi» spiega De Braud.

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Gli svantaggi: dieta troppo restrittiva?

Il maggiore dubbio nei confronti di una dieta ipocalorica molto restrittiva riguardava la sua tollerabilità in pazienti già fragili in quanto malati. «Per questo è stata prima testata sui medici stessi, poi proposta ai malati, che sono però seguiti da un intero staff medico che conta anche su un nutrizionista, su infermieri di ricerca e sulla grande disponibilità dei medici, che seguono quotidianamente i pazienti anche a casa, grazie a scambi di email o sms nei quali possono chiarire dubbi o fornire un supporto: insieme sono suggeriti i cibi più adatti, anche tenendo in considerazione i gusti personali dei pazienti. In questo c’è una grossa differenza rispetto alle diete come quella di Walter Longo, che è fortemente standardizzata» spiega il professor De Braud. «Va anche prestata molta attenzione perché, essendo molto restrittiva, non rappresenta uno stile di vita, ma viene somministrata come fosse un vero e proprio farmaco, per soli cinque giorni, in modo non ripetuto e in concomitanza con la chemioterapia, a cui i malati sono sottoposti ogni tre/quattro settimane». Gli esperti, che proseguiranno lo studio nei prossimi mesi e lo concluderanno entro la fine del 2021, mirano poi ad estendere la terapia, in caso di conferme positive, a un campione maggiore di pazienti.

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