Elly Schlein

Elly Schlein: «Prendiamoci il nostro spazio»

La politica l’ha scoperta da ragazzina, guardando il tg con il nonno. Oggi,
a 37 anni, Elly Schlein ha vinto le primarie del 26 febbraio ed è diventata la prima donna alla guida del Pd dalla sua fondazione nel 2007. Noi l'abbiamo intervistata alla fine della campagna elettorale, quando ci ha raccontato di sé, dell'infanzia, dell'impegno politico e dei progetti per le donne

La vittoria di Elly Schlein alla guida del Pd

Elly Schlein ha vinto le primarie del 26 febbraio davanti a Stefano Bonaccini ed diventata la prima donna alla guida del Pd dalla sua fondazione nel 2007. Ma è anche la più giovane del partito: ha 37 anni. «Il popolo democratico è vivo, c’è ed è pronto a rialzarsi con una linea chiara» ha detto Elly Schlein parlando alla sede del suo comitato.

Una campagna elettorale anche all’estero

Noi l’abbiamo intervistata gli ultimi giorni della campagna elettorale quando viaggiava tra le piazze d’Italia, e non solo. «Da quando ho deciso di candidarmi alla segreteria del Partito Democratico – ci raccontava – percorro l’Italia da Nord a Sud, e vado anche all’estero. Bisogna ascoltare tutti. In particolare, chi in questi anni si è sentito trascurato dalla sinistra. Ecco perché ho voluto che questa campagna fosse “capillare”».

La nostra intervista al telefono sul treno

Siamo riusciti a raggiungerla soltanto al telefono, era in treno tra Bologna e Lugano per l’ennesima tappa del tour. La linea andava e veniva. Ma lei, precisa proprio come la raccontano, richiamava sempre. Una vera fatica. E non mi riferisco a questa intervista a distanza, ma al ritmo delle sue giornate… «Facciamo anche cinque comizi al giorno, dormendo tre o quattro ore a notte. Sono abituata alle campagne eletchange maker torali, ma questa è splendida, la ricorderò. E quando c’è l’adrenalina, alla fine la stanchezza non la senti più». In effetti, pur essendo tra i volti giovani della sinistra, di sfide elettorali ne ha già affrontate molte.

Come ha iniziato, e perché? «Già a scuola mi ero avvicinata alla politica. Ma vuole sapere qual è la verità?».

Mi dica. «L’attenzione alla cosa pubblica ha sempre fatto parte della mia vita, si masticava già in casa, ogni giorno. È così che sono stata cresciuta». E con chi ne discuteva? «Finché era in vita, con mio nonno Agostino Viviani, parlamentare della Repubblica. Ma anche con i miei genitori, all’ora di cena, durante il tg, ascoltavamo le notizie e le commentavamo».

Quando nasce l’impegno personale? «All’università. Sono stata per due volte rappresentante degli studenti e, senza neanche accorgermene, ho iniziato a fare sul serio».

Le nuove generazioni, però, sembrano lontane dalla politica. Anche alle ultime elezioni regionali è stato così. Come si corregge questo distacco?

«Non credo affatto che siano distanti dalla politica, credo lo siano dai partiti. Anzi, loro sono già in piazza contro lo sfruttamento sul lavoro, per il clima, per la lotta femminista, contro ogni forma di razzismo».

Non è un caso, quindi, che questi siano anche i temi al centro della sua piattaforma politica…

«Certo. Sono istanze su cui il Paese è rimasto indietro e a raccoglierle ci hanno pensato le nuove generazioni. Che vanno ascoltate, perché ci stanno indicando una via. La destra si preoccupa tanto dell’immigrazione, ma non guarda all’emigrazione dei giovani che non si sentono più a casa in Italia».

Lei, invece, ha scelto di restare. Perché?

«Guardi (ride, ndr), il mio è un caso un po’ particolare. Non ho solo scelto di restare, ho scelto di venire in Italia. Mio padre è americano, trapiantato in Europa. Mia madre toscana. E io sono cresciuta in Svizzera. Sono venuta qui per amore della patria materna e ci sono rimasta perché credo ci siano tante energie da liberare».

Come si liberano le energie?

«Per iniziare, combattendo il lavoro precario e povero, l’unico che i giovani conoscano. Non riesco a togliermi dalla testa il video, diventato virale, di quella giovane ingegnera informatica che ha rifiutato un lavoro a 750 euro al mese. Mentre queste battaglie si diffondono in Rete, noi dove siamo? Io credo che dobbiamo essere al fianco dei ragazzi. Poi, c’è la transizione ambientale. Con le crisi climatiche ed energetiche in atto, rischiamo di pagare quattro volte tanto quello che ci sarebbe costata una conversione energetica».

Lei è giovane, e donna. Quando è entrata per la prima volta in una sezione di partito, erano tutti uomini e più grandi di lei?

«Purtroppo è così. Ero alla Bolognina per Romano Prodi, nel 2013. Il punto è che la sensazione che ho provato io allora la provano ancora oggi molti giovani e molte donne. E questo deve finire».

Possiamo dire che nel suo caso c’è un doppio soffitto di cristallo da sfondare?

«Sì, ma con la mia candidatura voglio aprire un varco per chi non trova il proprio spazio».

Quanto pesa il machismo sulle donne in politica?

«Una militante mi ha raccontato che in una riunione di partito le è stato chiesto: “Tu di chi sei figlia?”. Si fatica ancora ad accettare che una donna possa farsi strada senza essere strumento di altri. È una mentalità sessista, patriarcale e paternalista. Trasversale a tutti i partiti».

Con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, però, la scelta di appoggiare lei, donna e giovane, non potrebbe essere anche una mossa tattica di alcuni dirigenti Pd?

«No, esisteva già un’esigenza nella società, che soffre molto la sottorappresentazione femminile. Nelle altre forze progressiste d’Europa questo problema non c’è».

La politica, però, non è un posto accogliente per chi, donna o uomo che sia, ha sulle spalle doveri di cura familiare. Penso alle sue giornate da candidata: quanto spazio rimane per la vita privata?

«Poco, davvero poco (per la prima volta durante l’intervista, la Elly che risponde sicura e rapida a ogni domanda tira un sospiro e riprende fiato, ndr). Le dico che oggi ho dormito a casa, ma erano dieci giorni che non riuscivo a farlo. È pesante. Quindi, sì, anche in politica si dovrebbe avere più a cuore l’equilibrio tra impegno pubblico e tempo privato. Vale per ogni mestiere».

Come si risolve?

«Il tempo di cura, che troppo spesso ricade solo sulle donne, va redistribuito nel nucleo famigliare. E servono strumenti nuovi per riuscirci».

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Per esempio?

«Più investiamo nelle infrastrutture sociali, per esempio nidi o servizi per anziani e disabili, più liberiamo il tempo delle donne. Questo è un altro tema che sfugge alla destra».

Anche alla prima donna arrivata a Palazzo Chigi?

«Be’, la prima manovra del governo, stravolgendo Opzione Donna, colpisce proprio le lavoratrici e la loro possibilità di andare in pensione anticipatamente».

Da dove bisognava partire secondo lei?

«Dal gap occupazionale e salariale che c’è, nonostante le donne in media si laureino con risultati migliori degli uomini». Nell’ottica del cambiamento culturale, però, l’elezione di Giorgia Meloni non è comunque una buona notizia? «Non è utile avere una premier donna se poi questa non aiuta le altre donne. C’è una enorme differenza tra leadership femminile e leadership femminista».

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E qual è?

«Una leadership femminista è meno machista, non sostituisce l’uomo solo al comando con la donna sola. Per rompere davvero il soffitto di cristallo servono anche le altre donne, ma come puoi coinvolgerle se mentre tu ce la fai loro rimangono indietro?».

Ora che è diventata la prima donna alla guida del Pd, ci aspettiamo da lei una leadership femminista. Concretamente, cosa significherà?

«Vogliamo un partito in cui non ci siano più riunioni a porte chiuse tra soli uomini. Anche nelle liste, non può più accadere che si sacrifichi la parità di genere. Per realizzare una democrazia pienamente paritaria bisogna sperimentare».

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