Giorgia Meloni

Giorgia Meloni, intervista esclusiva per Donna Moderna

Giorgia Meloni, la prima premier nella storia d’Italia, racconta la sua nuova vita «da maratoneta» in questa intervista esclusiva della direttrice di Donna moderna, Maria Elena Viola. Guarda anche il nostro speciale "Conciliazione, basta parlarne: facciamola"

Il 15 gennaio è stato il suo compleanno. Una buona stella ha voluto che cadesse di domenica, almeno le candeline (46) è riuscita a spegnerle in famiglia.

Giorgia Meloni: donna, giovane e mamma

Dal 22 ottobre dello scorso anno, da quando cioè l’ex Presidente del Consiglio Mario Draghi le ha passato il testimone con la rituale consegna della campanella, per Giorgia Meloni non esistono più weekend né anniversari né feste. Si lavora, si lavora sempre. Nei primi 100 giorni dall’inizio del suo mandato di cose ne ha fatte, dimostrando agli scettici che si può essere donna, per di più giovane e madre, e governare un Paese. Concetto ampiamente sdoganato nel resto del mondo (pensiamo alla collega finlandese Sanna Marin e alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che di figli ne ha 7), ma da noi ancora nuovissimo, essendo il primo caso nella storia d’Italia.

La conciliazione: una grande responsabilità

Una responsabilità mica da ridere. Perché diventare il prototipo istituzionale delle pari opportunità e della famigerata “conciliazione” impone impegno e attenzione su questi temi rispetto a tutta la popolazione femminile. Dal nostro premier (ma ci piacerebbe dire “nostra”), comunque la si pensi, ci aspettiamo grandi cose. Essendo riuscita dove altre, magari altrettanto meritevoli, hanno fallito: espugnare la fortezza di Palazzo Chigi. Una volta lì, non ci sono scuse: è possibile – e bisogna – cambiare le cose. Intanto la sua vita com’è cambiata?

Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen
Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen

Giorgia Meloni: la nostra intervista esclusiva

Prima donna premier nella storia d’Italia e, in più, mamma di una bimba di 6 anni. Il bilancio “personale” di questi primi 100 giorni.

«La mia vita è diventata più frenetica, ma non meno entusiasmante. Servire la Nazione come Presidente del Consiglio è un privilegio che va onorato ogni giorno con tanto lavoro, dedizione e senso di responsabilità. Certo, lei può immaginarlo, questo ha reso ancor più complicato riuscire a conciliare famiglia e lavoro, ma cerco di mettercela tutta per ritagliarmi più tempo possibile per stare con Ginevra. A volte riesco di più, altre meno, ma ho la fortuna, che tantissimi altri genitori in Italia non hanno, di poter contare su diverse persone che mi danno una mano. Andrea è un padre straordinario, estremamente presente e attento, e sa arrivare dove io non riesco. Poi ci sono mia sorella Arianna, i nonni di Ginevra, la mia assistente Patrizia che risolve mille problemi, la tata di Ginevra, Betty, che ormai è parte della famiglia: sono insostituibili, e insieme a me fanno i salti mortali per stare dietro a tutto».

Ci racconti una sua giornata tipo.

«È un po’ come essere dentro un grande frullatore. Palazzo Chigi è una macchina che lavora h24, 7 giorni su 7, 365 giorni all’anno. Non ci si ferma mai. Enrico Mentana la definirebbe una “maratona”. È esattamente così: si è sempre in diretta, senza pause. Il rischio è quello di essere completamente assorbiti, essere risucchiati del tutto, senza lasciare spazio a se stessi e alla famiglia. Faccio il possibile per accompagnare mia figlia a scuola, quando riesco, e per tornare a casa alla sera per metterla a dormire, come ho cercato di fare sempre. Leggerle i libri, giocare e parlare prima che si addormenti è la nostra tradizione. Per questo cerco di limitare al massimo le notti fuori casa, facendo di tutto per tornare anche quando sono all’estero. Certo, a volte è impossibile, ma cerco di non perdere tempo, di comprimere al massimo l’agenda. Preferisco saltare il pranzo che tornare troppo tardi la sera. Non solo perché è importante per Ginevra, e per Andrea, ma perché lo è per me. Ci sono giornate che sembrano tragiche, poi torni a casa, stai un po’ con Andrea, con Ginevra e il suo entusiasmo, sai che stanno bene, e ti rendi conto che tutto il resto si supera«.

Giorgia Meloni
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L’Italia è un Paese in cui la conciliazione tra famiglia e carriera è ancora difficile. I dati ci dicono che molte donne lasciano il lavoro o scelgono il part time al primo figlio, per mancanza di aiuti. Quelle che investono sulla carriera spesso sono costrette a grosse rinunce. Come prima donna premier, sente la responsabilità di attuare una serie di politiche che favoriscano il famoso “work-life balance”?

«Purtroppo, viviamo in un modello sociale che finora non ha considerato la genitorialità come un valore aggiunto o una risorsa ma come una penalità. E l’organizzazione del lavoro finisce per incidere in modo più pesante su chi è donna e madre. Bisogna invertire questa tendenza. Occorre sostenere il lavoro femminile, incentivare le imprese che assumono donne e sostenere tutti gli strumenti, sia pubblici che privati, di conciliazione vita-lavoro. Con questa manovra di bilancio abbiamo già dato primi importanti segnali: abbiamo aumentato del 50% l’assegno unico per il primo anno di vita del bambino, e per 3 anni alle famiglie numerose. Abbiamo esteso di un mese il congedo retribuito all’80%, e quel mese si può usare fino al sesto anno di vita del bambino. Abbiamo portato al 5% l’Iva sui prodotti per la prima infanzia. Un miliardo e mezzo di euro in una manovra con scarse risorse è stato destinato alla famiglia. Intendiamo proseguire su questa strada e fare di questo tema uno degli obiettivi di legislatura. Anche sul fronte culturale, per far riscoprire la bellezza di mettere al mondo un bambino e far comprendere che i figli sono una risorsa per la Nazione. Perché se non torniamo a produrre “Pil demografico”, i nostri “anni di futuro”, l’Italia è destinata a scomparire».

Giorgia Meloni

Nel nostro Paese ci sono ancora poche donne in politica. Perché, secondo lei? 

non sia possibile competere ad armi pari con gli uomini. Il risultato è che, spesso, le donne finiscono per competere soprattutto tra loro e non riescono a fare squadra, con buona pace della tanto sbandierata solidarietà femminile. Oppure, e questo è accaduto più spesso a sinistra, si è percorsa un’altra strada: accontentarsi di qualche “concessione” di posti o quote da parte dei colleghi uomini. Io credo in una società nella quale siano valorizzate le peculiarità di uomini e donne e l’unico criterio per selezionare la classe politica sia quello del merito, della competenza e della capacità di mettersi al servizio dell’Italia. Maschilismo? Io non ho mai avuto problemi a confrontarmi con i miei colleghi uomini e il mio percorso politico lo dimostra. Essere la prima donna Presidente del Consiglio è una grande responsabilità ma anche una grande opportunità, perché quel pesante tetto di cristallo che le donne avevano sulla loro testa è stato rotto». 

Il suo compagno come ha vissuto il suo nuovo ruolo? Per gli uomini non sempre è facile accettare che la compagna abbia una posizione più importante… 

«Direi che solo gli uomini poco sicuri di se stessi e che hanno una visione distorta della donna vivono con fastidio la possibilità di aver al loro fianco una moglie o una compagna con una posizione più importante. Andrea non rientra in questa categoria». 

Sono molti i pregiudizi verso di lei. In questi mesi hanno avuto da ridire su tutto, dal look alla figlia al G20. Chi l’attacca di più, gli uomini o le donne? 

«Sinceramente non saprei dire se le critiche vengano di più dagli uomini o dalle donne. È una statistica che non ho mai fatto e che sinceramente non mi interessa fare. Diciamo che sono una che agli insulti e alle critiche, anche le più feroci e cattive, è abituata. Infatti rispondo solo di rado. Rispondo più volentieri alle critiche, soprattutto quelle surreali, come ho fatto quando si è aperto il dibattito perché avevo portato con me Ginevra al G20 di Bali. Non credo che gli opinionisti o altri politici debbano sindacare anche su come crescere mia figlia».

Lei è una “prima della classe”. Come la gran parte delle donne, studia, non improvvisa. Prova mai la cosiddetta “sindrome dell’impostore”, ovvero quella ingiustificata sensazione di non essere all’altezza? Paradossalmente è una situazione in cui incappano le più preparate e sgobbone.

«È una sensazione che conosco bene. Sono cresciuta con l’idea di non meritare nulla. Non mi sento mai pronta e ho sempre paura di non essere all’altezza. Ma credo che questa paura sia anche la mia forza. E quello che mi spinge a non smettere mai di studiare, a essere così pignola e a voler dimostrare anche più di quello che a volte sarebbe necessario. Non so se questa possa essere definita “sindrome dell’impostore”. Preferisco una parola straordinaria che usano i greci: meraki, fare qualcosa con tutto te stesso, con tutta la tua passione e con tutta la tua anima».

Come ha vissuto la bambina questo suo incarico così importante? 

«Quando abbiamo vinto le elezioni mi ha scritto un biglietto: “Cara mammina, sono tanto felice che hai vinto. Ti amo tanto”. È stato un colpo al cuore, mi ha emozionato tantissimo. Ginevra non ha compreso benissimo quello che è successo ma ha capito che ora la mamma fa un lavoro molto importante, che è più impegnata di prima e che spesso non può essere con lei. Ma è una bambina molto paziente e sa che faccio tutto questo per lei. Poi a volte mi rimprovera per le mie assenze, e il mio cuore diventa una nocciolina. In ogni caso, cerchiamo di farla crescere tranquilla, proteggendo la sua infanzia e la sua intimità, evitando di farle vivere situazioni non adatte a una bambina della sua età. Trasferirsi e vivere a Palazzo Chigi, per esempio, sarebbe stata una di queste. Voglio che Ginevra faccia una vita normalissima». 

Qual è l’insegnamento più grande che vorrebbe dare a sua figlia? 

«Che le scorciatoie nella vita non esistono. Devi prendere la strada lunga, o rischi di arrivare alla meta senza avere il bagaglio adatto, e allora puoi farti male. E se credi in qualcosa, non devi mai avere paura di difenderlo. Anche se ne pagherai le conseguenze. La coscienza è l’unico giudice davvero disinteressato di cui disponi». 

Perché ha deciso di farsi chiamare Presidente al maschile? Potrebbe cambiare idea? 

«Ma, guardi, questa vicenda è nata soprattutto da un disguido. Sicuramente io penso che la parità uomo-donna non si risolva dicendo “insegnanta” o “capatrena”. Ma, a parte questo, gli italiani possono chiamarmi come preferiscono. Anche Giorgia».

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