L’Erasmus ha 30 anni. Funziona ancora?

Lo storico programma di scambio tra facoltà ha fatto muovere generazioni di ragazzi in Europa. Offre anche una chance in più per trovare lavoro?

Chi va in Erasmus ha il 10% in più di probabilità di trovare lavoro e, in un caso su 4, pure l’anima gemella. I dati della Commissione europea non lasciano dubbi: il programma di mobilità per gli studenti finanziato dall’Ue è un’esperienza che cambia la vita. Nato nel 1987, esattamente 30 anni fa, ha fatto muovere dal Mediterraneo al Mar Baltico oltre 9 milioni di persone. Dedicato prima solo agli studenti universitari, si è trasformato poi in Erasmus+ e ha coinvolto anche insegnanti in aggiornamento, volontari alle prese con progetti di inclusione sociale, alunni di scuole superiori gemellate e neolaureati desiderosi di fare uno stage aziendale all’estero. Intrecciando rapporti, conoscenze, lingue e culture Erasmus si è rivelato il vero motore dell’integrazione europea. Con i suoi pro e i suoi contro, come gli esperti spiegano qui, rispondendo alle domande che prima o poi si fa chi ha un figlio all’università.

Questo programma ha ancora senso o rischia di far perdere tempo?

Oggi le famiglie viaggiano di più e Internet apre al mondo, ha ancora senso nel 2017 parteciparci? «L’Erasmus non è solo un’esperienza di studio o di stage all’estero. È un percorso di cittadinanza europea, è la faccia concreta di un’Europa che spesso ci appare come un concetto astratto» spiega Sara Pagliai, coordinatrice dell’Agenzia nazionale Erasmus+ Indire. «Le iniziative organizzate per i ragazzi, il riconoscimento del percorso di studi tra università lontane, il fatto di essere soli ma in un contesto di “simili” rende questa esperienza unica, diversa da tutte. E anche utile: il 50% degli studenti rimasti all’estero ha trovato lavoro. Non bisogna poi dimenticare che così si colma il gap tra chi può viaggiare e chi no: assegnando un contributo, Erasmus dà una chance a tutti». Il contraltare è la fuga dei cervelli: una volta provata l’esperienza all’estero, spesso scatta il desiderio di restarci. «Ti accorgi subito che in Europa hai più opportunità e così Erasmus, se non proprio la causa, diventa un acceleratore dell’espatrio» dice Francesca Contardi, cofondatrice di EasyHunters, società di ricerca e selezione del personale.

Perché i ragazzi che fanno questa esperienza trovano lavoro più facilmente?

«Io li vedo ai colloqui di lavoro: sono sciolti, motivati, hanno una marcia in più e ti guardano negli occhi» continua Francesca Contardi di EasyHunters. «Uscire dal proprio guscio, affrontare prove e selezioni in ambienti nuovi, darsi da fare in un contesto diverso a un età così giovane permette di sviluppare meglio quelle competenze trasversali, dal problem solving al gioco di squadra, che oggi le aziende cercano. Conta anche l’ottimo livello dell’inglese, la lingua veicolare di Erasmus la cui conoscenza è richiesta a chi fa domanda. E chi si è impegnato ha imparato anche una terza lingua, quella del Paese di destinazione. Altro punto in più nel curriculum».

Perché la Spagna è il Paese più gettonato? E dove conviene andare oggi?

«Per affinità culturale e linguistica, per la grande partecipazione delle università, perché va di moda: la maggior parte dei nostri ragazzi e non solo, punta sulla Spagna» dice Valentina Presa, presidente dell’Erasmus Student Network italiano, la rete di supporto per gli studenti stranieri. «In realtà sarebbe più utile scegliere per obiettivi: io per esempio sognavo di lavorare nelle istituzioni europee e sono andata in Belgio. Adesso sono project officer presso l’Unione dei Federalisti Europei a Bruxelles». Ma la scelta dipende anche dal tipo di studi: il Nord Europa, per esempio, è la meta ideale di chi studia tecnologia. «Grazie al contesto e ai rapporti che si allacciano lì è più facile, dopo, fare un’esperienza di lavoro proprio in quel settore» dice Contardi di Easy Hunters. Ora che con Erasmus Mundus si possono varcare i confini europei, chi studia Economia e Finanza oltre alle università inglesi può scegliere New York e Shangai, chi è nel settore scientifico volerà in Asia. «Da non sottovalutare poi la Germania, anche per la possibilità di imparare il tedesco, una lingua oggi sempre più richiesta dalle nostre aziende».

La preparazione non ne risente?

«Stiamo lavorando all’uniformità dei programmi proprio perché non si creino disparità» spiega Pagliai. «A volte i professori italiani chiedono un’integrazione dell’esame in Italia se il programma estero non risponde agli stessi criteri. In ogni caso, per evitare soprese, si compila prima di partire un Learning Agreement: è il piano di studi all’estero che viene valutato preventivamente dai propri docenti».

Come si può spremere al massimo questa esperienza perché sia utile?

«Partecipando a iniziative e progetti legati ad Erasmus e poi mettendoli in evidenza nel curriculum» raccomanda Contardi. «Per i selezionatori l’esperienza all’estero è fondamentale». Valentina Presa consiglia di puntare sulle amicizie: «Nelle università straniere trovi studenti di tutto il mondo, vuol dire che potenzialmente puoi farti una rete di contatti internazionali, spesso in posti chiave, che saranno utili in futuro. E non solo per lavoro: si ha la possibilità di avere punti di riferimento ovunque quando si viaggia».

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