7 italiani su 10 dicono sì all’eutanasia

Sono aumentati di oltre il 10% in 3 anni i cittadini che chiedono una legge per autorizzare i malati terminali a rifiutare le cure e decidere di morire. La norma è ora in discussione al Parlamento. E deve essere approvata entro settembre

Davide Trentini era affetto da sclerosi multipla. Ad aprile del 2017 ha deciso di interrompere le proprie sofferenze ed è andato in Svizzera per ottenere il suicidio assistito, vietato dalla legge italiana. Esattamente come nel caso di dj Fabo, che aveva fatto la stessa scelta 2 mesi prima, ne è nato un processo: Marco Cappato e Mina Welby dell’associazione Luca Coscioni sono accusati di istigazione al suicidio per aver accompagnato Davide. In aula la madre ha ricordato le parole pronunciate dal figlio quando era in vita: «Abito solo al secondo piano, se mi trascino alla finestra e mi butto giù, rischio di non morire».

Le malattie invalidanti sono sempre più diffuse

La frase di Davide pone un quesito pesante come un macigno: «Un malato può essere lasciato nelle condizioni di dire “purtroppo abito al secondo piano?”» si chiede Filomena Gallo, avvocato, segretaria dell’associazione Luca Coscioni. È giusto condannare al carcere chi ha agito solo per porre fine alle sofferenze di una persona amata, come è accaduto a Giancarlo Vergelli e Vitangelo Brini, i 2 pensionati che hanno ucciso le loro mogli affette da Alzheimer degenerante, appena graziati dal Presidente Sergio Mattarella?

Per la maggior parte degli italiani la risposta è no. Secondo l’Eurispes il 73,4% si dichiara favorevole all’eutanasia, con un forte aumento rispetto agli anni passati, quando le percentuali si fermavano al 55,2% (2015) e al 59,9% (2016). Come spiega Raffaella Saso, ricercatrice dell’Eurispes, gli elementi che hanno influito su tale incremento sono vari: «Una popolazione sempre più anziana si confronta maggiormente con le patologie croniche e invalidanti» dice.

Senza dimenticare che alcuni casi di cronaca «hanno convogliato l’attenzione sulle questioni dell’eutanasia, sensibilizzando il pubblico», e il dibattito ha reso più familiare l’esistenza di alternative. Più si parla delle diverse opzioni legate al fine vita, più i cittadini chiedono di poter decidere fra quelle opzioni.

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I pazienti vogliono libertà di scelta

Secondo il professor Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione giuristi cattolici Italiani e membro della Commissione nazionale di Bioetica, i dati Eurispes sarebbero falsati, perché «la categoria di eutanasia è equivoca, c’è una confusione su tutte le esperienze di fine vita. La vera sfida è quella di portare in ogni ospedale la medicina palliativa, che ha fatto enormi passi avanti». A oggi la riduzione della sofferenza è l’unico antidoto all’eutanasia che, sempre a detta del giurista, altro non è che «la burocratizzazione della morte». Anche la nostra Corte costituzionale è intervenuta sul tema, partendo dal caso di dj Fabo. «È stato evidenziato» spiega Filomena Gallo «che c’è un vuoto nell’ordinamento legislativo italiano».

Se è vero che il reato di istigazione al suicidio (che prevede una pena dai 5 ai 12 anni per chi assiste il suicida) «tutela i malati più fragili», è altrettanto vero che «chi è capace di intendere e di volere ed è sottoposto a sofferenze irrevesibili non ha la possibilità di decidere pienamente della propria vita». Tanti vivono in solitudine il loro dramma, perché non hanno i soldi per andare in Svizzera (dove è legale il suicidio assistito) o perché non vogliono coinvolgere i familiari, temendo una denucia per istigazione.

Ma non per questo smettono di cercare alternative: «Negli ultimi anni circa 600 persone ci hanno chiesto informazioni sul fine vita» continua Gallo. E non si pensi che tale possibilità porti a scelte avventate: «Molti, nel momento in cui hanno avuto l’ok dall’estero, hanno posticipato la decisione. Spesso ciò che davvero si vuole è avere una possibilità di scelta».

Nel nostro Paese c’è un vuoto legislativo

Il 28 gennaio il Parlamento ha iniziato a discutere una legge di iniziativa popolare promossa dall’associazione Coscioni nel 2013 e per cui vennero raccolte 130.000 firme. «Rispetto ad allora oggi abbiamo la norma sul biotestamento, varato nello stesso anno, che permette di indicare prima quali cure rifiutare» riconosce Gallo.

«Ma resta centrale la depenalizzazione dei reati che si configurano nel momento in cui un malato vuole accedere al fine vita». Di sicuro una mediazione va trovata, anche perché la Corte costituzionale ha lasciato tempo all’aula fino a settembre 2019 per intervenire sulla materia. Altrimenti i giudici decideranno in base ai diritti sanciti dalla Costituzione. Che riconoscono, in maniera chiara, la libertà individuale ad autodeterminarsi.

Biotestamento, eutanasia, suicidio assistito: quali sono le differenze

Biotestamento: prevede per qualunque maggiorenne la possibilità di compilare una Dat (Dichiarazione anticipata di trattamento) dove specificare quali farmaci e trattamenti sanitari intenda accettare o rifiutare nel momento in cui subentrerà un’incapacità mentale o fisica.

Eutanasia: indica gli interventi medici attivi (iniezione letale) o passivi (sospensione delle cure) volti ad interrompere la vita di una persona malata terminale, previo suo consenso.

Suicidio assistito: è un’eutanasia attiva in cui lo stesso malato si somministra il farmaco letale con l’aiuto di un medico o di un parente.

Come funziona all’estero

In Belgio e Olanda l’eutanasia è legale dal 2001. In Lussemburgo dal 2009, se la richiesta del malato è stata esplicitata prima dell’incapacità. In Francia, Svezia Spagna e Germania è legale l’eutanasia passiva, solo a determinate condizioni. In Svizzera è consentito il suicidio assistito.

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