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Fumo, dietrofront in Nuova Zelanda: niente più divieto totale

Il Governo della Nuova Zelanda fa una parziale marcia indietro rispetto all'obiettivo di vietare il fumo in assoluto e diventare un Paese “smoke free” entro il 2025. E in Italia, cosa accade?

Divieto di fumo in Nuova Zelanda: il dietrofront

L’obiettivo della Nuova Zelanda di vietare il fumo era ambizioso e questo era chiaro fin da subito anche a chi se lo era posto, cioè l’ex premier. Ora che il Governo è cambiato, però, anche la politica anti-fumo sembra doversi adeguare. Il Paese, infatti, potrebbe rinunciare al programma di diventare “smoke free” entro il 2025, vietando le sigarette in particolare a tutti i nati dopo il 2009. Secondo gli esperti, però, si tratta di un pericoloso passo indietro.

Troppo ambizioso il divieto di fumo in Nuova Zelanda

C’era chi la riteneva una legge fin troppo ambiziosa, quasi da sognatori e chi, invece, pensa che abbiano pesato motivazioni molto più “terrene”: un cambio alla guida al Governo e soprattutto l’esigenza di fare cassa. Sta di fatto che la norma, approvata appena un anno fa in Nuova Zelanda, che proibiva il fumo a tutti i nati dal 2009 sta per essere cancellata. A fare un passo indietro è il nuovo esecutivo, formato dal Partito Nazionale di centrodestra, dai liberali di ACT New Zealand e dai conservatori di New Zealand First. Di fatto pare l’esigenza ora sia di utilizzare i proventi delle tasse sul fumo per finanziare un taglio delle tasse. Con buona pace delle proteste degli esperti che parlano di decisione dannosa per la salute di almeno 5.000 persone a rischio della vita, specie tra i Maori.

Addio al sogno della Nuova Zelanda di Paese senza fumo entro il 2025

L’idea di poter arrivare ad essere il primo Paese senza fumo al mondo aveva preso forma a dicembre del 2022. Il primo passo era stato il divieto di fumo a tutti i nati dopo il 2009, cioè coloro che all’epoca avevano 14 anni e che da marzo 2023 non potevano più comprare sigarette per tutta la vita. La legge messa a punto dal governo della premier, Jacinda Ardern (poi dimessasi lo scorso gennaio), prevedeva multe salate per i trasgressori (nello specifico i rivenditori), ma non si limitava a questo. Era previsto, infatti, che il limite di età fosse man mano esteso in modo da arrivare al 2025 con l’intera popolazione non fumatrice entro il 2025.

L’allarme degli esperti della nuova Zelanda sul divieto di fumo

Di fronte all’inversione di rotta del Governo, che si è insediato proprio dopo le dimissioni della Arden, gli esperti neozelandesi hanno lanciato l’allarme, insistendo sulla necessità di politiche di sensibilizzazione: «Invertire le tendenze dannose radicate nella società non può essere fatto dai singoli individui, e nemmeno dalle comunità», ha spiegato Lisa Te Morenga, presidente del gruppo Health Coalition Aotearoa, che sottolinea come i rischi maggiori riguardino la comunità Maori, dove il numero di fumatori è maggiore. La legge avrebbe permesso al sistema sanitario di risparmiare 1,3 miliardi di dollari, riducendo la mortalità del 22% per le donne e del 9% per gli uomini. Sull’importanza di aumentare i divieti di fumo, però, concordano anche gli esperti italiani.

In Italia nuovo disegno di legge per vietare il fumo nei dehors

Certo, la Nuova Zelanda conta solo su 5 milioni di abitanti, rispetto agli oltre 60 dell’Italia, ma da noi sarebbe mai possibile arrivare a un divieto simile? «Anche l’Australia aveva annunciato qualche tempo fa provvedimenti simili. Ben venga, anche se da noi siamo molto lontani da obiettivi del genere. Per sdrammatizzare, credo che a breve non rimarrò disoccupato» commentava lo scorso anno Roberto Boffi, responsabile di Pneumologia e del Centro Antifumo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Lui stesso è in prima linea nel sostegno a un ddl per estendere il divieto di fumo ai dehors, ossia agli spazi all’aperto di bar e ristoranti, attrezzati con tavolini.

Meno fumo anche in Italia

«Australia e Nuova Zelanda hanno una cultura della prevenzione più evoluta rispetto alla nostra. Se riusciranno ad avere generazioni di non fumatori sarà un successo, mentre in Europa e Usa oggi non è pensabile, soprattutto perché cresce la commercializzazione di prodotti come il tabacco riscaldato, specie tra i giovani, senza norme specifiche e anche al chiuso» aggiungeva però l’esperto, ricordando come esistano iniziative capofila anche nel nostro Paese. Ad Milano, ad esempio, le sigarette sono vietate da gennaio 2021 anche nei giardini pubblici e alle fermate dei mezzi.

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Più inquinamento dal fumo che dal traffico

In Italia esistono anche altri luoghi “smoke free”, come alcune spiagge (circa 20) da nord a sud. Lo scorso anno un ddl bipartisan avrebbe voluto includere anche i dehors, ma «Il Governo è caduto e con l’insediamento del nuovo esecutivo il disegno di legge è anch’esso caduto. Il ministro della Salute, Schillaci, aveva annunciato provvedimenti di contrasto al fumo, a inizio mandato, ma per ora non ne sono stati stati approvati – osserva Boffi – Il fumo di sigaretta è dannoso anche all’aperto, come dimostrato da una nostra ricerca condotta a Milano in via Fiori Chiari, dove l’aria è risultata più inquinata a causa dei fumatori ai tavolini o a passeggio, che non in via Pontaccio per il traffico. Vietare il fumo anche all’aperto è dunque un’urgenza, specie dopo la pandemia: come emerso da alcuni studi, il fumo potrebbe essere vettore del virus sars-Cov2. Una persona seduta a un tavolino vicino, che fuma e tossisce (e i fumatori in genere lo fanno di più) potrebbe esalare il virus, se positiva».

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Meglio vietare o informare?

C’è chi obietta che i divieti non sono mai la soluzione migliore o che potrebbero alimentare un mercato clandestino: «Il mio mestiere non è vietare, io faccio il medico e ricercatore, ma penso che dove non arrivano l’informazione e la sensibilizzazione, siano necessarie maggiori sanzioni. La pandemia ce l’ha dimostrato anche con il Green Pass. Per qualcuno potrebbe servire una legge che impedisca quantomeno di far male agli altri col fumo passivo – spiega lo Pneumologo dell’Istituto dei Tumori di Milano – Occorrono soluzioni drastiche come divieto totale di fumo in certe aree, anche a fronte della nostra incapacità di rispondere alle campagne pubblicitarie sempre più invasive delle aziende del tabacco: loro agiscono, ad esempio, con strategie in grado di alimentare dipendenza con l’uso di additivi nelle sigarette oppure ricorrendo a influencer che hanno presa sui giovani, o ancora veicolando messaggi fuorvianti, come il fatto che il tabacco riscaldato non ha effetti cancerogeni, mentre non ci sono dimostrazioni a riguardo. I divieti, insomma, servono, anche se dovrebbero essere accompagnati da maggiori campagne informative sui ragazzi e di supporto per chi vuole smettere».

Il contrabbando, lo Stato e gli introiti del fumo

C’è anche chi osserva che una legge come quella della Nuova Zelanda sarebbe stata comunque poco percorribile In Italia (come in altri Paesi occidentali) a causa degli ingenti introiti che lo Stato incassa dalla vendita delle sigarette e del tabacco in genere. C’è poi anche il problema del contrasto al contrabbando, che potrebbe aumentare di fronte a un divieto più esteso di fumo: «Credo che questo sia un falso problema. In Nuova Zelanda c’era chi si preoccupa del futuro dei lavoratori delle piantagioni di tabacco, ma sarebbe bastata una riconversione verso altre attività. Anche il contrabbando può essere combattuto, esattamente come si fa in altri ambiti. La lotta al fumo è una priorità e anche la pandemia Covid ci ha mostrato che i fumatori corrono maggiori rischi, il resto passa in secondo piano – dice Boffi – Tralasciando l’esempio neozelandese, da noi si potrebbe fare di più, per esempio investiamo troppo poco nella prevenzione sui giovani, proprio mentre si abbassa l’età in cui si inizia a fumare e aumentano gli adolescenti fumatori, specie tra le ragazze. Io vado nelle scuole per attività di educazione e sensibilizzazione, ma potremmo fare di più come sistema sanitario».

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