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Ictus: come difendersi e quali sono i segni premonitori

L'ictus non colpisce solo i senior. Lo raccontano qui una giovane donna che si è salvata. E un grande medico che insegna a battere la malattia sul tempo

«Mi stavo preparando con un programma di allenamenti intensi per il mio dottorato di ricerca nell’Antartide. Ero in pullman quando si è scatenato un dolore fortissimo alla nuca, mai provato in vita mia: un malessere indescrivibile, l’insofferenza. Poi il buio. Mi sono svegliata in ospedale, avevo avuto un ictus». Inizia così l’intervista a Ilaria, che a 29 anni ha vissuto una malattia inaspettata per la sua età, l’ictus.

«Il suo non è un caso così raro» spiega Massimo Del Sette, direttore della Neurologia del Policlinico San Martino di Genova. «Le cause principali dell’ictus giovanile, quello che si manifesta prima dei 50 anni, sono le cardiopatie o le dissezioni delle arterie post-traumatiche, come nel caso di Ilaria. I tuffi di schiena, i traumi al collo possono provocare una lesione alla parete della carotide o dell’arteria vertebrale, con la formazione di un “coagulo” che riduce il calibro del vaso». Si interrompe così il flusso di sangue in una zona del cervello, esattamente come accade per i trombi nella forma di ictus tradizionale. Nel caso della dissezione, però, il danno alla parete dell’arteria si sviluppa molto rapidamente.

Mentre per l’ictus negli over 55 ci vogliono anni prima che si formi la placca aterosclerotica all’interno dell’arteria, a causa di fattori di rischio trascurati, come ipercolesterolemia, obesità, diabete, fumo, sedentarietà. «Il risultato alla fine è lo stesso: la parte del cervello colpita viene danneggiata per mancanza di sangue e ossigeno» sottolinea l’esperto. «Ma oggi sappiamo anche che prima si riesce a intervenire e minore è l’estensione del danno. A tutto vantaggio della ripresa».

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Cosa fare subito in caso di ictus

«Non sarei qui a raccontare la mia storia se i miei compagni di viaggio avessero sottovalutato il mio svenimento. Quando sono stata portata in ospedale, tutto si è svolto in fretta: i controlli, le diverse ipotesi e l’intuizione di una dottoressa che ha fatto la diagnosi e mi ha iniettato un farmaco per “sbloccare” il flusso del sangue». Il tempo è tiranno per chi ha un ictus. Per questo bisogna essere rapidi se la persona che è con noi improvvisamente non ha più forza a un lato del corpo, si esprime con difficoltà o, ancora, ha un fortissimo mal di testa. Oppure se, come nel caso di Ilaria, al violento dolore segue uno svenimento.

Sono tutti casi in cui chiamare il numero delle emergenze della propria Regione, di solito il 112, e descrivere bene i sintomi. Così il malato viene portato direttamente in un centro specializzato per la cura dell’ictus. «Oggi abbiamo a disposizione due tecniche per riaprire il vaso arterioso occluso, da utilizzare in successione o singolarmente, in base a quando è iniziato l’attacco» dice l’esperto. «Entro le prime quattro ore e mezza la terapia principale è la trombolisi venosa, un farmaco che scioglie rapidamente il coagulo. Può invece essere utilizzata fino a sei ore dall’attacco la trombectomia: consiste nel “catturare” il trombo tramite un catetere introdotto all’interno dell’arteria colpita».

E se sono trascorse più di sei ore? «Secondo recenti studi ci sono alcuni casi, i più fortunati, in cui l’ictus non causa subito danni irreparabili: lo fa in un lasso di tempo anche superiore alle sei ore» risponde il professor Del Sette. «Ce ne accorgiamo facendo una Tac cerebrale che evidenzia quanto tessuto è ancora salvabile e in queste situazioni possiamo intervenire anche oltre il tempo massimo».

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Le terapie per recuperare dopo un ictus

«Cosa c’è che non va al mio corpo? Perché non mi muovo? Sono queste le domande che mi martellavano il cervello nelle ore successive al mio risveglio» continua Ilaria. «In una manciata di giorni mi ero trasformata da una giovane donna superattiva a una persona in carrozzina. È stato faticoso, inutile negarlo, ma quando ho potuto passeggiare di nuovo per la mia città, anche se con l’aiuto di un bastone, è stata un’emozione impagabile. E in ritardo, certo, ma il mio dottorato in Scienza del mare l’ho portato a termine».

Gli studi dicono che il recupero delle funzioni colpite, e in primo luogo quelle motorie e del linguaggio, è possibile per tutti, indipendentemente dall’età. La terapia si chiama integrata e va iniziata subito, già durante il ricovero in ospedale. «La cura farmacologica consiste in principi attivi anticoagulanti o antiaggreganti per mantenere il sangue fluido, farmaci mirati in base allo stato di salute del paziente, come antipertensivi ed esercizi di fisioterapia passivi eseguiti al letto» continua l’esperto. «Così si comincia a stimolare l’attività cerebrale per il recupero delle funzioni motorie».

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A distanza di una settimana dall’attacco, la neuroriabilitazione diventa attiva, cioè con la partecipazione della persona, e continua in ospedale o in un centro specializzato. Oggi alla fisioterapia tradizionale si affianca quella tecnologica. E i risultati migliorano. Per la ripresa dell’attività cerebrale e le funzioni neuro-motorie, si utilizza la realtà virtuale. Per la memoria e il linguaggio l’ultima novità è la stimolazione magnetica transcranica: il nome non deve trarre in inganno, è una tecnica non invasiva ma efficace che attraverso l’invio di impulsi al cervello, stimola le cellule neuronali sopravvissute all’ictus. E le fa lavorare al meglio

Ictus: occhio ai segni premonitori

L’attacco ischemico transitorio, il Tia, in un caso su tre può precedere di un anno circa l’ictus vero e proprio. È causato da un’interruzione momentanea dell’afflusso di sangue in una zona del cervello. Si manifesta con sintomi improvvisi e che durano pochi minuti, come la perdita della vista a un occhio, la sensazione che stia funzionando solo un lato del corpo, un senso di pesantezza a una gamba o a un braccio, difficoltà a parlare o a capire, confusione mentale. Qui bisogna sentire il medico che prescriverà terapie ad hoc.

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