Coronavirus, possibile cura con il plasma e novità sul vaccino

Al San Matteo di Pavia inizia la terapia sperimentale con le infusioni di plasma da pazienti guariti, già condotta in Cina, mentre sul fronte vaccino è terminata la sperimentazione sugli animali

Le notizie che giungono dagli Stati Uniti, dove a Pittsburgh è terminata la fase di test sui topi di un possibile vaccino contro il coronavirus, hanno portato ottimismo. Intanto in Italia il Ministero della Salute ha autorizzato la sperimentazione di un’altra terapia, basata sull’infusione di plasma da pazienti guariti o convalescenti. Ecco a punto siamo con le possibili terapie.

Il plasma per guarire

Il via libera del Ministero della Salute è arrivato il 27 marzo. Si prevede la possibilità di usare il plasma di pazienti guariti per infusioni su malati di COVID-19. Tra i primi donatori ci sono alcuni cittadini di Casalpusterlengo, in provincia di Lodi, uno dei primi focolai in Italia. All’ospedale San Matteo di Pavia, poco lontano proprio da Lodi, gli esperti sono già al lavoro nella sperimentazione di una possibile terapia che utilizzi il plasma, come avvenuto in Cina. «I risultati sono del tutto incerti, non è possibile al momento fare previsioni, anche se le infusioni di plasma non sono una novità assoluta» premette il professor Raffaele Bruno, Primario della Struttura di Malattie Infettive della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia.

In cosa consiste la terapia sperimentale

Fino a che non sarà disponibile un vaccino, gli esperti stanno tentando diverse strade. La sperimentazione con il plasma è stata condotta anche in Cina: «Sì, anche se in modo molto più limitato di quanto non si pensi: solo su 5 pazienti» spiega Bruno. Ma in cosa consiste? «Il concetto è di prelevare il plasma dal sangue di persone guarite o convalescenti. Il plasma viene poi analizzato per valutare la quantità di anticorpi e infine infuso in pazienti malati. In questo modo gli anticorpi stessi sono rimessi in circolo con l’obiettivo di aiutare a combattere l’infezione portando a guarigione» spiega il virologo.

Possibili controindicazioni?

«Al momento si tratta di una sperimentazione per capire la reale efficacia nel caso del COVID-19, ma la tecnica è già in uso, per esempio su persone che abbiano problemi di coagulazione, dunque gli eventuali rischi sono legati a quelli di una normale infusione» dice Bruno.

A quando il vaccino?

È di poche ore fa la notizia che all’University of Pittsburgh, negli Usa, un team di ricercatori coordinati dall’italiano Andrea Gambotto e da Louis Falo, hanno terminato la fase di sperimentazione animale di un possibile vaccino contro il Saars-Cov2. Si tratta di quella condotta sui topi. L’annuncio ha suscitato entusiasmo e ottimismo, lasciando pensare che i tempi per una cura efficace possano accorciarsi: «Il primo obiettivo dei test è quello di escludere la tossicità di un vaccino. Solitamente questo viene prima sperimentato sui topi, poi sulle scimmie, infine sull’uomo, prima di essere prodotto e messo in commercio. In alcuni casi si salta la fase di test sui primati. Se sarà fatto anche nel caso del coronavirus, sicuramente velocizzeremo i tempi per avere un vaccino disponibile. Io lo spero vivamente, ma non possiamo illuderci che sia pronto in poche settimane o mesi: occorrerà comunque circa un anno» chiarisce l’esperto.

Quali sono le terapie concrete, oggi?

Nella “corsa” a trovare una cura efficace si è sentito parlare di molte ipotesi, dall’Avigan utilizzato in alcuni casi in Giappone, ai vaccini “veloci”. Ma al momento quali sono le terapie concrete? «Oggi la strada più concreta ed efficace è rappresentata dagli antivirali e in particolare dal Remdesivir» spiega il virologo Raffaele Bruno, direttore di Malattie infettive al San Matteo di Pavia. Si tratta di un farmaco utilizzato al momento in via sperimentale e in uso compassionevole, dunque in situazioni di emergenza nelle quali le altre cure risultano inefficaci.

«Questa è una malattia a fasi, nella quale possono essere utili, insieme agli antivirali, anche antinfiammatori già esistenti, come ad esempio il cortisone, che in alcuni casi ha dato ottimi risultati» spiega l’esperto, che ricorda come le altre terapie sperimentali in corso prevedano anche l’uso di un farmaco anti-Ebola o l’idrossiclorichina, impiegata nel trattamento delle malattie reumatiche.

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