Anticorpi monoclonali e coronavirus: come funzionano

Dagli anticorpi monoclonali si può ottenere un farmaco in grado di curare il COVID-19. Ecco in cosa consiste la terapia già in uso in alcuni Paesi.

I farmaci monoclonali sono efficaci al 70% nella riduzione di ospedalizzazione e decessi. Ad annunciarlo è stata la multinazionale Lilly al termine della fase 3 della sperimentazione su due anticorpi combinati (Bamlanivimab e Etesevimab). I dati confermano quelli delle fasi precedenti e arrivano proprio mentre la Germania ha annunciato il via all’introduzione delle terapie a base di anticorpi monoclonali contro il Covid. Berlino ha infatti deciso di procedere con l’acquisto di 200milioni di fiale per 400mila euro, aggiungendosi alla lista dei Paesi dove questo tipo di cura è già in uso, ossia Stati Uniti, Canada, Israele e Ungheria.

Intanto anche l’Ema, l’Agenzia europea per il Farmaco, sta valutando l’autorizzazione per la terapia, mentre negli Usa la Food and Drug Administration sta per dare luce verde a sua volta, anche se in concentrazioni inferiori ai 700 mg di medicinali usati dalla casa madre nella sperimentazione e indicati come idonei. Secondo la FDA in questo modo si potrà anche ridurre la tempistica di somministrazione dai 60 minuti attuali a soli 16 minuti.

Ma in cosa consiste la terapia con gli anticorpi monoclonali?

Gli anticorpi monoclonali si usano già per il linfoma e artrite reumatoide

Le terapie a base di anticorpi monoclonali sono già usate per la cura di alcune patologie, come i linfomi o le malattie reumatologiche. Qualche tempo fa, inoltre, era stato annunciato l’arrivo del primo trattamento che, grazie a queste molecole, può contrastare gli effetti collaterali dell’emicrania come nausea, vomito, fastidio per luce e suoni. Ma soprattutto gli anticorpi monoclonali sono al centro dell’attenzione per il loro impiego contro il coronavirus, responsabile del COVID-19. Una sperimentazione è stata avviata nei mesi scorsi anche in Italia.

Cosa sono le monoclonali contro il Sars-Cov2

«Il possibile farmaco in sperimentazione in diversi centri nel mondo e in Italia (ad esempio all’Università di Tor Vergata) deriva da anticorpi monoclonali prodotti grazie all’ingegneria genetica, dunque in laboratorio, che copiano il comportamento degli anticorpi umani attaccando e distruggendo il virus. Li si usa già, ad esempio, nella cura dell’artrite reumatoide. Si chiamano monoclonali perché, essendo prodotti da un clone, sono tutti identici. In questo si differenziano dagli anticorpi che troviamo nel nostro organismo dopo che è venuto a contatto con una malattia, come può essere il morbillo, perché questi sono una famiglia di anticorpi» spiega Lorenzo Dagna, primario dell’Unità di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie Rare (UnIRAR) dell’IRCSS Ospedale San Raffaele di Milano.

Come funzionano i monoclonali contro il Covid

Il primo anticorpo monoclonale contro il coronavirus, chiamato 47D11, è stato individuato a metà marzo dello scorso anno dall’Università di Utrecht, in Olanda, e nei test di laboratorio si è subito dimostrato in grado di neutralizzare il Sars-Cov2, agendo sulla proteina cosiddetta “Spike”, cioè «la chiave che apre la serratura della cellula al virus, permettendogli di entrare nell’organismo» spiega l’immunologo Dagna. Identificare anticorpi monoclonali in laboratorio permette, quindi, di somministrarli in infusione a pazienti malati in modo che possano guarire.

Che differenza c’è rispetto alla terapia al plasma?

Qualcuno, soprattutto nella fase iniziale di sperimentazione degli anticorpi monoclonali, aveva accostato la terapia a quella al plasma. Ma che differenza c’è? «Nella sieroterapia si parte dal prelievo del sangue di un donatore guarito dal COVID-19 e, una volta selezionato il plasma, si ha a disposizione un cocktail di anticorpi che sono in grado di riconoscere diversi frammenti del virus, neutralizzandoli. Con le monoclonali, invece, si ha un singolo anticorpo specifico (o 2 o 3, a seconda dei casi)» spiega l’immunologo del San Raffaele di Milano.

I pro e contro

Sono tre gli aspetti da tenere in considerazione. Con la sieroterapia si infonde il plasma da pazienti guariti donatori di sangue a soggetti malati: «Per quanto il donatore possa essere iperimmune, e dunque possa avere una elevata concentrazione di anticorpi, nel suo plasma saranno contenute anche altre sostanze. In caso di guarigione del soggetto malati, quindi, è difficile stabilire se l’effetto sia dovuto solo agli anticorpi. Con i monoclonali, invece, infondendo specifiche molecole sintetizzate in laboratorio, il risultato è da attribuire soltanto a queste» spiega Dagna.

I monoclonali non sostituiscono il vaccino

L’impiego di anticorpi monoclonali non è un’alternativa al vaccino: i primi servono a curare persone dopo che si sono infettate con il coronavirus, il secondo ha invece funzione preventiva assicurando una copertura e una risposta immunitaria prima di ammalarsi. 

Nei giorni scorsi, però, si è scatenata una polemica attorno ai ritardi dell’Italia nel ricorso alle terapie a base di monoclonali. Al coro di virologici e infettivologi che ne hanno sollecitato l’uso (da Burioni a Bassetti e Silvestri) si è aggiunto il neopresidente dell’Agenzia italiana per il farmaco, Giorgio Palù, che ha chiesto un ripensamento al dg della stessa Aifa, Nicola Mancini, che ne aveva fermato l’autorizzazione. Tra l’altro la stessa multinazionale Lilly, che ha sede a Indianapolis (Usa) può anche contare su un laboratorio a Latina e l’Italia vanta già studi in questo ambito.

La sperimentazione italiana

In Italia il genetista Giuseppe Novelli dell’Università di Tor Vergata a Roma ha iniziato fin dalla scorsa primavera una sperimentazione con l’Università di Toronto e il prof. Pandolfi del Beth Israel Deaconess Medical Center del’università di Harvard (Boston) su una serie di anticorpi monoclonali. «La selezione è stata effettuata partendo dalla Toronto Recombinant Antibody Center, la più grande biblioteca biologica al mondo di anticorpi clonati. Noi abbiamo cercato quelli giusti in base al bersaglio che vogliamo colpire, isolandone prima 10 poi arrivando a 4 che, dalle analisi di laboratorio, hanno dato i migliori risultati di neutralizzazione del virus Sars-Cov2» spiega il professor Novelli.

L’obiettivo è poter disporre del «primo farmaco intelligente, perché finora abbiamo usato medicinali cosiddetti riposizionati, cioè scoperti e sviluppati per altre malattie, poi adattati al COVID-19» spiega il genetista.

Quando sarà pronto il farmaco

In Italia l’introduzione di questa terapia è soggetta all’autorizzazione da parte dell’Aifa, che finora non ha dato il proprio via libera. In Germania si è invece deciso di procedere con l’acquisto anche senza che sia ancora arrivata l’autorizzazione da parte dell’Ema, l’Agenzia europea del farmaco. Secondo diversi esperti, pur potendo contare sulla possibilità di effettuare sperimentazioni nei laboratori italiani, finora si è perso tempo prezioso, come sostiene l’infettivologo dell’ospedale San Martino di Genova, Matteo Bassetti. 

L’Italia nella lotta al Covid-19

L’Italia è impegnata in primo piano nella lotta al COVID-19, ma non è sola. Le ricerche sulle monoclonali sono in corso in tutto il mondo, dopo le prime sperimentazioni in Cina, seguite da quelle in Olanda, Israele, Svizzera e Usa. Proprio qui l’ex Presidente americano, Donald Trump, è stato sottoposto a una terapia per guarire dal Covid, che si è basata anche sulla somministrazione di anticorpi monoclonali. 

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