Coronavirus: come sono curati i malati

Chi presenta sintomi di insufficienza respiratoria e polmonite da COVID-19 viene oggi ricoverato e trattato con una terapia combinata di farmaci. Non è una cura definitiva ma un modo per contrastare l'infezione. Ecco in cosa consiste 

Mentre si moltiplicano le misure di contenimento del contagio e in attesa di un futuro vaccino, per il quale potrebbero essere necessari molti mesi, negli ospedali si lavora per curare le persone che sono state contagiate dal COVID-19, il nuovo Coronavirus responsabile dell’epidemia che, dopo la Cina, interessa il nostro Paese e si è diffuso nel mondo. Ecco con quali terapie.

La presa in carico del malato

«Nella maggior parte dei casi i pazienti contagiati da COVID-19 che arrivano da soli o accompagnati dal 118 presentano sintomi da insufficienza respiratoria. Noi li valutiamo e scopriamo che, tra questi pazienti con insufficienza respiratoria, una percentuale elevata ha in corso una polmonite. Si procede con il ricovero e successivamente il tampone per il COVID-19. Il ricovero precede l’esame perché un simile quadro clinico prevedrebbe comunque un ricovero anche se non si trattasse di COVID-19» spiega Raffaele Bruno, Primario della Struttura di Malattie Infettive della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, dove è tuttora ricoverato quello che è considerato il Paziente 1.

Le terapie combinate per contrastare il virus

«Per curare i pazienti con i sintomi gravi noi ci serviamo di un approccio empirico ragionato: si tratta di usare l’esperienza di altri colleghi in altre parti del mondo, in particolare in Cina» premette l’infettivologo Raffaele Bruno. Nelle scorse settimane si è sentito parlare di ricorso ad antivirali, ma esistono anche altre possibilità, spesso in combinazione tra loro.

«La terapia può consistere in una combinazione di più farmaci. Ad esempio, per il nuovo Coronavirus è stato deciso di usare un farmaco antivirale utilizzato con i malati di AIDS, dunque per infezioni causate dal virus HIV, che è stato sperimentato sia in vitro che in vivo scoprendo che ha effetto anche sul COVID-19» spiega Bruno. «Si tratta del Lopinadir/Ritonavir, utilizzato in questo periodio sia in Cina sia appunto in alcuni ospedali italiani» aggiunge l’esperto e professore di Malattie Infettive presso l’università di Pavia.

«In combinazione con gli antivirali viene impiegata anche l’idrossiclorochina, utilizzata nel trattamento delle malattie reumatiche ed efficace anche sui malati da nuovo Coronavirus» prosegue Bruno.

In arrivo un nuovo medicinale già usato contro Ebola

«Nei prossimi giorni avremo anche a disposizione un altro farmaco, già utilizzato contro l’Ebola anche se non con grande efficacia, ma che invece permette di ottenere risultati contro questo nuovo Coronavirus. L’azienda farmaceutica produttrice lo sta inviando all’ospedale San Matteo in uso compassionevole, dunque gratuitamente, ma è possibile per qualsiasi nosocomio farne richiesta, tramite l’apposita modulistica sul sito dello Spallanzani» spiega l’infettivologo.

Gli antibiotici servono per le sovrainfezioni, non contro il virus

«Tutta la terapia che noi e i colleghi degli altri ospedali mettiamo in campo serve ad arginare la progressione dell’infezione in pazienti che presentano sintomi di una certa gravità. Dal momento che l’organismo, in condizioni di malattia, si immunodeprime, vale a dire ha difese immunitarie più basse, per evitare sovrainfezioni o coinfezioni usiamo anche una terapia antibiotica, oltre a idratare costantemente il paziente affetto da febbre» conclude l’infettivologo.

Quanto dura la terapia

«La durata della terapia dipende molto dalla reazione del singolo: ad oggi le cure sono somministrate per 5, 7 o 10 giorni, a seconda dei casi» spiega Raffaele Bruno.

Il vaccino “veloce” è un’illusione

Nei giorni scorsi si è sentito parlare della possibilità di un vaccino “veloce”, che sarebbe allo studio negli Usa e che dovrebbe essere testato fin da aprile su alcuni volontari: «Non è il caso di illudersi che si possa disporre di un vaccino in tempi rapidi. Se anche lo avessimo già a disposizione oggi, dovremmo seguire una serie di passaggi: occorre verificare che non abbia effetti tossici, poi che sia efficace, infine si dovrebbe avviare la produzione in una quantità tale da soddisfare la richiesta di tutto il mondo, data l’estensione del contagio. Non credo che si possa pensare di averlo “velocemente” perché esistono limiti tecnici obiettivi» spiega l’infettivologo Raffaele Bruno.

Il problema in questo momento è mettere in campo tutte le risorse disponibili, purché siano scientifiche, testate e autorizzate. Ogni altra ipotesi è esclusa: «Navighiamo un po’ a vista, certo, ma solo nel solco della scienza, nonostante una decina di medium mi abbia già scritto suggerendomi ricette che avrebbero ottenuto durante la loro attività paranormali» rivela Bruno.

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