Mamme No Pfas

No Pfas: le mamme contro l’acqua inquinata

Il Comitato Mamme No Pfas lotta per difendere migliaia di famiglie dalla contaminazione da Pfas: cosa sono e dove si trovano le sostanze ritenute causa di malattie al sistema endocrino e riproduttivo. A rischio bambini e adulti. Qui i dettagli per aderire alla raccolta fondi che finanzi la ricerca

Sono tante, sono preoccupate e decise a non arrendersi contro quello che in molti definiscono “avvelenamento” silenzioso. Sono le mamme No Pfas: si battono per un intervento urgente da parte del Governo e delle autorità locali che fermi la contaminazione da Pfas, acronimo che indica le sostanze perfluoroalchiliche. La loro battaglia dura da un paio di anni, ma solo adesso stanno arrivando i primi dati sulla presenza di queste sostanze nel sangue dei bambini di 9 e 10 anni. Dati reoccupanti. Gli esami indicano anche variazioni metaboliche analoghe a quelle riscontrate negli adulti. Da qui l'allarme.

Che cosa sono i Pfas

Sono composti chimici in grado di rendere impermeabili all’acqua e ai grassi oggetti che vanno dagli smartphone alle giacche cerate. Sono usati anche nella carta da pizza e per rendere antiaderenti le padelle. Tanto utili nell’industria e nella quotidianità, i Pfas sono però sospettati di tossicità in alte concentrazioni, difficilmente degradabili, ma soprattutto ritenuti interferenti endocrini: molti studi hanno rilevato un nesso tra la loro presenza nel sangue e l’insorgenza di diverse patologie, soprattutto a carico della tiroide e del sistema riproduttivo, in particolare femminile. Da qui l’allarme partito dalla cosiddetta “zona rossa” del Veneto occidentale, tra le provincie di Vicenza, Verona e Padova.

I danni all'uomo creati dai Pfas

Sono inodori, incolori e insapori, si disperdono in acqua e in aria. Si ritiene che possano alterare la crescita, ridurre la fertilità e influire sul rischio di sviluppo di patologie tumorali, in particolare ai reni e ai testicoli. Ai Pfas la letteratura scientifica attribuisce anche un ruolo nello sviluppo di patologie legate alla tiroide. Ad allarmare è poi il nesso rilevato da alcuni studi tra alcune patologie del feto (malformazioni congenite) e della gravidanza (ipertensione, diabete gestazionale) o nell’insorgenza della colite ulcerosa.

Gli adulti contaminati in Veneto

Il Comitato Mamme No Pfas si è rivolto ripetutamente ai vertici della Regione e ora anche ai Ministri competenti perché l’Italia fissi i propri limiti nazionali alla presenza di Pfas pari a zero, per evitare un disastro ambientale e soprattutto un’emergenza sanitaria. Lo screening effettuato in Veneto di recente ha indicato valori nel sangue alterati nel 65% dei cittadini che vi si sono sottoposti e ora il problema rischia di allargarsi ad altre regioni, a causa della migrazione di queste sostanze tramite i corsi d’acqua come il Po, arrivando fino al mare: “In Adriatico sono già state trovate vongole con livelli di Pfas sopra la norma” spiega Carmen Chiarello, del Comitato Mamme No Pfas, nato in provincia di Vicenza.

Quando nasce la contaminazione

Si stima che la contaminazione da Pfas riguardi circa 350mila famiglie nel solo Veneto, in un triangolo rosso tra le provincie di Verona, Vicenza e Padova. Viene da lontano ed è legata all’attività della ex Miteni, un’azienda chimica fallita nel 2018 con sede a Trissino (Vicenza), dove venivano prodotti questi composti chimici dal potere antiaderente e impermeabile, utilizzati in cartiere per zincature e concia, ad esempio per trattare le pelli, i tessuti, i rivestimenti di padelle, gli smartphone, la carta da pizza o la sciolina degli sciatori fondisti. Queste sostanze, una volta disperse nell’ambiente dopo i processi industriali, sono finite nelle acque e nella catena alimentare degli animali e dell’uomo. Utilizzati fin dagli anni ’50, ne sono state trovate altissime concentrazioni nei pesci (in alcuni casi fino a 700 volte sopra la soglia di pericolo) e nella popolazione locale.

L’allarme: livelli nel sangue oltre le soglie

Di recente sono emersi i risultati di uno screening organizzato dalla regione Veneto, per monitorare i livelli di concentrazione di Pfas nel sangue, soprattutto dei residenti nella zona di Trissino. Su oltre 47mila lettere di invito a sottoporsi ad esami del sangue, in più di 25mila hanno risposto e nel 65% dei casi i valori di Pfas sono risultati superiori a quelli indicati dalla stessa Regione dal settembre 2017 (90 nanogrammi per litro di sangue, come somma tra i composti analoghi Pfoa e Pfos). A queste alterazioni, però, ne sono state associate altre, in particolare quelle di colesterolo e perdita di albumine, soprattutto nei soggetti più giovani e nei bambini, oltre a variazioni della pressione arteriosa.

I rischi per i bambini

“Sapevamo delle concentrazioni di Pfas negli adulti, perché la campagna regionale ha riguardato persone dai 14 ai 65 anni, ma quello che ci ha ulteriormente sconvolto sono i dati sulla popolazione pediatrica, dai 14 in giù" spiega Patrizia Zuccato, una delle Mamme No Pfas di Montagnana, comune in provincia di Padova che fa parte della zona rossa. «Sono in corso, infatti, le analisi sui nati nel 2008 e 2009, di cui si conoscono già gli esiti: sono molto alti per essere dei bambini e per il fatto che nel sangue non dovrebbero esserci proprio tracce. Inoltre da questi screening emergono le stesse alterazioni metaboliche degli adulti. Ora si procederà con i controlli anche sui nati nel 2010 e a seguire”.

Le analisi hanno mostrato la presenza di quattro composti della famiglia dei Pfas (Pfoa, Pfos, Pfhxs e Pfna) in oltre il 50% dei soggetti monitorati. Tutto ciò ha indotto la Regione a offrire un secondo controllo, gratuito, più approfondito.

Un disastro noto dai primi anni Duemila

“Quello che vogliamo è l'azzeramento della presenza di Pfas, ma anche una sensibilizzazione su questo tema. Non deve succedere più quello che è successo a noi, cioè che tutti sapevano e nessuno ci ha detto nulla. Gli enti che dovevano vigilare e potevano intervenire non hanno fatto nulla non solo nel 2013, quando è uscito il primo studio ufficiale del CNR, ma fin dai primi anni Duemila”.

Nel mirino sono finiti enti come l'ARPAV, l'Agenzia Regionale per l'Ambiente del Veneto, e la Provincia di Vicenza. Quest'ultima, secondo un report dei carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Treviso (NOE), era a conoscenza degli esiti di un'indagine condotta sul sito della Miteni, tra il 2003 e il 2009, che indicava concentrazioni di inquinanti nelle falde acquifere tra Trissino, sede dell'industria, e Montecchio Maggiore. Eppure non ha inoltrato i dati all'ARPAV né ha condotto verifiche ulteriori, come oggi sottolinea anche Greenpeace.

La denuncia di Greenpeace: "ARPAV sapeva"

A sua volta l'associazione ambientalista, a marzo 2019, è entrata in possesso della relazione del NOE sull' “inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nelle province di Vicenza, Padova e Verona" e dichiara che "ARPAV avrebbe potuto far emergere l’inquinamento già nel 2006, quando tecnici dell’agenzia regionale intervennero presso la barriera idraulica istallata nel sito di Miteni: le operazioni di bonifica potevano partire in quel momento”.

"Per anni abbiamo bevuto l'acqua del rubinetto"

Questo dramma tutto italiano si è infilato tra le pieghe della quotidianità di migliaia di famiglie. “Avrebbero almeno potuto avvertirci della probabilità che bere l’acqua dei rubinetti potesse essere gravemente dannoso per la salute. Avremmo scelto con consapevolezza, come si fa per le sigarette: si sa che fanno male, si continuano a vendere, ma almeno c’è scritto sulla confezione” spiega Patrizia Zuccato. “Quello che è mancato è il principio di precauzione, soprattutto nei confronti dei bambini, oltre che degli adulti: io fin da bambina ho bevuto l’acqua dei pozzi, ho problemi alla tiroide e non ho potuto avere figli biologici. Ne ho adottata una, ma quanta acqua le ho fatto bere dal rubinetto prima che si sapesse del pericolo? Quanta ne ha bevuta in mensa a scuola?” chiede la signora Zuccato.

La lotta per l'acqua in bottiglia nelle mense

Le Mamme No Pfas si sono battute e continuano a farlo perché nelle scuole sia servita acqua in bottiglia, esattamente come fanno a casa: “Non usiamo acqua del rubinetto, nonostante l’acquedotto sia stato dotato di alcuni filtri da parte della Regione: sono costosi e vanno cambiati con una certa frequenza. Alla fine siamo noi contribuenti a pagare ancora una volta, anche in termini di salute. Il problema vero è che di Pfas esistono 4.000 tipi, mentre se ne cercano solo 12, i principali: chi ci dice che non ce ne siano altri?” dice Carmen Chiarello.

L'acqua contaminata entra nella catena alimentare

D’altra parte il problema dell’acqua di rubinetto riguarda anche altri usi: da quello domestico per cucinare e lavare gli alimenti, a quello agricolo, con l’impiego dell’acqua contaminata per irrigare i campi (i cui prodotti - frutta e verdura - sono poi commercializzati anche fuori dal Veneto) e per gli animali da allevamento, che a loro volta finiscono nella catena alimentare umana.

La contaminazione si sta espandendo

“In attesa che siano terminati i lavori per la realizzazione di un nuovo acquedotto, per il quale ci vorranno anni, noi insistiamo sulla necessità di bonificare l’area ex Miteni, al più presto perché nel frattempo si continua ad avere dispersione di Pfas nell’ambiente e nelle acque, che inizia a riguardare anche altre regioni” dice Chirello del Comitato Mamme No Pfas. “Purtroppo siamo ancora alla fase dei carotaggi e soprattutto, essendo fallita l’azienda proprietaria, non ci sono fondi per la bonifica, quindi dovrà farsene carico la Regione”.

L'ipotesi di mettere al bando i Pfas

Il Comitato delle Mamme No Pfas ha sollecitato il ministro dell’Ambiente Costa e anche l’Unione europea, con sit in e contatti a Strasburgo e Bruxelles. Costa non ha nascosto le criticità: "A livello comunitario non c'è grande sensibilità" ha detto il ministro, parlando dell’ipotesi di mettere al bando o limitare ulteriormente il ricorso a queste sostanze. “Convincere altri Paesi non è facilissimo" ha detto Costa, che invece punta a investire per dotare di acque pulite i territori interessati dal problema. Il commissario all’emergenza Pfas, incaricato dalla Protezione civile, ha parlato di un investimento da 20 milioni per la realizzazione di pozzi nuovi e la posa di tubature per evitare di pescare acqua dalle falde inquinate.

Le Mamme No Pfas raccolgono fondi 

“Abbiamo dato mandato a un avvocato, esperto di diritto ambientale, perché si è chiuso il primo filone di indagini sul disastro ambientale prodotto dalla ex Miteni e noi vogliamo essere parte attiva in un futuro processo. Ma vogliamo anche finanziare nuovi studi epidemiologici per documentare il nesso tra la presenza di queste sostanze e l’insorgenza di patologie” spiega Patrizia Zuccato.

Per finanziarsi le Mamme No Pfas hanno avviato una raccolta fondi, tramite un apposito conto corrente:

Bcc Vicentino-Pojana Maggiore, filiale di Lonigo, VI, IBAN IT51 D087 3260 4500 0000 0768 297

Per contattarle: scrivere a raccoltafondimamme@gmail.com.

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