Cosa vuol dire fare la psicologa delle persone disabili

«Siamo noi a dare alle persone con disabilità la speranza, la visione sul futuro che spesso loro non hanno». In queste parole sta il senso profondo del lavoro di Nicoletta, psicologa del centro di Osimo della Lega del Filo d'Oro, che abbiamo incontrato nel nostro viaggio nella disabilità 

Le persone con disabilità portano con sé una sofferenza psicologica, oltre che fisica. Incontrando gli operatori che lavorano nei centri della Lega del Filo d’Oro attraverso il mio viaggio per l’Italia dentro alla disabilità, mi si apre un orizzonte di speranza laddove è comune pensare che non ci sia, un fronte di miglioramento e di crescita quando invece poco o niente sembra possibile. «Dobbiamo avere speranza perché le persone disabili spesso non ne hanno; siamo noi operatori a dover dare loro una progettualità, una visione sul futuro». Parlando con Nicoletta Marconi, da quasi 30 anni psicologa degli adulti sordociechi nel centro della Lega del Filo d’Oro di Osimo, inizio lentamente a capire come per fare lo psicologo e l’educatore alle prese con la disabilità ci voglia una grande creatività. Bisogna essere dei visionari, e crederci davvero, per scorgere il futuro di queste persone al di là di un presente spesso ingombrante e difficile da dipanare.

«Le persone disabili possono soffrire di depressioni, scompensi dovuti alla difficoltà di accettare la propria condizione, problemi nel distacco dai genitori e nei rapporti sociali» spiega Nicoletta. «E proprio a causa della loro disabilità sono più vulnerabili alle sfide che ciascuno di noi deve attraversare nella sua crescita. Per quanto sia adeguato l’intervento educativo, di assistenza, psicologico, il danno fisico e la disabilità continueranno a influenzare la loro quotidianità. Ma se si riesce a fare una buona valutazione delle capacità e delle risorse della persona, definendo e lavorando sulle sue potenzialità nelle diverse aree di sviluppo, diventa possibile innescare quel particolare meccanismo di compensazione che si attiva quando la persona disabile investe le proprie energie, i propri sforzi per riuscire in una o più attività». Come imparare a scrivere o leggere con il computer, usare il telefono, mangiare da soli, comunicare i propri bisogni.

Settimio Benedusi
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Nicoletta Marconi gioca con Stefania, ospite del centro di Osimo della Lega del Filo d’Oro: il rapporto con le persone disabili è fatto anche di fisicità, un amore che si esprime non solo attraverso le parole ma anche nel vissuto della quotidianità.

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Nel lavoro di uno psicologo che si confronta con la disabilità non è facile trovare l’equilibrio: «Cuore e testa devono lavorare insieme, mentre a volte c’è il rischio che uno prevarichi sull’altro» dice Nicoletta. Vero è che in un lavoro come il suo, l’aspetto umano è predominante: «In famiglia porto sempre il mio lavoro, è inevitabile: i miei figli conoscono gli ospiti di Osimo, e ogni tanto qualcuno è venuto anche a casa». 

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La nostra quotidianità porta a dare per scontato tanti aspetti, interessi che spesso non riconosciamo come bisogni. Dal punto di vista delle persone con disabilità, il fatto di convivere con i genitori, per esempio, porta spesso ad escludere alcune sfaccettature della vita adulta come il riordino della casa, fare il bucato, la spesa, i trasporti, avere un amico con cui chiacchierare, leggere insieme un libro, uscire per una passeggiata o essere accompagnati a scuola o al lavoro. Piccoli frammenti di autonomia che possono essere conquistati lavorando insieme alla persona stessa e aiutandola ad autodeterminarsi: vuol dire pensare e progettare il proprio futuro, fino a cambiare la qualità della propria vita. «E questo può accadere se si considera la persona con disabilità non più solo l’oggetto di una serie di interventi, ma colei che collabora, partecipa e sceglie il suo percorso di vita, anche quando la sua fragilità non la facilita. Ancora oggi, anche se si parla di progetto di vita, ci si scontra con il pensiero del qui e ora, senza riuscire a scorgere la frontiera della vita futura e adulta» dice la psicologa. «L’obiettivo di chi ha in carico la persona con disabilità deve essere invece quello di aiutarla a pensarsi in una dimensione completa, in continuo cambiamento, ponendosi obiettivi di crescita a partire dalle proprie caratteristiche, dai propri bisogni, dai propri ambienti di vita e risorse personali. Elaborare un progetto di vita vuol dire conoscere la storia della persona, individuarne la fragilità, i bisogni, le priorità, ma soprattutto le potenzialità». Solo studiando la persona e la sua famiglia si possono riconoscere capacità, abilità, interessi che potrebbero o dovrebbero essere sviluppati.

«Noi educatori e psicologi lavoriamo in team: ci confrontiamo costantemente su ogni singola persona, le sue difficoltà, le aree su cui lavorare. La nostra è una programmazione individualizzata a cui partecipano tutti gli operatori che lavorano con la persona disabile: fisioterapista, educatori, musicoterapista. Fissiamo gli obiettivi e la strategia per raggiungerli nelle varie aree: cognitiva, comunicativa, orientamento e mobilità, abilità pratiche. Ci si danno dei tempi, sia obiettivi a lungo termine (per esempio un anno) sia a breve termine. Si decide un percorso e tutti lo sottoscrivono, salvo poi modificare il programma se emergono cambiamenti».

Esiste un metodo condiviso ma non c’è una ricetta. Ogni programmazione è unica: «il nostro è un lavoro sartoriale basato sul rinforzo dei comportamenti positivi. Per aiutare le persone disabili a progredire le gratifichiamo, dando a ciascuna di loro stimolazioni sensoriali che, attraverso osservazioni, interviste ai familiari e analisi dettagliate, vengono valutati come particolarmente piacevoli per quella specifica persona: certi tipi di cibo, la musica classica, le vibrazioni, tutto ciò che può risvegliare i sensi». Fino all’ultimo giorno di vita ci sono margini per imparare: l’apprendimento è continuo. «Anche mantenere le competenze acquisite è una forma di apprendimento: per noi è una conquista anche solo non perdere quello che si è conquistato provando e riprovando».

Difficile immaginare un lavoro diverso per chi, come Nicoletta, prende in mano la vita delle persone guidandole a lasciar emergere la rabbia, aumentare l’assertività, trovare strategie compensative per integrarsi nel mondo. «Il mio lavoro si fa con la testa ma anche con il cuore. Le due parti devono essere in equilibrio per evitare un eccessivo distacco nel primo caso, o di soccombere nel secondo. I fallimenti educativi sono dietro l’angolo, e spesso ho pensato di non farcela. Ciò che mi ha sempre spinto, dopo tanti anni, ad andare avanti, è la stima e l’affetto delle famiglie e delle persone sordocieche.  Per loro sono un supporto. Mi cercano, mi aspettano, si fidano di me. La cosa più bella è riuscire a entrare nel loro cuore: fargli sentire che ci sei e che non ci sono cose giuste o sbagliate ma solo tanti modi di vivere la realtà, anche la disabilità. E ognuno deve trovare il suo».

Per saperne di più sulla Lega del Filo d’Oro

La Lega del Filo d’Oro, presente in 8 regioni con Centri Residenziali e Sedi territoriali, dal 1964 assiste e riabilita le persone sordocieche (189.000 in Italia) e con deficit psicosensoriali, cercando di accompagnarle all’autonomia. Quasi il 50 per cento di queste persone ha anche una disabilità motoria, 4 su 10 hanno danni permanenti legati a una disabilità intellettiva. In 7 casi su 10 le persone sordocieche hanno difficoltà ad essere autonome nelle più semplici attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, mangiare, uscire da soli. Un “esercito” di invisibili con disabilità plurime di cui spesso s’ignora l’esistenza. Dal 2006 le risorse raccolte grazie al 5×1000 hanno permesso all’associazione di moltiplicare il suo aiuto: i centri sono diventati 5 in tutta Italia, le sedi territoriali 8, le persone assistite quasi 900.

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