Sarah Everard e i femminicidi nel Regno Unito

L’omicidio della 33enne ha riacceso il dibattito sulla violenza di genere, reso infuocato dalla repressioni violente della polizia nei confronti delle manifestazioni pacifiche di questi giorni

Lo scorso 3 marzo, la 33enne Sarah Everard stava tornando a casa a sud di Londra. È stata rapita, violentata e gettata in un campo nel Kent, dove è stata ritrovata dalla polizia. Per l’orrendo omicidio è stato incriminato il poliziotto 48enne Wayne Couzens, che sabato 13 marzo è comparso di fronte al tribunale di Westminster con l’accusa di averla uccisa. Nel Regno Unito sono scoppiate le proteste, poi represse violentemente dalla polizia, e il dibattito sui femminicidi è esploso: un problema, purtroppo, che riguarda tutti i Paesi nel mondo.

Sempre sabato migliaia di persone, soprattutto donne, si sono radunate a Clapham Common, a Londra, vicino al luogo dove Everard era stata vista per l’ultima volta, per esprimere vicinanza alla sua famiglia ma anche per protestare contro la violenza di genere e per chiedere più sicurezza nelle strade. Purtroppo la manifestazione pacifica è stata repressa duramente dalla polizia, che ha fermato molte delle persone presenti nel tentativo di disperderle.

Una situazione tesa…

Le immagini delle donne a terra sovrastate dai poliziotti hanno fatto il giro il mondo e causato grande indignazione nell’opinione pubblica britannica: non solo perché i metodi della polizia sono stati giudicati sproporzionati rispetto alla situazione (i manifestanti erano tutti pacifici e non si erano registrati incidenti fino a quel momento), ma soprattuto perché si trattava di una manifestazione in difesa proprio dei diritti delle donne. Il fatto che l’uomo accusato dell’omicidio di Everard fosse poi un poliziotto ha contribuito a esacerbare gli animi. Numerose veglie sono state organizzate in altre città, da Nottingham a Brighton. Hellen Ball, funzionaria della polizia metropolitana, ha dichiarato che gli agenti si sono trovati in difficoltà a gestire la situazione di Londra e che la scelta di usare le maniere forti derivava dalla volontà di impedire assembramenti che contribuissero alla diffusione del Covid-19.

Gli attivisti che hanno organizzato le marce, però, hanno ribadito che sono stati proprio gli agenti a provocare le manifestanti, strattonandole e gettandole per terra. Per tutta risposta, domenica 14 marzo un’altra manifestazione, che ha visto la partecipazione di più di mille persone, è stata organizzata di fronte a New Scotland Yard a Londra ed è arrivata fino alle soglie del Parlamento: l’intento era quello di porre ancora una volta l’attenzione sulla violenza di genere e protestare contro le violenze della polizia del giorno precedente. Il clima, insomma, è teso: l’omicidio di Sarah Everdon sempre aver toccato un nervo scoperto e ha avviato un acceso dibattito sulla questione.

… e un problema che non conosce confini

Come segnalava il Guardian lo scorso novembre, in occasione della Giornata per l’eliminazione della violenza di genere, anche il Regno Unito ha un grosso problema quando si tratta di femminicidi. Per la prima volta, infatti, un report di Femicide Census ha fatto luce sulla situazione nel Paese, dove dati di questo tipo fino a quel momento non erano stati raccolti. Secondo quanto rilevato dalla ricerca, in un periodo di dieci anni, e cioè dal 2009 al 2018, in Gran Bretagna è morta una donna ogni tre giorni per mano di un uomo. Numeri che fanno riflettere: i ricercatori hanno messo in evidenza come «i modelli di violenza maschile sono persistenti e duraturi» e come ancora poco sia stato fatto, a livello istituzionale, per intervenire sulla questione.

Molte delle ragioni di questa mancanza di incisività le conosciamo bene, a partire dal fatto che spesso i femminicidi vengono trattati, anche dai media, come «incidenti isolati» e non come un problema che invece riguarda l’intera società. Tra le tante conseguenze di questa tendenza a non considerare il quadro generale dentro cui questi episodi si consumano, ci sono la risposta tardiva o inefficace delle forze dell’ordine e la difficoltà a individuare i campanelli d’allarme delle situazioni a rischio, che troppo spesso vengono derubricati a incidenti domestici. In Italia, l’introduzione del Codice Rosso a luglio 2019 ha provato a raddrizzare quelle storture del sistema, pur con tutti i limiti del caso, a cominciare dalla formazione delle forze preposte ad accogliere e seguire le vittime.

Il report di Femicide Census sottolinea inoltre come il Regno Unito sia uno dei pochi paesi in Europa che non ha ancora ratificato la Convenzione di Istanbul, che si ispira alla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW). «[La convenzione, ndr] riconosce che la violenza degli uomini contro le donne e le ragazze non sarà mai sradicata senza affrontare la disuguaglianza sessuale e le convinzioni, gli atteggiamenti e le istituzioni che la sostengono». Un lavoro che è innanzitutto culturale: «Non sta a noi proteggere le nostre figlie, ma a voi educare i vostri ragazzi», si leggeva in uno dei tanti cartelli esibiti a Londra nella manifestazione per ricordare Sarah Everard, che la sera in cui è stata uccisa stava solo tornado a casa da lavoro.

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