La tecnologia non basta per dare autonomia a chi è disabile

Chi è cieco deve poter contare sugli aiuti tecnologici, ma la vera autonomia passa per i piccoli gesti quotidiani. Marilena, che incontriamo nella sede della Lega del Filo d'Oro di Napoli, lancia un appello ai giovani perché si affranchino da cellulari e computer: fondamentali ma non sufficienti, anche in una disabilità importante

Provare a tenere gli occhi chiusi per qualche minuto, o per qualche ora, non basta. Essere ciechi è diverso da non vedere. Chi nasce cieco, come Marilena, non sa neanche cosa sia il buio, perché non ha mai visto la luce. «Voi vedenti conoscete il buio perché lo contrapponete alla luce, ma per i ciechi totali come me il buio e la luce sono astrazioni, concetti, non esperienze reali e vissute». Di reale per Marilena Sifola c’è una vita intera spesa nello studio fino alla laurea, nonostante la cecità, e poi nell’insegnamento. La incontro a Napoli nella sede della Lega del Filo d’Oro, un luogo pieno di allegria in un quartiere popolare della città, dove questa donna minuta e delicata di 69 anni è sempre vissuta.

Abita da sola da 16 anni, da quando la mamma è morta. La aiutano nelle sue necessità due persone, che paga con i suoi risparmi e l’indennità di accompagnamento. «Una mi segue nella questioni burocratiche, l’altra nella spesa e nella casa. La mia fortuna è che sono diventata autonoma prima della rivoluzione tecnologica. Vedo tanti giovani ciechi che si affidano totalmente ai cellulari e ai computer e poi non sanno gestirsi negli spostamenti e nelle faccende di tutti i giorni. E comunque, nonostante la mia autonomia, da sola non esco. C’è sempre qualcuno che mi accompagna. E in questo i volontari della Lega del Filo d’Oro sono preziosissimi. Vengono a prendermi a casa e mi accompagnano alla sede». Eppure anche Marilena ha vissuto il suo piccolo tsunami tecnologico: è successo nel 2005, quando ha incontrato l’associazione, che l’ha aiutata con i vari supporti a casa nel momento in cui alla cecità si è aggiunta una leggera sordità: «Insieme abbiamo attrezzato la casa con i vari allarmi sonori, ma il regalo più prezioso che mi hanno fatto gli esperti informatici della Lega del Filo d’Oro è stato il computer. Oggi il computer è la mia scatola della felicità: lì sono memorizzati centinaia di libri, che posso leggere con il sintetizzatore vocale. E poi posso scrivere mail con la tastiera braille e tenere un’agenda. Prima di tutto ciò c’era solo il braille: si copiavano i libri, oppure ce li portava un corriere direttamente da Monza, ma ovviamente la spesa era alta e poi un singolo volume finiva per moltiplicarsi per quattro. Era tutto più difficile».

Settimio Benedusi
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Marilena usa un mini computer con tastiera braille che le permette di scrivere. All’interno ha un sintetizzatore vocale con cui leggere i testi che le vengono caricati in formato digitale.

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Sicuramente era anche più difficile, 40 anni fa, che una persona cieca arrivasse alla laurea. Erano poche le famiglie che investivano nelle capacità di un figlio con disabilità. «Io sono stata fortunata. I miei genitori non mi hanno mandata nell’istituto per ciechi ma in una scuola normale: lì ho fortificato il mio carattere e conosciuto bambine che sono rimaste mie amiche tutta la vita. A pensarci oggi, in quell’ambiente che mi appariva così chiuso e piccolo, ho trovato invece grande apertura mentale, perfino una professoressa di educazione fisica che mi spingeva a fare la trave. Gesti di grande fiducia, che io ricambiavo cercando di essere come gli altri». La vera inclusione, naturale e non imposta per legge, fa crescere Marilena fiduciosa e la aiuta a capire che la scuola è il suo salvavita. Sceglie infatti il liceo classico. «A casa mi aiutavano le mie sorelle, a scuola il professore dettava e io scrivevo in braille, oppure era la mia famiglia, tutta insieme, a trascrivere i testi per me». Uno sforzo corale che oggi non viene più richiesto: ci sono i lettori digitali e tutto diventa più semplice. «Il ricordo più vivido che ho di mia mamma, infatti, è di lei che legge per me, mentre io prendo appunti». Un’immagine che Marilena si porta dietro così nitida anche perché la mamma l’ha sostenuta pure nella sua vita adulta, quando si è laureata in Lettere e ha cominciato a insegnare. Per 23 anni ha fatto la maestra elementare nell’istituto speciale per ciechi, dove insegnava a bambini non vedenti e ipovedenti.

Il problema è che la nostra società è strutturata su misura per chi non solo vede benissimo, ma gode degli altri sensi e di tutte le abilità motorie e mentali in maniera ottimale. Eppure conoscere il mondo e costruire relazioni vere dà senso al nostro vivere, a quello di tutti. «In questo, ci affidiamo troppo alla vista, il più potente canale di contatto con tutto ciò che è altro da noi. Non è detto, per esempio, che i vedenti pensino con le immagini. Ci sono tante persone che, raccontando una gita in campagna, non descrivono la bellezza e i colori, ma il profumo dei fiori e della natura, così diverso dall’odore delle città». D’altra parte, quante cose facciamo senza usare gli occhi? Valutare i peso degli oggetti, oppure la temperatura di un piatto, ma ce ne sarebbero mille altre. La vista prevale perché gli altri 4 sensi sono i suoi “manovali”. Ma se decidessero a un certo punto di “scioperare”, la vista da sola non basterebbe più.

«Non mi ritengo certo fortunata, ma ho accettato il buio come condizione obbligata su cui costruire la mia vita». Per Marilena la cecità è diventata un radar per valutare le persone e le situazioni. «La superficie e l’apparenza da sole ingannano e ciascuno di noi lo ha sperimentato almeno una volta. Se vogliamo costruire relazioni che non siano frivole e inconsistenti ci vuole anche altro. Ci sono richiesti profondo rispetto, capacità di confronto e grande spirito di accoglienza». Tutto ciò spaventa, tant’è vero che a questa donna è mancato l’amore: «Oggi ho i miei nipoti, i figli delle mie sorelle, ma un uomo non l’ho mai incontrato. Penso sia più difficile per un vedente accettare di stare con una donna cieca piuttosto che il contrario: conosco tante donne che hanno sposato uomini non vedenti. Noi invece restiamo più spesso da sole». Ma non per questo si sentono “eroi” o “speciali”. «Non siamo speciali. Abbiamo solo più difficoltà di altri, che riusciamo a compensare lavorando sugli altri sensi».

Aiuta anche tu la Lega del Filo d’Oro

La Lega del Filo d’Oro, presente in 8 regioni con Centri Residenziali e Sedi territoriali, dal 1964 assiste e riabilita le persone sordocieche (189.000 in Italia) e con deficit psicosensoriali, cercando di accompagnarle all’autonomia. Il lavoro prezioso dell’associazione è garantito, oltre che dai volontari, dalle donazioni. Tutti possiamo contribuire ai progetti in corso: il più ambizioso è la costruzione del nuovo Centro nazionale a Osimo, in parte già realizzato. Noi lo abbiamo visitato ed è una struttura accogliente e funzionale che, grazie a spazi ampi, può ospitare e supportare molte persone, tra familiari e persone con sordocecità. Ma c’è bisogno dell’aiuto di tutti per ultimare i lavori.

Fino al 31 dicembre possiamo donare tramite un semplice SMS solidale digitando il numero 45514.

Per saperne di più sulla Lega del Filo d’Oro

Quasi il 50 per cento delle persone sordocieche ha anche una disabilità motoria, 4 su 10 hanno danni permanenti legati a una disabilità intellettiva. In 7 casi su 10 le persone sordocieche hanno difficoltà ad essere autonome nelle più semplici attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, mangiare, uscire da soli. Un “esercito” di invisibili con disabilità plurime di cui spesso s’ignora l’esistenza. Dal 2006 le risorse raccolte grazie al 5×1000 hanno permesso all’associazione di moltiplicare il suo aiuto: i centri sono diventati 5 in tutta Italia, le sedi territoriali 8, le persone assistite quasi 900.

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