Terza dose: quando e per chi

Il richiamo con la terza dose verrà consigliato agli immunodepressi. Nelle persone sane la copertura risulta valida per almeno un anno

Mentre la campagna vaccinale prosegue con l’obiettivo di raggiungere l’80% di immunizzati in Italia entro la fine di settembre, si discute sempre più spesso della terza dose di vaccino, che potrebbe iniziare ad essere offerta fin dall’autunno. Ma, diversamente da quanto avvenuto, non si tratterebbe più di una vaccinazione di massa, bensì di una somministrazione “mirata” e riservata ad alcune categorie specifiche. Secondo gli esperti, inoltre, il richiamo ulteriore potrebbe anche non avvenire allo scadere dell’anno dal ricevimento della prima dose.

Terza dose: richiamo per gli immunodepressi

L’azienda produttrice di uno dei due vaccini anti-Covid a Rna messaggero, l’americana Moderna, ha annunciato che chiederà l’autorizzazione alla terza dose di siero nei prossimi giorni, presentando i dati relativi all’efficacia e sicurezza agli enti regolatori americano ed europeo, cioè la Food ed Drug Administration e l’Ema, oltre a quelli di altri Paesi di tutto il mondo. Ma è la stessa Ema a frenare, insieme al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc). «Sulla base delle prove attuali, non è urgente la somministrazione di dosi di richiamo dei vaccini Covid-19 alle persone già completamente vaccinate nella popolazione generale» hanno spiegato le due agenzie, chiarendo però che potrebbe esserci la necessità di una dose di richiamo per «le persone con un sistema immunitario gravemente indebolito». Si tratta della stessa linea seguita dal ministero della Salute, con il Sottosegretario, Pierpaolo Sileri, che ha indicato ottobre come il mese in cui potrebbero partire i richiami.

A chi, quando e perché

«La premessa è che prima bisogna finire di somministrare le due dosi a chi non le ha ricevute, a chi non ha capito l’importanza della vaccinazione o è rimasto confuso da qualche messaggio contraddittorio giunto nei mesi scorsi. Solo dopo si valuterà l’opportunità di una terza dose, che però potrebbe non essere per tutti: i dati mostrano che il ciclo vaccinale completo (con due dosi) funziona molto bene e infatti il numero di ricoveri tra i vaccinati è infinitamente inferiore rispetto a chi non è immunizzato, e l’eventuale malattia è molto meno severa. La terza dose, però, potrebbe essere molto importante in chi ha un sistema immunitario meno forte e servirebbe da rinforzo. Mi riferisco a chi segue una terapia immunosoppressiva per un trapianto, per esempio, o chi è in cura per un tumore o per patologie croniche, o utilizza farmaci biologici come quelli per l’artrite reumatoide, il lupus, la psoriasi, e per gli anziani. Gli over 80, come sappiamo, hanno infatti una risposta immunitaria più debole rispetto ai giovani» spiega il professore Andrea Cossarizza, immunologo dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

Green Pass valido per 12 mesi

Abbiamo visto che nei giorni scorsi è stata prolungata da 9 mesi a un anno la validità del Green Pass, che altrimenti sarebbe scaduta a breve in coloro che per primi si sono vaccinati, quindi il personale medico. Anche per loro è prevista una terza dose? «Chiarirei che il prolungamento deriva dai dati scientifici, che ci hanno detto come la protezione vaccinale possa durare un anno, e non da necessità di qualche tipo. Sulla terza dose, non saprei, ma penso che per i medici valga lo stesso ragionamento fatto per tutti. La vera differenza riguarda i cosiddetti soggetti fragili. Stando ai dati in nostro possesso oggi, e sottolineo oggi, chi è in salute e ha ricevuto le due dosi di vaccino, se non ci sono motivi particolari, non dovrebbe necessitare di un ulteriore richiamo. Servirà, prevedibilmente, un approccio basato sulla medicina di precisione per individuare chi realmente ha bisogno della dose booster» spiega Cossarizza.

Stop alla vaccinazione di massa: si andrà verso la “personalizzazione”

«La medicina di precisione, o “personalizzata”, è una sorta di aggiustamento mirato di una terapia consolidata, che viene fatto pensando a particolari gruppi di persone. Teniamo presente che il virus colpisce anche i 30/40enni, a volte con effetti devastanti. Se, per esempio, una persona giovane ha problemi di obesità o altre patologie croniche, si potrebbe valutare l’opportunità di una terza dose. Ma se un giovane è in buona salute ed è vaccinato, ad oggi non c’è motivo per pensare a un ulteriore richiamo. Non dobbiamo farci trarre in inganno dall’esito di un eventuale esame sierologico da cui risulti che non ci sono molti anticorpi in circolo» spiega l’immunologo.

Perché l’esame sierologico non dice se siamo immunizzati

«Perché gli anticorpi si formano dopo che un antigene ha attivato la risposta immunitaria. Se per molti mesi non si è incontrato di nuovo l’antigene, in questo caso il virus, credo che sia normale avere un calo del titolo anticorpale. Questo, però, non significa che non ci sia una buona copertura. È come se si volesse sapere quante scatole di fagioli produce un’azienda: il metodo migliore non è contare quante ce ne siano in un camion fermato a caso in autostrada, ma verificare gli scaffali dei magazzini interni dell’impresa. A cui semmai è difficile accedere. Lo stesso vale per il sistema immunitario umano: se noi controlliamo solo i livelli di anticorpi nel sangue, abbiamo una visione parziale della risposta immunitaria» spiega l’esperto.

Come capire se si hanno anticorpi

Anche il Ministero della Salute, di recente, ha sconsigliato di sottoporsi a test sierologico, che non darebbe una risposta attendibile sulla reale copertura immunologica, andando a verificare la sola presenza delle immunoglobuline (IgM e IgG, ossia gli anticorpi prodotti subito dopo la vaccinazione, o in un secondo tempo). Ma il sistema immunitario conta anche sui linfociti T e B, le cellule protagoniste della risposta immunitaria. «Soltanto il 2% di questi linfociti si trova nel sangue. Il restante 98% è localizzato nei linfonodi, nella milza, nell’intestino, nella cute» spiega l’immunologo, che di recente ha pubblicato nelle maggiori riviste internazionali diversi studi su questi temi.

«Certo, continueremo a studiare cosa è presente nel sangue per praticità, perché un prelievo è ovviamente molto semplice da effettuare rispetto a una biopsia linfonodale. Esistono due o tre test che al momento sono in valutazione – anche in Italia – e che sembrano funzionare bene proprio per capire meglio la risposta immunitaria specifica mediata dai linfociti T. Ma siamo in attesa di una validazione con studi su numero elevato di persone per capire quali siano i valori minimi dei parametri di interesse per ritenere una persona protetta» spiega Cossarizza. «E comunque rimane fondamentale continuare a mantenere tutte le misure di precauzione che ben conosciamo. La pandemia si sconfigge anche così».

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