Vivere con un disabile: perdere la vista da grandi

La cecità spaventa. Eppure Francesca, che incontriamo nel nostro viaggio con la Lega del Filo d'Oro, ha rotto con una gomitata il "soffitto di vetro" che spesso impedisce ai disabili di emergere. E si è laureata. La sua è una storia di resilienza e inclusione sociale. La disabilità tocca anche voi? Scriveteci qui

Tra tutte le disabilità, perdere la vista è forse quella che inquieta di più. La cecità fa paura a chi non ce l’ha. Quando incontriamo un cieco, noi vedenti entriamo in crisi. Appena ci accorgiamo del bastone bianco ci imbarazziamo, ci guardiamo intorno, ci appiattiamo contro il muro. Quasi siamo sollevati quando con il suo sguardo fermo passa oltre e possiamo così uscire dal cono di invisibilità in cui per qualche istante ci siamo sentiti sprofondare.

Eppure la vista, tutta concentrata com’è sull’apparenza, spesso ci impedisce di vedere a fondo le cose. Forse noi vedenti siamo tutti un po’ ciechi. Ciechi che vedono. Persone che possono vedere ma non guardano, non osservano. Lo penso mentre Francesca, che incontro nel centro della Lega del Filo d’Oro di Lesmo, mi pianta addosso i suoi occhi neri, colpiti da un progressivo calo della vista da quando aveva 12 anni. Francesca vede solo ombre a causa della sindrome di Usher, una malattia genetica che può manifestarsi in età giovanile o adulta, e che a poco a poco causa problemi a vedere e sentire. Ha un apparecchio acustico sin dall’infanzia che la aiuta a sentire, anche se con parecchie difficoltà, e un residuo visivo su cui lavora e si allena.

Ora di anni ne ha 25 ed è una bella ragazza bruna, vitale ed entusiasta della vita. La sua vista è limitata, la sua visione – mi viene da dire –  illimitata. Punta i suoi occhi contro i miei ma – penso – in realtà questo a lei non serve. Serve invece a me, perché se non mi guarda, io non mi rispecchio in lei e potrei avere l’impressione di non esistere. Francesca quindi mi sta dando una mano mentre mi racconta di lei e della sua prossima laurea in Giurisprudenza. «La cecità fa tanta più paura quanto più il cieco non sa stare al suo posto» mi dice. Ma il posto di un cieco qual è? Può essere un lavoro da centralinista, al massimo. Mentre i ciechi che puntano in alto, i ciechi che non fanno i ciechi, sanno cosa significa sentirsi trattati da presuntuosi. «Un cieco che si laurea, per tutti è uno che “non accetta il proprio limite”. Ma perché dovrebbe? Noi non siamo esseri umani con un senso in meno del normale, siamo persone che costruiscono la propria normalità su quattro sensi. Tutto ciò che ci sta, è giusto che ci stia”. 

Settimio Benedusi
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Francesca abbraccia sua sorella Lucia, che ha 18 anni e studia per diventare estetista. Il suo tatuaggio è un omaggio agli occhi della sorella che non vedono più, ma non smettono di incantare. 

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Le due sorelle sono legatissime. Lucia è la “personal shopper” di Francesca: la accompagna a fare acquisti e la aiuta a scegliere gli abiti. Ma è anche la sua più valida supporter: «Non sono indulgente con Francesca. Non gliele faccio passare solo perché lei non ci vede. Per il suo bene, penso sia giusto trattarla come tutte le altre persone».

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Francesca ha cominciato a non vederci bene a 11 anni, mentre aveva problemi di udito fin dalla nascita. «Ho iniziato andando a sbattere contro i pali della luce e in un anno ho perso quasi del tutto la vista. È mia mamma che mi ha sempre aiutato a studiare, con il supporto della nonna».

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Il Malossi è un alfabeto per i ciechi basato sui punti delle mani: a ogni punto corrisponde una lettera. Francesca l’ha imparato, ma sa anche il Braille.

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Non m’immaginavo quanto ci può essere, nei quattro sensi. C’è una vita di affetti, studio, spostamenti, hobby, realizzazione personale. Francesca abita con la sorella Lucia, che ha 18 anni, i genitori e la nonna. Suona il piano, si incontra con gli amici nel centro di Lesmo della Lega del Filo d’Oro per eventi, feste e gite, va all’università. Raggiungere obiettivi ambiziosi senza la vista non è come giocare a mosca cieca. Nessuna fortuna bendata. Il successo dipende da una razionale riorganizzazione dei quattro sensi attivi, da un efficiente “governo dell’incertezza”. Del resto l’informatica sta accorciando le distanze tra ciechi e vedenti: scanner vocali che mandano in pensione il Braille, tastiere parlanti per cellulari, “penne magiche” che scandiscono ad alta voce il nome su un campanello o la targa di un portone, strumenti che leggono i colori.

La cecità toglie, certo. Ma in certe condizioni può perfino dare. Una lunga abitudine a vivere senza scrittura può sviluppare abilità compensative molto utili. «Chi perde la vista da grande deve cambiare il modo di studiare: non è facile passare dall’apprendimento tramite un libro cartaceo a quello mediante computer. Ho sentito tanti dire che apprendere ascoltando è più lungo e dispersivo rispetto all’apprendere leggendo. È una questione di attenzione. Con l’esercizio ci si riesce, io per esempio ho potenziato la memoria, e mi creo scalette mentali su tutto. La verità è che i non vedenti devono aver voglia di vedere. Il nostro rischio non è puntare troppo in alto, ma troppo in basso. Di sola tutela sociale non possiamo vivere. Servono esempi perché altri possano osare, magari rischiare un fallimento, ma riprovare».

La vera vista del cieco restano gli altri umani. Una capace rete di relazioni vale un buon paio d’occhi. E quindi siamo daccapo: il problema dei ciechi sono i vedenti. “Per ogni cieco di successo ce n’è uno nascosto”, medita Francesca. Insomma, se c’è un “soffitto di vetro” che impedisce ai ciechi di arrivare dove possono arrivare, va rotto con una gomitata. «I ciechi vivono il loro limite come naturale, mentre è sociale. La maggior parte di noi resta chiuso in casa, alcuni accettano i mestieri “compatibili” fissati per legge anche se potrebbero aspirare a qualcosa di meglio». Poi ci sono i “ribelli”, come lei, che quando a 12 anni ha cominciato a perdere la vista, non si è rassegnata ma ha imparato il Braille, poi il Malossi (l’alfabeto che usa i punti delle mani per comporre le parole), quindi è passata al sintetizzatore vocale per leggere i libri. «Soprattutto all’inizio, è stata un’esperienza dura, estraniante, dolorosa, ma che non mancava mai di sorprendermi. Piano piano capivo la via da imboccare: smettere di sperare in un’impossibile guarigione e accettare la semioscurità come condizione su cui costruire la mia seconda vita. La paura ha cominciato ad affievolirsi e il desiderio di rinascita a prendere forma nelle mie giornate». Un mutamento misterioso, quasi sottotraccia, accompagnato da piccoli stratagemmi diventati esercizi di tenacia quotidiana. Un mutamento che ha avuto bisogno di un grande impegno personale, di una innata resilienza, ma anche di un ambiente inclusivo, competente e motivante. Come la Lega del Filo d’Oro, che con i suoi professionisti e volontari accompagna da anni Francesca ad adattarsi ai cambiamenti della sua vita. L’obiettivo è aiutarla a trovare lavoro dopo la laurea e a vivere da sola in una soluzione residenziale allargata.

Lei ci riuscirà perché ha rifiutato il vittimismo. Ha capito che se rompi con le “comodità” della tutela sociale, ti si apre un mondo di opportunità. Tutti noi, in fondo, cerchiamo rivincite sui nostri limiti. E l’eccesso è il rischio di ogni uomo. Ma cosa rischia alla fine Francesca a voler vivere una vita come tutti noi? Se penso a lei, la vedo “baciare il mondo”. Quando baciamo qualcuno chiudiamo gli occhi per cercare una relazione più intima: ecco, credo che chi non vede, viva un’intimità con la vita che noi vedenti possiamo solo lontanamente immaginare.

Avete anche voi storie di disabilità da raccontarci?

Se anche voi vivete una situazione di disabilità in famiglia, scriveteci qui. Stiamo raccogliendo commenti e storie, da pubblicare qui e sul giornale. Potete scrivere anche alla mail: [email protected].  

Per saperne di più sulla Lega del Filo d’Oro

La Lega del Filo d’Oro, presente in 8 regioni con Centri Residenziali e Sedi territoriali, da più di 50 anni assiste, educa e riabilita le persone sordocieche e con deficit psicosensoriali, cercando di portarle all’autonomia per inserirle nella società. In Italia sono 189mila le persone sordocieche, di cui oltre la metà confinate in casa, non essendo autosufficienti. Quasi il 50% di queste persone ha anche una disabilità motoria e 4 su 10 hanno anche danni permanenti legati a una disabilità intellettiva. In 7 casi su 10 le persone sordocieche hanno difficoltà ad essere autonome nelle più semplici attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, mangiare, uscire da soli. Un “esercito” di invisibili con disabilità plurime di cui spesso s’ignora l’esistenza.  

Per informazioni: legadelfilodoro.it, numero verde 800904450

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(in collaborazione con Lega del Filo d’Oro)

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