Chef Sun Young Koo
Sun Young Koo, cuoca presso l’Istituto culturale coreano di Roma

Questo cibo ci unisce

Cosa c’è di più bello della condivisione di ricette e sapori? Abbiamo incontrato tre grandi chef che vivono in Italia ma provengono da culture diverse. Loro ogni giorno sperimentano la magia della cucina, capace di accogliere le differenze e avvicinare i popoli e le persone

foto di Felice Scoccimarro

Felice Scoccimarro
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Il sogno di un ristorante kosher e halal

Daniela Di Veroli, personal chef

«Una cucina ebraica? In realtà non esiste, perché per la loro natura errante gli ebrei si sono distribuiti in tutto il mondo e, in ogni Paese, hanno applicato le loro regole alimentari alle tradizioni locali» spiega Daniela di Veroli, personal chef, catering maker e appassionata di storia delle cucine. «La caponata siciliana, per esempio, è di origine mediorentale e sono state le comunità ebraiche insediate in Sicilia a inventarla. Così le sarde in saor, i tortelli di zucca mantovani e persino il salame d’oca di Mortara, in Lomellina. Stessa storia per il caciucco alla livornese, che era senza crostacei e molluschi, prodotti che non si possono consumare nella cucina kosher. Ma c’è un cibo che accomuna e unisce tutte le tradizioni ed è il pane. Le due pagnotte a forma di treccia si preparano il venerdì per portarle in tavola la sera e il sabato, il giorno dello shabbat (del riposo) in cui è vietato lavorare. Sono due perché simboleggiano la doppia razione di manna piovuta dal cielo per sfamare gli israeliti rifugiati nel deserto. Per il Capodanno ebraico (Rosh ha Shanà) il pane assume una forma rotonda, in modo da augurare un anno privo di spigoli».

Daniela di Veroli non si è occupata sempre di cucina: laureata in Lingue e comunicazione, ha cambiato direzione alla sua vita dopo l’esperienza di formazione alla comunità ebraica di Milano. «Insegnando ai ragazzi ho capito quanto mi appassionassero le tradizioni gastronomiche. Basta il termine kosher a spiegare in cosa consiste questa cucina» racconta. «Significa idoneo e cioè adatto alle regole dell’alimentazione ebraica, che sono molte e possono confondere. Che non sia possibile mangiare la carne di maiale è noto, ma non tutti sanno che lo struzzo è vietato, i gallinacei sono permessi, ma la faraona no, così come gli insetti ma la cocciniglia viene normalmente utilizzata come colorante per gli aperitivi rossi e le caramelle. E la colla di pesce, fatta con il collagene suino, si trova in quasi tutti i dolci al cucchiaio. Ecco perché per le tradizioni alimentari ci vogliono consapevolezza e rispetto. Per quella kosher come per la vegana o la halal. Il mio grande sogno sarebbe aprire un ristorante kosher e halal, che proponesse un menu unico nel rispetto della cucina ebraica e di quella musulmana. Per ora sono riuscita a preparare una cena per i clochard insieme allo chef Heinz Beck (tre stelle Michelin, patron del ristorante la Pergola a Roma, ndr): ho insegnato due anni al suo master di cucina. È stato un progetto magnifico, svolto in collaborazione con City Angel, per mettere a tavola tante persone di religioni diverse proprio come la musulmana e l’ebraica. Una sfida e una conquista del cibo e della cucina, che sanno unire culture Daniela Di Verolidifferenti».

Felice Scoccimarro
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La ricetta di Daniela Di Veroli

Challot kosher

Ingredienti per 2 trecce

600 g di farina Manitoba, 12 g di lievito di birra fresco o 4 g secco, 1 uovo, 1 tuorlo, semi per decorare, 2 cucchiai di zucchero, 50 ml olio di semi di girasole, sale, acqua

Setaccia la farina, unisci lo zucchero e 1/4 di cucchiaino di sale. Sciogli il lievito in poca acqua tiepida con 1 cucchiaino di zucchero. In una ciotola mescola l’uovo con l’olio, la farina, il lievito e poca acqua per ottenere un impasto morbido, ma non appiccicoso. Lavora qualche minuto. Copri con la pellicola e fai lievitare 2 ore per raddoppiare il volume. Dividi l’impasto in due e poi ogni parte in tante palline per fare i cordoli delle trecce. Con le mani poco unte formali e intrecciali secondo la forma scelta. Mettili su una teglia rivestita con carta da forno, copri e fai lievitare per 30-40 minuti. Spennella con il tuorlo e spolverizza di semi di sesamo o papavero. Inforna a 180° per 25-30 minuti.

Felice Scoccimarro
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In viaggio tra i sapori indiani e mediterranei

Ritu Dalmia, patron del ristorante Cittamani, a Milano

«La mia vita in cucina è cominciata a 9 anni, quando ho preparato il pranzo per la famiglia: tre portate di maccheroni terribili che però i miei genitori hanno mangiato stoicamente» racconta ridendo la star chef Ritu Dalmia, patron a Milano del ristorante Cittamani e di Spica (quest’ultimo aperto insieme alla chef Viviana Varese), conduttrice di programmi di cucina e a capo del gruppo Viva, che vanta 9 ristoranti e catering di lusso in India. «Già da allora mi piacevano i libri di ricette» continua Ritu «ma ho imparato ad apprezzarle davvero viaggiando per l’Italia con mio papà, che era un commerciante di marmi. Tanto che a 20 anni ho aperto il mio primo ristorante italiano a New Delhi. Ma non ero ancora pronta: ricordo che un’amica mi disse che i miei ravioli sembravano quelli delle scatolette americane. Ho ricominciato, sono stata a scuola da Anna Tasca Lanza, in Sicilia: dovevo restare una settimana, invece mi sono fermata un mese e ho imparato sul serio».

Oggi, dopo aver creato il suo impero alle tradizioni locali in India, Ritu ha scelto l’Italia per diffondere la sua cucina indiana. «L’indian food cambia da regione a regione» spiega. «Non c’è qualcosa che leghi i Paesi del Nord a quelli del Sud. La cucina che amo e che si gusta da Cittamani è quella di casa mia, un’interpretazione contemporanea della tradizione Marwari e del Rajastan. Con tocchi italiani, perché ci sono molte somiglianze, dalle panelle all’uso dei legumi e delle verdure fino alle influenze arabe. «Credo che la cucina sia condivisione: io amo viaggiare, visitare i ristoranti e da ognuno, da ogni chef, ogni giorno apprendo qualcosa di nuovo. Amo la diversità perché è cultura e avvicina i popoli, anche a tavola» continua la chef che ha avuto anche un ruolo chiave nell’abolizione della Sezione 377 del Codice penale indiano che considerava illegale l’omosessualità. «La cucina unisce: a 20 anni ho messo d’accordo dei clienti di mio padre cucinando per loro. È stata una grande conquista e un insegnamento per il futuro».

Felice Scoccimarro
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La ricetta di Ritu Dalmia

Gujrati Handvo indiano

Ingredienti per 4 persone

200 g di riso, 175 g di lenticchie miste, 1/2 tazza di yogurt, 1 tazza di verdure sminuzzate (cavolo, carota, zucca, fettine di cipolla), 1/2 tazza di germogli, 1/2 cucchiaino da tè di bicarbonato di sodio, 2 di pasta verde allo zenzero, 30 ml di olio, sale, pepe, curcuma, succo di limone. Per condire: 1 cucchiaino da tè di semi di mostarda, 1 di semi di cumino, 2 di semi di sesamo, 3 di olio, 10 foglie di curry

Immergi il riso e le lenticchie in acqua per una notte. Scola e frulla con lo yogurt per ottenere una pastella omogenea. Fai fermentare in un luogo caldo per 3-4 ore. Aggiungi le verdure sminuzzate, la cipolla, i germogli, la pasta allo zenzero e l’olio. Mescola. Unisci il bicarbonato di sodio e il succo di limone. In una padella antiaderente scalda l’olio, aggiungi le foglie di curry, il cumino, i semi di senape e, quando iniziano a scoppiettare, versa i semi di sesamo. Stendi la pastella con una spatola, nella teglia, per ottenere una frittella di circa 3 cm di spessore, abbassa la fiamma e coprila con un coperchio. Cuoci per 6-7 minuti. Quando il fondo è croccante, capovolgi e cuoci l’altro lato per altri 6-7 minuti. Se ne avanza, riscaldala in una teglia antiaderente: resterà croccante e delicata.

Felice Scoccimarro
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Cucinare per gli altri è un atto d’amore

Sun Young Koo, cuoca presso l’Istituto culturale coreano di Roma

«Sono arrivata in Italia 25 anni fa per studiare moda e poi ho iniziato a lavorare come stilista ma quello che mi mancava erano i sapori di casa. Ho sempre cucinato, per me e per gli amici, per gioire e sconfiggere i momenti di melanconia» racconta Sun Young Koo, per due anni cuoca ufficiale dell’Ambasciata coreana a Milano e collaboratrice fissa dell’Istituto culturale coreano di Roma. «Sei anni fa questa passione mi ha fatto cambiare rotta, trasformando il piacere di stare ai fornelli nella mia professione. Da piccola, con la famiglia, frequentavo i templi dei monaci e quei sapori ancora oggi sono legati alla mia infanzia. C’è una parola che identifica la cucina del mio Paese: cura. Da quella che ha il contadino per la sua terra fino a quella della mamma nel cercare gli ingredienti giusti. La cucina coreana è un atto d’amore: è il principio della cucina buddista, che utilizza ogni ingrediente per mantenere il corpo sano, nel fisico e nello spirito. Il popolo coreano è quello che consuma più verdure al mondo. E sono molte le somiglianze tra la cucina coreana e quella mediterranea, perché puntano entrambe sugli ingredienti di stagione, su quelli del mare e della terra, sulle cromie. Per noi ci sono 5 colori che portano energia positiva e non dovrebbero mai mancare nel menu: bianco, nero, verde, rosso e giallo, rappresentano i 5 elementi e sono il simbolo dell’armonia e dell’universo. Anche il kimchi è un’icona della nostra cucina: le verdure, il pesce, le salse, le erbe, la soia vengono messe a fermentare nelle giare, così il cibo si conserva a lungo ed è delizioso. L’altro piatto famoso è il barbecue coreano: la carne, prima di essere grigliata, viene marinata con la soia e il succo di pera che ammorbidiscono e danno dolcezza. Durante una vacanza in Puglia, degli amici mi hanno detto che non avevano mai mangiato una grigliata così saporita. Mi sono sentita felice: è la dimostrazione che la cucina unisce i popoli e smussa le diversità. E che il cibo del mio Paese sta conquistando l’Italia: la Korea week (quest’anno è online, dal 25 al 30 ottobre con una settimana di eventi gratuiti, ndr) è l’occasione per imparare a cucinare, sia con i miei corsi sia con tante star italiane che si cimenteranno in piatti coreani». Se vuoi informarti vai su italia.korean-culture.org/).

Felice Scoccimarro
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La ricetta di Sun Young Koo

Bibimbap coreano
Riso verdura e salsa Gochujang

Ingredienti per 4 persone

720 g di riso bianco, o integrale, originario cotto, 6-8 g di funghi shiitake secchi, 150 g di germogli di soia, 150 g di spinaci, 120 g di carote, 4 cucchiai di alghe tostate, 1 uovo, sale, olio di sesamo, olio vegetale, semi di sesamo, 1 cucchiaio di salsa di soia, 1 di malto di riso
Per la salsa 4 cucchiai di Gochujang, 2 di salsa di soia, 1 di miele di acacia, 2 di semi di sesamo macinato, 4 di olio di sesamo tostato

Sbollenta gli spinaci puliti, sciacquali e strizzali. Mescolali con un pizzico di sale, semi di sesamo tostati, 1/2 cucchiaio di olio di sesamo. Sbollenta i germogli di soia e procedi come con gli spinaci.
Taglia le carote a julienne, saltale in una padella con poco olio di semi e sala. Ammolla i funghi shiitake nell’acqua tiepida, sciaquali e strizzali delicatamente. Tagliali a julienne e rosolali in una padella con un po’ di olio di sesamo, 1 cucchiaio di salsa di soia e 1 cucchiaio di malto di riso. Tosta in padella un paio di alghe nori, spezzettale e mettile in una busta di plastica alimentare con un po’ di zucchero e sale. Prepara l’uovo al tegamino. In una ciotola grande metti il riso cotto e appoggia le verdure, facendo attenzione all’armonia dei colori. Servi con la salsa preparata, mescolando gli ingredienti.

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