Fare carriera partendo dal call center

Vuoi chiedere una promozione, ma sei frenata dal timore di non essere all’altezza? Qui 3 manager raccontano come hanno “scalato” la loro azienda cominciando dal basso. Senza rinunciare alla felicità familiare

Dalle nuove norme per il congedo parentale allo smart working in continua crescita: a forza di battere sul tasto della parità, oggi esistono più strumenti per le donne che vogliono conciliare carriera e famiglia. E anche se i dati sull’occupazione femminile in Italia sono ancora drammatici, l’accesso paritario alle carriere una chimera e il gender pay gap un abisso, le stanze dei bottoni cominciano a tingersi di rosa: le donne ai vertici nella fascia under 35 doppiano le dirigenti più anziane che sono appena 16 su 100 (dati Federmanager).

Per le manager in carriera la difficoltà di conciliare vita e lavoro non è l’unico ostacolo. Un recente sondaggio di Linkedin, per esempio, ha messo in luce le ritrosie femminili quando devono chiedere una promozione. Per paura di sbagliare, di competere o di non essere all’altezza. Se anche tu hai in mente una scalata aziendale ma ti senti frenata, qui trovi 3 esperienze che ti possono ispirare. Le raccontano 3 donne partite dal basso e arrivate al top: ti spiegano su cosa puntare la carriera e come conciliarla con casa e figli.

Da stagista ad amministratore delegato di Kiko

Cristina Scocchia, 45 anni, oggi è l’ad del celebre marchio di make up, dopo aver ricoperto lo stesso ruolo per L’Oréal Italia. A 22 è entrata in Procter&Gamble, dov’è diventata direttore delle Cosmetics International Operations di oltre 70 Paesi. «Studiavo ancora quando mi proposi alla Procter&Gamble, conosciuta a un career day dell’università. Al colloquio mi fecero la stessa domanda che io oggi rivolgo ai candidati: “Come ti vedi tra 15 anni”? Con la spontaneità e la sfrontatezza dei 20 anni risposi: “Amministratore delegato. Ditemi voi come arrivarci”. Deve essere stata questa intraprendenza a conquistarli, insieme ai sacrifici fatti da lì in poi. Mi presero per uno stage nel marketing e dopo mi proposero l’assunzione, a patto che mi laureassi con il massimo dei voti. Studiavo la notte e lavoravo di giorno. Mi sono fatta strada a forza di resilienza: stringevo i denti anche quando le cose non andavano come volevo e accettavo tutti i ruoli che mi assegnavano. Il consiglio che oggi dò alle ragazze è questo: fidatevi di chi vi sceglie, forse vede dei talenti che voi ancora non percepite. Io aspiravo fin dall’inizio al settore beauty, ma continuavano ad affidarmi la promozione di marchi come l’anticalcare e la colla per dentiere: è proprio con quelle esperienze che mi sono fatta le ossa per spiccare poi il volo quando finalmente mi hanno assegnato il make up».

Come ho conciliato lavoro e famiglia «Quando sono diventata mamma sono stata assalita dal timore che mi “parcheggiassero”, quindi ho ripreso subito a lavorare e ho passato il primo anno a sentirmi in colpa. Ho saputo al telefono, mentre ero negli Usa, che il mio bambino aveva iniziato a camminare. Mi sono detta: “Basta sensi di colpa: quando tornerò a casa, farà il suo primo passo per me”. Da allora ho abbandonato la pretesa di essere perfetta in tutti i ruoli, il grande limite di noi donne, e ho iniziato a delegare. Oggi mio figlio è il mio primo fan».

Da assistente di negozio a HR manager in Ikea

Renata Duretti, 53 anni, laurea in Economia e commercio, è partita a 23 anni dal negozio Ikea di Torino come assistente dello store manager. «Mi occupavo di controllo di gestione, ma nei weekend mi capitava anche di stare alla cassa. Mi sono lanciata a capofitto nel lavoro, non staccavo mai, facendo forza sulle doti che avevo im- parato praticando a lungo il nuoto sin- cronizzato: lo spirito di sacrificio e il percorso per obiettivi. L’ho fatto perché ho capito che quella era l’azienda giusta, che lì potevo crescere e far carriera. Nel contesto di una multinazionale, in genere più aperto e flessibile, è possibile cambiare ruolo e settore: bisogna approfittarne per crescere. Io, per esempio, ho risposto a un annuncio interno per andare a Milano come capo della logistica. Non ho avuto paura di passare dalla gestione dei numeri a quella delle persone, per la quale ho capito di essere più portata. Tanto da diventare infine capo delle risorse umane di Ikea Italia».

Come ho conciliato lavoro e famiglia «Ho 3 figli, tutti nati in momenti cruciali della carriera. A gestire la famiglia mi ha aiutato mio marito, che ha sempre condiviso con me il ruolo di genitore. Quello che consiglio alle aspiranti donne in carriera è non farsi scegliere, ma scegliere. Scegliere l’azienda nella quale è più facile brillare per una donna: in genere le multinazionali dove molti ruoli di leadership sono già “rosa” e la maternità non è un tabù. E scegliere anche un partner che ti aiuti a brillare, cioè che condivida davvero con te la responsabilità dei figli e del lavoro».

Dal call center alle risorse umane di Linkem

Grazia Paparella, 40 anni, nel 2012 ha risposto a un annuncio di lavoro per il settore assistenza del call center di Linkem, impresa pugliese delle telecomunicazioni e provider Internet. «Partivo avvantaggiata per quel ruolo: avevo alle spalle studi universitari e un’esperienza di lavoro nelle vendite. Avevo già sviluppato empatia e capacità di negoziazione, competenze importati per l’assistenza telefonica. Infatti mi capitava di chiudere i contratti con una certa facilità. Per questo mi passarono alle vendite. Mi rendo conto che a fare colpo è stato il mio entusiasmo: Linkem è una società nata e cresciuta al Sud, come me. Ci vedevo una sorta di riscatto per noi giovani meridionali spesso costretti a emigrare per lavoro. Ero quindi così in linea con la filosofia aziendale che la passione traspariva anche nel modo in cui parlavo al telefono con i clienti. Portavo a casa 10 contratti al giorno mentre la media del reparto era 2. Così mi hanno messo a capo di un team per insegnargli le strategie e contagiarlo col mio entusiasmo. Da lì sono passata a team sempre più a ampi fino a raggiungere il vertice delle risorse umane».

Come ho conciliato lavoro e famiglia «Quando sono arrivata in Linkem mio figlio aveva 2 anni e mezzo. L’azienda mi ha sempre concesso una certa flessibilità, così anche se devo dividermi tra Bari e Roma, nei momenti importanti ci sono sempre. Ma il vero segreto è che io per prima non ho mai vissuto la maternità come un problema: sono una persona positiva e tendo a creare positività intorno a me. Un atteggiamento che allenta le tensioni a casa e sul lavoro».

I numeri

32,8% sono le lavoratrici che scelgono il part time per conciliare famiglia e lavoro. 62,2% sono le italiane senza figli che lavorano. 58,4% sono le occupate con un figlio (la media europea è del 72,5%). (Fonti: Istat ed Eurostat).

Perché le mamme si dimettono

Anche se l’Italia ha raggiunto il record storico del 49% di donne occupate (ancora lontano dalle percentuali europee), resiste un dato molto negativo. Secondo l’Ispettorato del lavoro, il 78% delle dimissioni riguarda le madri lavoratrici. Al primo posto tra le motivazioni c’è la difficoltà a conciliare il lavoro e la cura dei figli, dovuta soprattutto ai costi elevati per gli asili nido e le babysitter.

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