Rapita

Rapita: storia di una ragazza intrappolata nelle sue menzogne

È nei cinema un film francese toccante e intimo che racconta di una maternità desiderata, di un amore che nasce da una menzogna e di personaggi che si perdono

A cosa può condurre la solitudine? Il desiderio di avere una vita normale con un compagno, un figlio? È la domanda che pone il film Le ravissement – Rapita, dall’8 maggio al cinema. È la storia di Lydia, la bravissima Hafsia Herzi, una ragazza sola che all’inizio del film viene lasciata dal fidanzato per un’altra. La sua vita scivola verso il fondo quando scopre che la sua migliore amica, Salomé (Nina Meurisse), proprio lo stesso giorno, è incinta.

La storia di Lydia

Lydia è una bella ragazza giovane e piena di vita, una brava ostetrica in uno dei migliori ospedali di Parigi, si prende cura delle madri e dei loro piccoli – e la tenerezza di alcune scene di parto filmate con una tecnica documentaristica lo dimostrano – ma all’improvviso la sua vita regolata deraglia e la trascina in un vortice che la risucchia insieme a tutti quelli che le stanno intorno.

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La menzogna si fa largo

La menzogna, una vita che non è la sua, si fanno largo. In un finale che già ti immagini tragico. La regista Iris Kaltenback, qui alla sua prima regia, ama Kieslowski, il cinema d’autore, la poesia degli sguardi e dei silenzi. La storia nasce da una notizia letta su un giornale: «una giovane donna prende in prestito il figlio della sua migliore amica e fa credere a un uomo di essere lei la madre. È nata allora, nella mia mente, l’idea di raccontare lo sconvolgimento di un’amicizia e la nascita di una storia d’amore intorno alla stessa bugia» dice la regista che usa la voce narrante fuori-campo dell’uomo che ricostruisce la storia come se fosse la deposizione di un processo. E cerca di trovarci un senso.

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Donne e uomini soli

Ma dietro alla menzogna c’è la voglia di essere accettati, di avere una vita normale in una società che ti lascia a te stesso. Solo con un bambino in braccio Lydia si rende conto di contare qualcosa, di ricevere attenzioni, di essere guardata. Lydia in fondo una famiglia che la sostiene e su cui fare affidamento non ce l’ha. Ha soltanto l’amica Salomé che sembra determinata e accudente ma che poi crolla dopo il parto e la allontana. C’è poi Milos, che conduce l’autobus di notte perché soffre di insonnia. Tre personaggi con le loro fragilità che si attraggono e respingono. «Io e Salomé siamo come due vasi comunicanti» dice a un certo punto Lydia. «Quando lei è felice io sono triste, quando lei è triste io sono felice».

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Il tema della maternità

Il tema della maternità è centrale: «Mi hanno sempre toccato le storie di maternità contrastata o “dirottata”: sia che si tratti di una donna che diventa madre e che non prova i sentimenti che comunemente ci si aspetta, sia di una donna che non lo è, e che sviluppa invece sentimenti e comportamenti che di solito attribuiamo a una madre che gioisce» continua la regista. E la maternità è qui concreta, carnale – la regista filma anche una vera nascita con una tale delicatezza che lascia a bocca aperta – è desiderata e sofferta. È un’esigenza primordiale che può salvare o dannare.

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