Chiara Francini, attrice, scrittrice, conduttrice televisiva e one woman show, ma anche produttrice, autrice di monologhi, castigamatti, e ancora figlia, amica e fidanzata a tempo indeterminato, somiglia a un caleidoscopio: a seconda di come la guardi, cambia forma e tutte sembrano bellissime. Oggi si presenta in quella di autrice, vocazione antica rimasta per un po’ oscurata da set, film e palcoscenici, e riemersa strada facendo con un talento capace di convincere anche i più scettici fautori della separazione delle carriere. Infatti, è in libreria il nuovo romanzo di Chiara Francini, Le querce non fanno limoni.
Le querce non fanno i limoni, l’ultimo libro di Chiara Francini

Il suo nuovo romanzo appena uscito per Rizzoli, il sesto in otto anni, si intitola Le querce non fanno i limoni e racconta la vita di Delia, ex partigiana, fiorentina e barricadera come lei, che con la sua vita attraversa la storia d’Italia dal fascismo agli anni di piombo, resistendo agli urti, al dolore e alle perdite. Un libro che indaga sul potere della memoria e sull’eredità del passato che è insieme affettiva, ideologica e politica. «Il passato ha il grande vantaggio della distanza: quando guardi qualcosa da lontano, lo metti a fuoco meglio. E questo gli dà una qualità pedagogica. È come guardare alla mamma o al babbo» dice in diretta telefonica dalla sua casa romana. «Delia, è una donna che ha fatto la resistenza con il fucile e poi ha resistito tutta la vita. Nella sua umanità è profondamente eroica».
Resistere vuol dire prendere coscienza che la vita è imperfetta: non è un atto di forza, ma di accoglienza.
La politica non riguarda i cuoricini

In questo libro c’è anche la casa di Delia, il Cantuccio, che è una comune aperta a chiunque ne abbia bisogno. Ci sono gli anni di piombo, piazza Fontana e compagni della Casa del Popolo.
«È un libro profondamente politico».
Parlare di politica è qualcosa che abbiamo smesso di fare. Bisogna invertire la rotta?
«La politica dovrebbe essere l’atto più altruistico che c’è. E invece oggi è come il testo dei Coma Cose, una faccenda di cuoricini. Si cerca il consenso come un like sui social. E purtroppo anche chi avrebbe titolo a parlarne correttamente, finisce per adeguarsi, pastrocchiando posizioni vuote e totalmente sterili. Infatti, nel 2025 il dibattito è ancora: tu sei fascista, tu sei comunista».
Il suo modo di fare politica qual è?
«Cerco di essere una brava persona, di mantenermi umana e di guardare le cose per quello che sono. Tutto ciò che ci riguarda è politico, anche il modo in cui scendiamo dall’autobus».
Non siamo più abituati alla complessità

Che formazione ha avuto?
«La mia era una famiglia di sinistra come tante famiglie toscane. Sono cresciuta con quegli ideali lì, allevata dai nonni materni ai tempi in cui parlare di politica significava parlare di Berlinguer, Spadolini, Pertini, Craxi, Almirante. Persone di un’altra caratura, da qualunque parte guardassi».
Eppure, qualche anno fa, in studio da Bianca Berlinguer ha demolito i “sinistri” definendoli “persone nate ricche, borghesi che vorrebbero essere poveri per sembrare intelligenti. Gente a cui non frega nulla del comunismo, degli operai, del lavoro e dei diritti, ma solo di apparire di sinistra, cioè dalla parte del giusto. Qualcuno se l’è presa?
«Di sicuro Bersani no».
Da una donna di sinistra, una critica così ha fatto discutere.
«Non cambierei una virgola. I sinistri depauperano gli ideali in cui credo. Infatti, riconoscersi in questi valori e votare sinistra sono due cose differenti».
Perché?
«Non siamo più abituati alla complessità. Oggi banalizziamo tutto: se festeggi il 25 aprile sei comunista, se critichi la sinistra sei fascista. Infatti, il mio discorso sui sinistri è diventato virale e ognuno se n’è appropriato, anche chi non l’ha capito».
Chiara Francini ne Le querce non fanno limoni c’è anche la mia famiglia

Che cosa conta nella vita?
«Tante cose, anche la fortuna. Nascere Chiara Francini, è stata la mia fortuna più grande. Crescere nel mio paese, con i miei nonni e i miei genitori. Nel bene o nel male, quello che siamo lo dobbiamo alle nostre origini. Serve un’intelligente gratitudine per quella che è stata la nostra sorte».
Nel libro scrive: «Amavo mio padre, lo veneravo come solo una figlia femmina può fare». Vale anche per lei?
«Assolutamente. Mio padre è un uomo silenzioso, e molto caustico. Ha fatto solo la terza media, eppure al liceo mi spiegava fisica. Era un ragazzo povero che si è fatto da solo, molto rigoroso, molto giusto e molto intelligente, forse il più intelligente della famiglia».
Lo sguardo di una madre
Sua madre, invece?
«Una grande lavoratrice, molto tradizionalista per certi versi, moderna per altri. Molto rigida ma anche accogliente, attenta e molto toscana: schietta, buffa, onestissima».
Il suo sguardo ha pesato?
«La mamma è la grande devastazione. Ovviamente mi ha influenzata: essere così tignosa è qualcosa che ho preso da lei».
Anche come figlia è stata tignosa?
«Sì, ma anche molto brava. Sono astemia, non ho mai preso una droga, mai fumato, mai fatta una canna, mai tornata tardi. Ero esplosiva, ma anche assennata e lo sono rimasta. Delusioni ai miei non ne ho mai date. Certo, per me sognavano il posto fisso e in questo non li ho assecondati, però ho guadagnato, il mutuo me l’hanno concesso e ho comprato casa. Alla fine, ho compensato».
Chiara Francini: da Le querce non fanno limoni alla carriera di attrice
Il successo l’ha cambiata?
«No. Della mia educazione continuo a portarmi dietro tutto. Non ho cominciato a desiderare la barca o la casa al mare. Davvero penso che nella vita siamo quello che abbiamo mangiato da bambini. Il mio lusso più grande è il lavoro: io lavoro e basta. Sono molto fortunata, è vero, ma alla fine non faccio una vita così diversa da quella dei miei genitori».
A fare l’attrice come ci è finita?
«Quando vidi Titanic dissi alla mia amica Elena: “Un giorno ci sarò anche io su quello schermo”. Probabilmente aveva a che fare con la voglia di sentirmi amata. Anche se poi, nella vita, sono riservata, poco mondana. Quando entro in una stanza, non amo che si girino tutti: preferisco passare inosservata. Non mi trucco mai, detesto i tacchi, mi vesto con le camicie da uomo. Anche nel vestire, sono molto pratica».
Niente calcoli?
«No, ma sono anche molto delicata. Non direi mai cose per dispiacere qualcuno. Però se credo di avere ragione, difficilmente mi smuovo».
Si sarà ricreduta almeno una volta.
«Sì. Quando è morto il mio primo fidanzato. Lì ho capito che la morte cambia tutto, e non pensavo. Finché una persona è viva, quello che conservi di lei sono ricordi. Quando muore, un pezzo di te se ne va. E i ricordi diventano memorie perché i ricordi sono vivi, la memoria invece è immutabile».
Chiara Francini: in famiglia non si paga, si dona

Cosa è la famiglia per lei?
«Un posto dove sei amato, accolto e ascoltato. Qualcosa che ha a che fare con la cura e il dialogo. Un posto che somiglia al Cantuccio della Delia, dove non si paga ma si dona, dove le difficoltà non si correggono ma si accolgono. Famiglia è la mia mamma, il mio babbo, Frederic, i miei gatti, le mie amiche».
L’amore, invece?
«È una forma di resistenza. È volersi trovare ogni giorno, e anche tanta tanta pazienza».
Sta con lo stesso uomo, l’imprenditore svedese Frederic Lundqvist, da 19 anni. La monogamia è genetica o culturale?
«Culturale. Almeno nel mio caso».
Negli uomini che cosa ama?
«Il rigore. Devono ricordarmi la rettitudine di mio padre. Non ho mai amato l’uomo potente o ricco, forse perché ho sempre pensato che quel potere gli desse la presunzione di controllarmi. Io amo gli uomini intelligenti. La parte fisica, è secondaria. La stima mi interessa di più».
A Sanremo, due anni fa, ha parlato del senso di inadeguatezza delle donne. Quelle che sono madri, quelle che non lo sono. La voce che ti dice che non sei mai abbastanza si mette mai a tacere?
«Per fortuna no. L’inadeguatezza è costitutiva, come il senso di vergogna, e ti porta a conoscere parti di te. Non esiste una donna che non abbia sensi di colpa, che non viva la sindrome dell’impostora. È importante quei sentimenti non solo guardarli ma anche viverli. Sono come i pozzi in cui ogni donna cade di cui parla la Ginzburg e che diventano la loro forza».
Il suo pozzo qual è?
«Sentirmi fuori luogo, fuori misura. La sindrome dell’impostora che mi fa pensare: “Io non valgo tutto questo, sono molto meno”. Chi lo decide che sei giusta? Gli altri possono dire che sono bella o che sono ricca, ma è solo rumore».
La voglia di maternità a che punto è?
«Ci sto ancora pensando, anche se per poco. Non ho mai detto che non posso fare figli o che non voglio farne. Io di natura sono molto pensosa e anche su questo sono ancora in divenire. È tutto pronto, ma non ci ho ancora messo mano. Resta aperta la possibilità».
Servizio di Cristina Nava. Foto di Marco Craig. Ha collaborato Chiara Sarelini. Make up @valentini.nina Hairstyle Piero Giordi per Paul Mitchell