Patrick Dempsey intervista

Patrick Dempsey: intervista all’uomo più sexy dell’anno

Appena eletto uomo più sexy del 2023, è il pilota Piero Taruffi nell’attesissimo Ferrari. Film in cui ha dato sfogo alle sue due grandi passioni: il cinema e le auto. E ne ha scoperta una terza: l’Italia

Il dottore sex symbol cerca casa (in Italia!)

Se ti capitasse di incrociare in giro un tipo che somiglia al dottor Stranamore di Grey’s Anatomy, a parte i capelli un filo più “grey”, sappi che potrebbe essere davvero lui: Patrick Dempsey. Perché l’uomo più sexy del 2023 secondo la rivista People ha deciso di stabilirsi dalle nostre parti. Come George Clooney sul lago di Como? «Non so ancora dove, c’è così tanto da esplorare! Però l’idea è vivere in Italia con la mia famiglia, e non solo venirci in vacanza» risponde lui. Tolto il camice della celebrità nel 2015 dopo 10 anni di carriera sanitario-televisiva (salvo un breve ritorno nel 2021), ha indossato varie altre divise e storie: dal completo gessato da guru finanziario nella serie Diavoli alla giubba di sceriffo nel recentissimo film Thanksgiving. «Adoro Roma, ma è una città dove non è facile abitare. Stiamo cercando un posto dove i ragazzi possano finire gli studi» continua Patrick Dempsey, riferendosi ai 3 figli avuti con la moglie Jillian Fink: Talula, 21 anni, e i gemelli Sullivan e Darby, 16.

Patrick Dempsey a Venezia con la moglie Jillian Fink, make-up artist

Del resto, ha radici nostrane anche il film che Dempsey ha presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia: Ferrari di Michael Mann, al cinema il 14 dicembre, con Adam Driver nel ruolo di Enzo, il mitico fondatore dell’altrettanto mitica casa automobilistica. Patrick Dempsey lo racconta con orgoglio, perché gli ha permesso di unire per la prima volta le sue più grandi passioni: il cinema e i motori. Nel film interpreta Piero Taruffi, pilota della scuderia Ferrari, e, avendo lui stesso guidato in competizioni internazionali come la 24 Ore di Le Mans, non ha voluto controfigure.

Intervista a Patrick Dempsey

Non è stata una scelta rischiosa? «Vista la mia esperienza, era quello che più desideravo. Non è per l’adrenalina che amo le auto da corsa, è più una forma di meditazione: sei concentrato a tal punto che la testa, al contrario di te, smette di correre e dimentica ogni altro pensiero. Non so se mi hanno concesso di guidare perché ero affidabile o… sacrificabile! (ride, ndr). Un momento di grande paura, comunque, l’ho avuto: è stato il peggiore della mia storia di pilota».

Vuole dire che ha corso più pericoli girando il film che nelle gare reali? «Abbiamo girato le scene della Mille Miglia come si faceva negli anni ’50, senza la gabbia protettiva che oggi fa parte delle auto da corsa. Una notte ha iniziato a piovere e non c’era visibilità: ho dovuto tirare fuori tutto, ma proprio tutto, quello che ho imparato in tanti anni».

Che effetto le ha fatto sfoggiare il biondo quasi platinato di Taruffi? «C’è voluta una settimana per trovare il colore giusto e neppure mia moglie, che è una make-up artist, è riuscita a riparare un iniziale errore di tinta. Alla fine delle riprese mi si spezzavano i capelli, ho dovuto rasarli tutti».

Da attore, calarsi in un personaggio italiano ha richiesto qualche attenzione particolare nella gestualità? «Voi italiani siete calorosi ed espressivi, l’ho visto anche sul set, ed è quello che ho cercato di rendere. L’abitudine di toccare gli amici mentre chiacchierate. La libertà di esprimere emozioni forti senza censurarsi per paura del giudizio altrui. Siete più spontanei, fa parte della vostra cultura».

È girando questo film che ha maturato il desiderio di vivere in Italia? «Modena, la città della Ferrari, mi ha ricordato i posti dove sono cresciuto, nel Maine: piccoli centri vicini ai campi agricoli, che mi piacciono perché la gente ha un rapporto forte con la terra e il cibo. In tutta Europa, comunque, la qualità della vita mi pare migliore rispetto agli Stati Uniti: le persone sembrano più consapevoli dei valori che contano e io ho sempre apprezzato l’autenticità e l’onestà. Anche di Enzo Ferrari mi ha colpito l’umanità».

Era molto ambizioso, si è smarcato dalle origini umili. «Ma proprio perché veniva dal popolo ha dovuto lottare per ogni conquista. Nel Dopoguerra ha trovato una propria identità offrendone una anche al suo Paese, con la creazione della Ferrari: questa è almeno la mia visione. È rimasto attento ai suoi dipendenti, tant’è che non facevano mai sciopero. Era empatico pur essendo uno che voleva vincere a tutti i costi, perciò faceva pressione sui piloti, cercava di tirarne fuori il massimo della grinta».

Anche lei è competitivo? «Oh sì! Sono uno che punta a vincere. Ho rinunciato alle corse solo per la famiglia (nel 2015 la moglie aveva chiesto il divorzio, ma l’anno successivo si sono riappacificati, ndr). Mi ero ripromesso di smettere nel 2015, anche se lo vivevo come un sacrificio enorme, la rinuncia a una parte fondamentale di me: puoi sentirti morire se neghi le spinte che hai dentro, però bisogna anche essere capaci di accettare i cambiamenti».

La famiglia si è rivelata più importante? «Mi sono reso conto del sacrificio che ho chiesto loro e della paura che avevano quando correvo: alla fine di ogni gara aspettavano il mio messaggio… A un certo punto non ho più potuto giustificare quella passione neppure a me stesso. Mi mancava il tempo con mia moglie, con i miei figli, continuavo a pensare: “Che ci faccio qui?”. Ora ho la mia squadra, le mie Porsche e le auto vintage, ma a 57 anni non ha più senso scendere in pista. Con il senno di poi, forse, avrei dovuto fare il pilota anziché l’attore!».

E perché non ci ha provato? «Perché da ragazzo avevo un’altra sfida da vincere. Faticavo a scuola per la dislessia, leggere era un’impresa. Fare l’attore, studiare un copione, significava riaprire quella ferita ma anche imparare a guarirla, trovare una strategia per uscirne. Per questo non mi sono mai sentito sicuro delle mie capacità attoriali, per quanto sia di per sé un mestiere che ti rende necessariamente vulnerabile: sei sempre esposto al giudizio degli altri».

Ha avuto un grande successo, e non solo come sex symbol di Grey’s Anatomy. Ha girato commedie molto amate come Bridget Jones’s Baby e film d’autore come Thanksgiving e Ferrari. Che cosa si augura per il futuro? «Di avere altri progetti ad alto contenuto artistico. Di godermi il viaggio, che è più importante della meta. Di vivere appieno il presente, qui e ora, soprattutto in questa che è l’era della distrazione, degli smartphone che ci strappano ogni concentrazione».

Pensa di aver trasmesso le sue passioni ai figli? «Sì e no. Di sicuro cercano di uscire dalla mia ombra stando lontani da Hollywood. I gemelli sono molto sportivi, uno ama le corse come me, l’altro il football ma anche l’arte e il design. Talula, invece, è una pasticciera. Mi piace che cerchino la loro identità e inseguano i loro, di sogni».

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