Nives Meroi: «La montagna ti insegna ad avere pazienza»

  • 28 09 2017

Lei e suo marito sono stati i primi a scalare in coppia, senza bombole di ossigeno, tutte le vette sopra gli 8.000 metri. Insieme hanno superato anche la malattia

L’hanno definita “la tigre della montagna”, ma più che un ruggito la sua è una voce dolce e pacata. Quando parla, Nives Meroi trasmette serenità e tanta saggezza. Doti che vengono dalla familiarità di questa 56enne con le vette più alte della Terra, che frequenta da sempre e che tanto, dice, le hanno insegnato. Nives e il marito Romano Benet, alpinista anche lui, sono la prima coppia al mondo ad aver scalato tutti i “14 giganti”, cioè le montagne che superano gli 8.000 metri, senza l’ausilio di bombole e portatori: a maggio hanno conquistato la vetta dell’Annapurna (8.091 metri). E nonostante nel 2009, quando erano ancora a quota 11, a Romano fosse stata diagnosticata una malattia tanto grave quanto rara, l’aplasia midollare. Nel 2014, dopo che lui ha superato 2 trapianti di midollo e 2 protesi alle anche, sono tornati in cordata e in primavera hanno completato un’impresa che ha dell’incredibile, non solo a livello sportivo.

Da dove arriva il suo amore per la montagna?

Ho iniziato quasi per gioco, da ragazza, per il puro piacere di vivere l’ambiente allo stato brado. La mia Tarvisio, circondata da montagne bellissime, ha giocato un ruolo importante.

Che cosa rappresentano per lei quelle cime?

Un’esplorazione di sé all’interno della natura, perché la montagna aiuta a scoprirsi e ad avvicinarsi all’essenzialità delle cose che la dimensione virtuale in cui viviamo spesso ostacola. Scalare significa sempre salire per poi scendere, ritornando a se stessi.

Una scuola di vita, dunque.

La migliore. La montagna mi ha insegnato ad affrontare le difficoltà un passo alla volta, senza scoraggiarmi. Lassù impari ad avere pazienza, che non è passività. Cos’altro? Apprendi che bisogna aspettare il momento giusto per agire, festeggiando i successi senza temere i fallimenti. Ciascuno di noi è la sintesi di entrambi, però nella vita di tutti i giorni la paura di sbagliare ci mette addosso una pressione tremenda. Eppure se si guarda al fallimento da una prospettiva diversa ci si rende conto che non è poi così devastante: anzi, è un punto di ripartenza.

Bisogna essere spericolati per diventare un’alpinista come lei?

Assolutamente no. Per indole non cerco mai di scavalcare il muro del limite. Provo, invece, ad avvicinarmici un po’ alla volta. La montagna va affrontata sempre con rispetto e buonsenso, perché tanto vince sempre lei.

Nives Meroi e Romano Benet

Nives Meroi e Romano Benet

È stato l’alpinismo che ha fatto incrociare la sua strada con quella di suo marito Romano?

Sì, avevamo 18 anni e col pragmatismo tipico dei maschi, piuttosto che perdere tempo a cercare ogni weekend nuovi amici di cordata, dev’essergli sembrato più comodo avere una morosa con cui condividere questa passione!

Cosa vi ha dato la forza di andare avanti dopo quel terribile 2009?

La montagna, ancora una volta. All’epoca non sapevamo neppure se Romano sarebbe sopravvissuto, ma proprio la nostalgia delle scalate lo ha spinto a reagire. Dopo il primo trapianto di midollo è rimasto in isolamento 71 giorni gestendo quell’esperienza come si fa con le bufere fuori dal campo base: devi solo aspettare che passi, senza disperarti.

Quando e come siete ripartiti?

Nel 2014 siamo tornati sul Kangchenjunga, dove Romano aveva manifestato i primi sintomi della malattia, riprendendo la scalata da dove ci eravamo interrotti. Poi siamo passati alle altre montagne che ci mancavano. Mi piace pensare che in vetta con noi ci fosse anche il giovane sconosciuto che ha donato il midollo a Romano. Non dobbiamo mai dimenticare i doni ricevuti. Mai.

Sarà difficile ora trovare nuove motivazioni?

Saranno gli acciacchi a guidarci, ma certamente la montagna resterà parte integrante di noi. È un modo di vivere di cui non possiamo fare a meno, fosse anche una semplice camminata fra i boschi. E poi abbiamo in mente di scrivere un libro sulla nostra esperienza.

Lassù uomini e donne sono uguali?

L’alpinismo è un ambiente particolare, ma in realtà in tutti gli ambiti la vita delle donne è più difficile di quella degli uomini, e la loro voce meno ascoltata. Forse facciamo spesso l’errore di volerci adeguare a modelli maschili trascurando invece di coltivare quelle che sono le nostre caratteristiche, né superiori né inferiori, ma semplicemente diverse.

Si considera una donna di frontiera?

Vivo al confine fra Italia, Austria e Slovenia, ma le montagne sono gli unici muri che non dividono. Anche da questo punto di vista possono insegnarci qualcosa, no?

2 domande per capire

Cosa sono i 14 giganti?

In alpinismo si definiscono così le montagne che superano gli 8.000 metri di altitudine. Sono tutte comprese nel massiccio asiatico centrale. L’Everest (fra Cina e Nepal) e il K2 (diviso fra Cina e Pakistan) sono le più alte e famose. Delle 14 vette, 8 si trovano in Nepal.

Perché è così difficile scalarli?

Freddo e vento non sono l’ostacolo principale. Oltre i 7.000 metri di altitudine la rarefazione dell’aria rende quasi impossibile la respirazione ma soprattutto l’arrivo delle giuste dosi di ossigeno a cervello e muscoli. Per questo la salita senza bombole è riuscita a sole 29 persone: il primo a farcela, nel 1986, fu Reinhold Messner.

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