Il tumore mi ha segato le gambe, non i sogni

Per un cancro, Murat Pelit vive in carrozzina da 16 anni. Eppure scia, è un atleta paralimpico e di Coppa del mondo, fa mountain bike e wakeboard e viaggia con la sua compagna. L'abbiamo incontrato sulle piste di Livigno

Fino a che punto vivere su una carrozzina ti imprigiona e ti impedisce di essere come vorresti? È il fatto di non muovere le gambe che ti imbriglia in un’esistenza che non ti appartiene? O sei tu che ti lasci prendere dalla paura di non farcela e attribuisci alla disabilità il potere di definire come dev’essere la tua storia?

Un tumore che cambia la vita

Murat, che incontro sulle piste da sci di Livigno, vive sulla sua carrozzina da 16 anni. Ne ha 36 e ne aveva 22 quando scoprì di avere un tumore rarissimo all’osso sacro (10 casi al mondo), dalle dimensioni così eccezionali da renderlo unico per la scienza. Interventi chirurgici, complicazioni, lunghi ricoveri, sei anni di ospedale. Tanto, tantissimo per un ragazzo che avrebbe voluto seguire la carriera militare, che faceva marce da 50 chilometri, che voleva salvare gli altri e dedicare tutte le sue energie agli interventi in emergenza: terremoti, recuperi, disastri ambientali. Invece, dal suo letto d’ospedale ha prima dovuto pensare a salvare se stesso, e poi la sua famiglia, cioè i genitori e i tre fratelli, che si alternavano nelle cure e che, come in un’osmosi del cuore, donavano amore ma ricevevano da Murat presenza, incoraggiamento, sostegno.

La svolta dello sport estremo

Questo ragazzone di 90 chili, bello, così aperto ed empatico che te lo senti subito amico, ora è un atleta paralimpico. È ambassador di The North Face e VF Corporation e atleta di Coppa del Mondo. Fa parte della Nazionale svizzera di sci alpino, è arrivato ottavo agli ultimi mondiali e ha partecipato alle ultime paralimpiadi. Fa slalom gigante, super G e discesa libera. Poi d’estate MTB, wakebard e carabina, la sua ultima scoperta, che potrebbe proiettarlo all’ennesimo obiettivo: le prossime paralimpiadi di Tokyo del 2020. «La carrozzina per me non è mai stato un freno ma ciò che mi ha aperto al mondo dello sport estremo, a cui forse non sarei mai arrivato. Mi andava bene quello che già facevo, perché mi sembrava abbastanza per me: abbastanza coraggioso, abbastanza umano, abbastanza sfidante. E invece oggi mi sento ancora più “centrato” di prima proprio per il fatto che tutte queste cose le faccio senza poter usare le gambe».

Soul Running
1 di 5

Murat Pelit usa un monosci che con un attacco particolare si aggancia al sedile su cui l’atleta si fissa. Le gambe sono avvolte da una scocca su misura e il sedile è studiato ad hoc per lui, con un materiale antiurto e antitrauma.

Soul Running
2 di 5

Per curvare, gli sciatori disabili usano il busto e speciali bastoncini che hanno alle estremità un piccolo sci, con cui accompagnare la curva.

Soul Running
3 di 5

In gara Murat raggiunge i 120 km orari. Ha abbandonato lo slalom speciale, troppo pericoloso perché richiede grande destrezza nelle braccia, che dovrebbero essere libere di scostare i bastoncini.

Soul Running
4 di 5

Murat con alcuni dei suoi fan, tra cui la nostra giornalista che l’ha seguito sulle piste di Carosello 3000 a Livigno in una giornata speciale organizzata da The North Face insieme alla community Never Stop Milano.


Soul Running
5 di 5

Murat nella sua casa sulle montagne del Canton Ticino.

Il coraggio di cambiare prospettiva

La sua vita si è ridisegnata intorno alla malattia e alla convalescenza prima, alla lenta rinascita dopo. «Non ho mai pensato a come avrebbe potuto essere la mia vita senza quello che mi è capitato. La mia esistenza è questa, non posso barattarla con quella di nessuno perché ognuno ha la sua strada da percorrere. Ed è tutta sua, unica, indefinibile. Quando mi sono svegliato nel mio letto di ospedale, ho capito che non bastava voltare pagina, dovevo proprio cambiare libro e scrivere un’altra storia, la mia storia».

Il valore dello sport in carrozzina

La sua storia era comunque già un po’ speciale. Murat ha un nome turco, i suoi genitori infatti sono originari della Turchia ed emigrati in Svizzera prima della sua nascita. Di cognome fa Pelit, che suona tanto francese ma lui – dice – “sono svizzerissimo e italianissimo”. Abita (quando non è in giro a far gare) nel Canton Ticino, dove la sua mamma ha imparato a cucinare e a parlare italiano, che ha insegnato ai figli. Una vocazione familiare a spostarsi e a non esser figlio di nessun posto, se non di quello che ti fa stare bene. «Io sto bene dappertutto, mi basta la natura, poter fare sport e sentirmi padrone del mio corpo, di ciò che resta». Per questo Murat non si risparmia niente: prova lo sci sull’acqua, il parapendio, va a pescare, in campeggio, viaggia con la sua compagna e l’associazione che ha fondato (Ti-Rex), con cui aiuta i giovani con disabilità a fare sport. «Lo sport ti libera, ti carica di energia, ti fa usare il corpo: quella parte che ancora funziona, e a cui dobbiamo voler bene».

Difficile stargli dietro quando sfreccia giù per le piste di Livigno. Quattro curve, una nuvola di neve dietro, e lui è già giù che ti aspetta, pronto per ripartire tra una risata, una pacca sulla spalla e un pensiero sempre rivolto agli altri, a chi si trova in uno di quei tunnel che possono capitare a chunque nella vita, come quello che ha imboccato lui 16 anni fa. E che ora sta vivendo Manuel Bortuzzo, il nuotatore colpito per sbaglio da un proiettile e costretto in un letto senza l’uso delle gambe. A tutti loro, colpiti da quell’imprevisto che ognuno chiama come vuole – destino, sorte, disegno, caso – Murat dice: «Allargate il focus: non guardate la carrozzina, non fissatevi sui piedi, ma alzate lo sguardo. E guardate le montagne». Quelle vette spettatrici delle sue imprese, cornice meravigliosa di una vita degna di essere vissuta al meglio. Perché ognuno deve aspettarsi questo da se stesso, qualunque cosa accada.

Riproduzione riservata