Genitori, bambini e senso di colpa

Frasi e atteggiamenti che fanno sentire in colpa i bambini

Sensi di colpa, un peso che schiaccia e mina l'autostima

«Gliel’ho detto e ridetto, eppure lui continua a fare quello che vuole» spiega allarmato il genitore alle prese con il piccolo ribelle. Daniele Novara, pedagogista e direttore del Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti di Piacenza, ride sonoramente: la nostra mente è occupata dalla convinzione che il bambino faccia o dica cose per il puro gusto di contrastare chi ha di fronte, far preoccupare e agire senza criterio.

 

Pedagogia Nera

«Un bambino di due-tre anni non possiede gli strumenti per poter capire attraverso quella che riteniamo essere una spiegazione sensata e razionale” chiarisce l’esperto: «La cattiva comunicazione è legata alla colpevolizzazione del bambino. Abbiamo l’idea, negativa, che il bambino voglia agire in un certo modo per far tribolare, ovvero che dietro il comportamento esista un’intenzionalità oppositiva nei confronti dei genitori». Sgridare e punire… “altrimenti non capisce e prende i vizi”: davvero queste abitudini costituiscono una lezione utile per il bambino? «Teorie di questo tipo furono sostenute in passato, ma vengono disconosciute dagli studi attuali, tuttavia sono ancora vive e presenti nel pensiero comune». La considerazione dei bambini come esseri da correggere e raddrizzare, spesso a suon di botte, esprime una concezione dell’infanzia intrisa del senso di colpevolezza, macchia del peccato originale. Durante il Medioevo, nella tradizione giudaico-cristiana, il perverso meccanismo fra controllo, trasgressione e punizione genera una spirale di terrore, soprusi, violenza fisica e psicologica.

 

Il peso dei sensi di colpa

Sebbene gli studi sull’infanzia abbiamo preso nuove direzioni, nei comportamenti di tutti i giorni spesso cadiamo, anche inconsapevolmente, in convinzioni e prese di posizione radicate nell’inconscio. In realtà, regole eccessivamente rigide, castighi, punizioni e atteggiamenti di mortificazione continua impediscono al bambino di costruire radici solide, sviluppare autostima e sicurezza in sé. Katharina Rutschky, educatrice tedesca, e in seguito la psicoanalista Alice Miller, intorno agli anni Settanta introdurranno il concetto di Schwarze Paedagogik, pedagogia nera. La studiosa, che durante l’infanzia viene punita dalla madre con giornate fatte di silenzi interminabili, nel suo libro La fiducia tradita, scrive: «La bambina che cerca di capire la ragione del comportamento della madre lascia il posto a un’adulta che ha ormai rimosso i sentimenti infantili, ma si porta dentro il peso di quel senso di colpevolezza, di quel trattamento sadico e ingiusto, di quella mancanza d’amore».

 

La libertà di essere bambini

Il rovescio della medaglia, ovvero un rapporto genitore-figlio basato sull’idea della vicinanza, può essere altrettanto pericoloso. «Oggi desideriamo essere piacevoli» spiega Daniele Novara: «Un genitore vuole essere vicino al figlio, per questo punta sulla comunicazione. Dietro c’è l’idea che il bambino “deve capire”: “il mio bambino è molto avanti, può capire, il problema è che non mi ascolta”. Ma un bambino così piccolo come fa a capire? Nella logica per cui siamo diventati amici dei nostri figli desideriamo essere gradevoli e così facendo smettiamo di educare». Quali possono essere le conseguenze di un sistema educativo del genere? «Per esempio, il terzo anno generalmente corrisponde all’età delle arrabbiature: è normale che un bambino ogni tanto si butti per terra o faccia scenate. Come si può non accettare che un bambino abbia momenti di nervosismo e rabbia? Il grande errore è cercare di impedire ai bambini di essere bambini».

 

Psichiatrizzazione dei bambini

Esprimere emozioni come la rabbia o la tristezza costituisce un bisogno fondamentale, per grandi e piccoli. Ignorare una necessità profonda etichettando una fase del processo di crescita come problematica possiede notevoli rischi. Secondo i ricercatori del Kaiser Permanente, in California, l’incidenza di nuove diagnosi di ADHD nel 2010 ha registrato una crescita del 24%. Come reso noto dall’American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, il 90% dei bambini con diagnosi in età prescolare subisce cure farmacologiche, eppure i sintomi persistono. «La psichiatrizzazione dell’infanzia oggi è un problema, purtroppo, sempre più frequente» spiega Daniele Novara, che su questo tema sta costruendo il lavoro al centro del nuovo libro, la cui uscita è prevista per l’autunno.

 

Problema o fase della crescita?

«Sono tantissimi i bambini che vengono messi sul binario della disabilità a causa di disturbi della condotta valutati con diagnosi affrettate e supposizioni terroristiche: presi di mira da diagnosi neuropsichiatriche, non vengono aiutati a sviluppare risorse e non sono aiutati. Non possiamo diagnosticare che i bambini fanno i bambini!». Ciò che noi vediamo come un problema in realtà nasconde il diritto alla lentezza, a usare il proprio tempo: “Cerchiamo di di individuare il problema il più presto possibile, senza pensare che la patologia di frequente è semplice immaturità. Un professionista serio non diagnostica una disabilità in un paio di incontri».

 

Per maturare… c’è bisogno di tempo

«Litigare per il possesso di un oggetto fa parte dell’età. È attraverso il confronto con altri bambini che si impara a condividere, o rinunciare: non si ottiene lo stesso risultato con un discorso. Al contrario, gli urli possono condurre alla poca considerazione di sé e disturbi depressivi in adolescenza. “Stai fermo, non sudare, smettila! Hai capito? Non mi ascolti!”, ripetono i genitori preoccupati, usando gli urli come un senso di allarme continuo. Come dico sempre, anziché esserne orgogliosi dovremmo preoccuparci per un bambino che sa stare immobile per ore, a casa o al ristorante: stiamo creando un mostro. Inutile arrabbiarsi quando un bambino fa il bambino» conclude, sorridendo Daniele Novara: «Riappropriamoci dell’educazione dei nostri figli: non sono malati, ma semplicemente immaturi e questo è un vantaggio, non un problema: inutile colpevolizzarli perché sono sbagliati».

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