Come usare la tecnologia

Adolescenti e smartphone

L'adolescenza costituisce un momento evolutivo di profonda instabilità e la tecnologia rientra nel normale processo di allontanamento dei figli dai genitori. Abbiamo intervistato Daniele Novara: ecco come affrontare questo periodo così complesso

Adolescenti e tecnologia: un tema complesso, soprattutto quando di mezzo c’è un periodo di estremo cambiamento, una delle tappe più significative della nostra vita. Mentre viene approvata la legge sul Cyberbullismo e nelle scuole si moltiplicano le iniziative di protezione contro le cyber aggressioni, cresce la consapevolezza che nutriamo un profondo bisogno di capire, interrogarci, trovare nuovi strumenti per entrare in relazione con le evoluzioni del web e… degli adolescenti.

È possibile impostare un dialogo costruttivo e regole utili senza generare conflitti continui? Daniele Novara, direttore del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti di Piacenza, spiega: «Dialogo è una parola che non uso. Il problema dell’adolescenza e degli smartphone è una questione che va inquadrata nell’adolescenza: allontanarsi dai genitori, ecco l’elemento chiave che il genitore deve capire e che normalmente non capisce». Come spiega il semiologo Ivan Darrault, durante l’adolescenza la ribellione nasconde il bisogno profondo di rinascere da se stessi: sapere che ce la caveremo sulle nostre gambe. Dire no alle regole imposte e cercare la propria via nel mondo fa paura e al tempo stesso è elettrizzante. Cresce la voglia di stare da soli, pensare con la propria testa, agire senza l’appoggio degi adulti.

«L’adulto non accetta questo meccanismo si appella al dialogo nella logica della vicinanza. Il buon adolescente è quello che dialoga, il cattivo è quello che non dialoga. Non è assolutamente così! In tutti i casi l’adolescente, se funziona, vuole allontanarsi, dunque non ha nessun senso insistere sulla logica del dialogo. La cosa giusta per un adolescente è l’allontanamento dai genitori e dal nido infantile, che è rappresentato, sostanzialmente, dalla mamma. Pertanto noi, come genitori, dobbiamo gestire questo allontanamento, non opporci: questa è la base della mia pedagogia. Che l’adolescente voglia allontanarsi è un dato scontato dal punto di vista psico-evolutivo. La questione è che l’adulto deve imparare a gestire questo processo: se trattiamo l’adolescente come un bambino che fa il discolo è ovvio che non funzionerà mai».

Qual è il ruolo della tecnologia? «Nella logica dell’allontanamento gli smartphone diventano uno degli strumenti privilegiati, perché nella virtualità è ovvio che il genitore fa fatica a raggiungerti. Paradossalmente, sono i genitori più morbosamente attaccati ai figli ad avere maggiori problemi: prima di tutto perché sono più disponibili, quindi già alle scuole elementari hanno messo a disposizione uno smartphone in questa logica; inoltre, si tratta di genitori che sostanzialmente vogliono restare amici dei figli, quindi non vogliono andare a scontrarsi sulla questione del digitale. Un ulteriore motivo riguarda il fatto che tendenzialmente desiderano una condivisione con i figli piuttosto che col partner educativo e questo è un pasticcio. È importante sapere che il genitore deve gestire l’adolescente, non diventarne succube, soccobendo alle richieste nella logica della disponibilità. La disponibilità non è un concetto educativo: bisogna contenere senza diventare tirannici, senza diventare dispotici».

«L’adolescente si trova a vivere un momento di profonda instabilità emotiva e cerebrale: ha bisogno dell’arginamento degli adulti e non della loro acquiescenza.  Oggi abbiamo una generazione di genitori che vogliono essere in buoni rapporti con gli adolescenti, vogliono essere gradevoli piuttosto che educativi nella logica di agire regolativamente».

Smartphone e strumenti tecnologici diventano il riflesso di un problema più ampio, che riguarda l’approccio nei confronti dell’adolescenza. «Nel momento in cui tu ti poni come obiettivo di avere buoni rapporti con l’adolescente, magari spinto da una psicologia del dialogo, della benevolenza, dell’armonia, ecco che non metti più limiti alla virtualizzazione dell’adolescenza, non metti più alcun paletto: ti adegui semplicemente a quello che è un dispositivo cerebrale legato al piacere. È chiaro che un qualsiasi adolescente normodotato preferisca stare su un videogioco anziché passare il pomeriggio studiando, tuttavia se cerchiamo la soddisfazione immediata rinunciamo alla crescita autentica».

«L’atteggiamento corretto è non insistere sulla disponibilità, l’amicalità e la gradevolezza, bensì agire in funzione di creare delle regole: possono essere anche negoziate, il fatto è che rimangono essenziali. Prendiamo il caso della notte: nessun adolescente è in grado di andare a scuola il giorno dopo se durante la notte è stato sottoposto al bombardamento tecnologico di smartphone, tablet e supporti digitali; nessun adolescente è in grado di studiare se in contemporanea tiene acceso tablet, smartphone, ipad, ipod e tutto il resto. Quando non si agisce mettendo dei paletti prevale la logica del piacere assoluto, quindi “faccio quello che mi fa più comodo” ma rinuncio ai processi di crescita.

L’esempio conta? «Tenendo conto che un genitore su quattro fuma, come si dovrebbe comportare con i figli? È chiaro che non è d’esempio, però se ha buon senso cerca di mettere dei limiti, no? Un genitore collerico è ovvio che non è d’esempio con i figli, però si auspica che i suoi figli non diventino collerici come lui. L’esempio è un concetto religioso, non educativo. Ogni cosa a suo tempo, ecco il presupposto giusto da cui partire. Nei primi 3 anni d’età non dovremmo esporre i bambini ai videoschermi: cerchiamo di ricordarci che Steve Jobs non teneva computer in casa sua. Diverso è, invece il caso degli adolescenti, i quali possiedono competenze avanzate».

L’adolescenza costituisce un momento evolutivo di profonda instabilità, a livello cerebrale ed emotivo. Non sempre sono disagi, si tratta di passaggi che la vita riserva a qualsiasi essere umano. Tante problematiche non sono delle colpe, semplicemente sono dei momenti di crescita. Oggi si tende a cercare nei ragazzi lo sbagliato a tutti i costi, in realtà essi vivono il programma evolutivo proprio dell’età. Viceversa, è senz’altro sbagliato consentire una deriva virtuale sugli smartphone, tablet e quant’altro, anche di notte. Conosciamo il pericolo dei videogiochi per il sistema neurovegetativo. È chiaro che il genitore, pensando di fare la cosa giusta, non interviene, perché desidera essere moderno, dialogico, disponile, ma il risultato non è conseguente: i figli non mostrano di essere riconoscenti. Inoltre, passare troppo tempo sul binario sbagliato rischia di compromettere la crescita».

«Purtroppo la legge sul cyberbullismo non ha introdotto divieti nella vendita di dispositivi digitali ai bambini: oggi viene consentito a bambini di 8 anni di avere  strumenti per accedere liberamente al web e, allo stesso tempo, viene riproposto il solito schema, ovvero che è tutta colpa del genitore. Non è che i genitori vivano su un altro pianeta: vivono nel nostro mondo. È importante attuare un cambiamento e non si può certo dire che la nostra società stia aiutando i genitori nei loro compiti educativi. L’educazione resta sempre un argomento all’ultimissimo posto».

 

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