Avigan: perché in Italia non si usa ancora

Via alla sperimentazione anche in Italia di Avigan, il farmaco anti COVID-19 in uso in Giappone. Ma ci sono limiti e controindicazioni

In poche ore ha fatto il giro del web: un video nel quale si parla dell’Avigan, un farmaco che sarebbe usato in Giappone per curare i contagiati da coronavirus e che, secondo l’autore di un filmato pubblicato su Facebook e diventato virale in poche ore, in Italia non avrebbe ancora ottenuto l’autorizzazione per interessi economici. Pronta la risposta dell’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco, che ha annunciato il via alla sperimentazione. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha confermato, ma dalla stessa azienda produttrice è arrivato un invito alla cautela: «Non esistono prove scientifiche cliniche pubbliche che dimostrino l’efficacia e la sicurezza di Avigan contro COVID-19 nei pazienti» ha scritto in una nota Mario Lavizzari, senior director di Fujifilm Italia, che ha sviluppato il farmaco.

Cos’è l’Avigan?

«Favipiravir (nome commerciale Avigan) è un antivirale autorizzato in Giappone da marzo 2014 per il trattamento di forme di influenza causate da virus influenzali nuovi o riemergenti e il suo utilizzo è limitato ai casi in cui gli altri antivirali sono inefficaci». Così l’AIFA con una nota ufficiale ha chiarito cosa sia l’Avigan, precisando anche che «Il medicinale non è autorizzato né in Europa, né negli USA». È invece in uso in Giappone a livello sperimentale nelle terapie contro il COVID-19.

Quando si usa in Giappone?

1. Per casi specifici

«Premesso che non è un farmaco sconosciuto neppure da noi, in Giappone è registrato e in uso, ma solo nei casi influenzali che non rispondono alle normali terapie, e in sperimentazione per altri virus, come ad esempio quello responsabile della West Nile» spiega il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano. Fujifilm Toyama Chemical ha infatti previsato che il medicinale «è stato approvato come farmaco anti-influenzale e deve essere somministrato a coloro che sono stati infettati da una nuova influenza o dal riemergere delle infezioni del virus dell’influenza, quando un altro farmaco antinfluenzale non funziona. Il farmaco deve essere fornito solo a discrezione del Ministero per la Salute, il Lavoro e il Welfare in Giappone (Health, Labour and Welfare Ministry in Japan)».

2. Nelle fasi iniziali della malattia

«L’uso che se ne fa in Giappone è interessante, ma soprattutto e limitatamente alle fasi iniziali della malattia. Va detto, infatti, che solo in questo paese è stato approvato, mentre negli USA è nella fase 3, ossia quella che precede la registrazione. È possibile che abbia degli effetti positivi nella cura contro il coronavirus, i cinesi l’hanno usato, è una delle tante molecole che si possono sperimentare così come noi ne usiamo altre. Ma sicuramente è una fake news che ci sia qualche interesse oscuro nel non immetterlo nel mercato: semplicemente non è stato sperimentato» dice Pregliasco. 

L’agenzia cinese Xinhuanet, lo scorso 17 marzo ha comunicato che, dopo un trial clinico condotto a Shenzen, è stato approvato l’uso del farmaco per trattare la polmonite da nuovo coronavirus. L’8 marzo, inoltre, è stato avviato un nuovo studio in Cina (su 150 partecipanti) per valutare l’efficacia del Favipiravir in combinazione con Tocilizumab (il farmaco anti artrite reumatoide attualmente studiato per il COVID-19) e dei due farmaci somministrati separatamente. La ricerca si concluderà però a maggio.

L’efficacia è limitata perché:

1. Lo studio clinico non è controllato

Al momento, però, l’AIFA ha chiarito che non c’è alcuna evidenza scientifica sull’efficacia: «Sebbene i dati disponibili sembrino suggerire una potenziale attività di Favipiravir, in particolare per quanto riguarda la velocità di scomparsa del virus dal sangue e su alcuni aspetti radiologici, mancano dati sulla reale efficacia nell’uso clinico e sulla evoluzione della malattia» spiega l’Agenzia del Farmaco in una nota, spiegando anche che lo studio che ne avrebbe provato la validità «non è uno studio clinico controllato, ci potrebbero essere inevitabili distorsioni di selezione nel reclutamento dei pazienti». Insomma, ci sarebbero ancora troppe lacune.

2. Utile solo nelle primissime fasi della malattia

Tra i limiti sottolineati dall’Agenzia del Farmaco c’è il fatto che l’efficacia si sarebbe dimostrata solo «in pazienti con COVID-19 non grave e a non più di 7 giorni di insorgenza», dunque nelle primissime fasi di comparsa della malattia. Per questo in Italia sarebbe stato preferito il lopinavir/ritonavir, anch’esso non autorizzato per il trattamento del contagio da coronavirus, ma somministrato in uso compassionevole: «Sono farmaci autorizzati per altri usi, i cosiddetti Off Label, ma sperimentati contro il COVID-19 nei casi più critici, dietro consenso del paziente dove possibile, oppure come salvavita» spiega Pregliasco.

Le controindicazioni

Dopo una prima autorizzazione in Giappone, però, il farmaco era stato però tolto dal mercato per alcune controindicazioni, come la depressione e la malformazione dei feti nelle neomadri, come riferito da Pio D’Emilia, corrispondente di Sky Tg24 da Tokyo. Con lo scoppio dell’epidemia è invece stato reintrodotto, anche se non è in commercio.

Ora si sperimenta anche in Italia

Dopo le polemiche l’AIFA ha annunciato da lunedì 23 marzo nuovi test. Con che tempistiche? «Solitamente per la sperimentazione e l’autorizzazione possono volerci anche 4/5 anni. In questo caso, data l’emergenza, si potrebbe scendere a 6 mesi o qualcosa in più, non tanto per vincoli burocratici, quanto per i tempi tecnici legati alle verifiche di sicurezza» conclude Pregliasco.

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