Infanzia in Siria
Questa foto fa parte di The Dream Diaries, progetto realizzato da 4 giovani creativi in collaborazione con l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati

Quand’è che abbiamo dimenticato i bambini?

Il 20 novembre è la Giornata dell’infanzia. Una data che nel 2020 ha ancora più significato: perché, lontani da scuola e amici, i nostri figli stanno perdendo preziose conquiste del passato. Fondamentali per il loro futuro

Giocare, andare a scuola, correre all’aria aperta. Essere accuditi, ascoltati e sentirsi liberi di esprimere un’opinione. Finora davamo per scontati questi diritti per i nostri bambini. Invece sono conquiste frutto di un lungo percorso approdato 31 anni fa a una Convenzione Onu ratificata da 194 Paesi e recepita in Italia nel 1991.

Per ricordare questo traguardo, il 20 novembre si festeggia la Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che in questo 2020 ha ancora più significato: da noi, all’aggravarsi della situazione economica delle famiglie, si sono aggiunte le ricadute sui 9 milioni di studenti per la chiusura delle scuole, le difficoltà della didattica a distanza e il confinamento a casa. «La ricorrenza ci ricorda gli obblighi che i “grandi” hanno preso nei confronti dei minori» spiega la sociologa dell’infanzia Marina D’Amato. «Impegni che si possono riassumere in 4 principi fondamentali: i bambini hanno gli stessi diritti, senza distinzione di sesso, lingua, religione; il loro interesse ha sempre la priorità; i governi devono tutelare la loro vita e il loro sano sviluppo; vanno ascoltati nelle decisioni che li riguardano».

Ieri i bambini erano proprietà della famiglia, sfruttati ed educati con severità

Il primo riconoscimento ufficiale è del 1924, quando l’Assemblea generale della Società delle Nazioni approva un documento dove si parla esplicitamente di “diritti dei bambini”. Non era mai accaduto nella storia, segno che almeno in Occidente si comincia a guardare ai bambini in modo nuovo. «Non più oggetti di proprietà della famiglia, quando non addirittura un peso, da educare con la paura e le botte; non più sfruttati, mandati a lavorare nei campi o in fabbrica già a 5-6 anni, lasciati nell’analfabetismo o abbandonati. Ma una risorsa, un bene prezioso del quale gli adulti devono prendersi cura» spiega la sociologa D’Amato.

Nel ’900 il governo italiano che per primo si dedica a organizzare tutti gli aspetti della vita dei bambini, dalla nutrizione all’igiene, dall’istruzione all’attività fisica, è quello fascista. «L’obiettivo era formare una generazione di uomini e donne alfabetizzati, sportivi, in salute, avviati al lavoro» continua la sociologa. «La scuola e gli insegnanti assumono un ruolo centrale nella vita dei minori. E per molti di loro questo significa uscire definitivamente da una condizione di miseria e sfruttamento».

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Con il secondo dopoguerra e una nuova pedagogia nutrita anche di esempi come quelli di Maria Montessori e Don Milani, unita a un più diffuso benessere, la condizione dell’infanzia fa un balzo in avanti. «Una legge del 1959 vieta una volta per tutte il lavoro minorile, l’obbligo scolastico viene portato fino a 13 anni e, nel 1954, nasce la Tv dei ragazzi. Non è un accostamento irrispettoso: vuol dire che è cambiata la cultura, che c’è una maggiore attenzione verso le nuove generazioni».

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Oggi i bambini sono un bene prezioso, da esibire con narcisismo

Le sfide, però, non sono finite: l’emergenza Covid, oltre ad aggravare e aumentare le situazioni di disagio sociale tra i minori, ha messo in difficoltà l’intera comunità educante. Nel suo nuovo libro I bambini sono sempre gli ultimi (Bur), Daniele Novara sottolinea come la pandemia abbia reso più evidente un problema che, in modo sommerso, c’è da tempo: la difficoltà di tanti genitori e delle istituzioni ad ascoltare i bambini e metterli in grado di ricevere una “buona educazione” che li aiuti a crescere autonomi, sereni, resilienti e resistenti al mondo che li circonda.

«Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito a un crescente narcisismo degli adulti» dice Novara. «Educare un figlio richiede un atteggiamento di devozione, di generosità assoluta. I bambini non sono un trofeo da esibire con gli amici e sui social, con loro occorre creare buone esperienze, organizzare regole educative. E, invece, soprattutto allargando lo sguardo dalla famiglia alla politica, sembra che ci stiamo dimenticando di loro e dei loro bisogni fondamentali. Lo abbiamo visto anche nella gestione dell’emergenza sanitaria: la chiusura delle scuole, l’indifferenza al diritto di muoversi, di giocare con gli amici e di stare all’aperto, sono bruttissimi segnali che ci parlano di un Paese che si è dimenticato dell’infanzia».

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Domani i bambini saranno risorse fondamentali per l’Italia

Secondo il pedagogista, l’assenza di politiche decisive a favore della famiglia, di una equa retribuzione femminile e di servizi fondamentali come il nido, ricade sui minori. «In Italia una donna su 4 rinuncia alla maternità per tutti questi motivi. È un dato preoccupante ma i correttivi ci sarebbero: per esempio, l’istituzione di un bonus pedagogico per i genitori da usare nei momenti in cui c’è bisogno di formazione o consulenza nelle diverse tappe di crescita dei figli, così come l’asilo nido gratuito e la scuola dell’infanzia obbligatoria. Sarebbero le risposte giuste di un Paese che ha a cuore i bambini e i loro diritti, li ascolta, se ne occupa e, così facendo, pensa al futuro».

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Il progetto fotografico The Dream Diaries

Le immagini che vedete in queste pagine fanno parte di The Dream Diaries, progetto realizzato da 4 giovani creativi in collaborazione con l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati. Viaggiando per 7.000 chilometri attraverso l’Europa, il team formato da 2 fotografi, un grafico e un videomaker ha incontrato e “visualizzato” digitalmente i sogni di 12 giovani profughi che hanno lasciato i loro Paesi di origine – dalla Siria all’Afghanistan, alla Somalia – per cercare una vita migliore nel nostro continente (www.unhcr.org/dream-diaries).

Foto di © Fetching_Tigerrs/UNHCR/ Gerald Kelsall/iko

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