Scuola chiusa e Dad: i ragazzi recupereranno il tempo perso?

I ragazzi e gli insegnanti protestano contro le chiusure delle scuole. Una pedagogista spiega come sarà possibile recuperare la didattica e la socialità persa da alunni e studenti

Anita, ad appena 12 anni, è riuscita ad attirare l’attenzione sulle difficoltà dei ragazzi. Si è messa seduta, con banco e un portatile, davanti alla sua scuola media chiusa, a Torino, e da lì segue da giorni le lezioni in didattica a distanza. Lo fa per protesta ed è diventata simbolo del comitato Priorità alla scuola, esteso al movimento School For Future, che richiama i Friday For Future. Ma non c’è solo Anita: come lei anche Pietro, 18 anni, e Simone di 17, con indosso le cuffie e in mano uno smartphone seguono le lezioni a distanza davanti al loro liceo, il Galileo Galilei a Firenze. Qui il 17 novembre la professoressa Maria Angela Vitani ha spiegato fisica ai suoi studenti fuori dal Liceo scientifico Castelnuovo, mentre a Faenza Gloria Ghetti ha tenuto la sua lezione di storia nel cortile del Liceo Torricelli Ballardini. «La forza della scuola è la presenza» spiegano Pietro e Simone. Intanto nelle Regioni rosse, dove il contagio è più alto, e dove le ordinanze locali hanno portato a chiudere le scuole, molti genitori temono che i figli, terminata l’emergenza, dovranno recuperare con più studio e impegno.

La scuola non è solo didattica

«La didattica a distanza o integrata è già stata usata, anche in passato, ed è tuttora attiva anche in altri paesi. Esistono anche università che offrono lauree interamente tramite e-learning, ma la scuola non è solo istruzione. La didattica a distanza può rappresentare una soluzione temporanea in un momento di emergenza: davanti a uno schermo possiamo apprendere nozioni o competenze tecniche, ma non possiamo riprodurre la comunità fatta di rapporti e relazioni, di comportamenti che concorrono all’apprendimento. La scuola è un microcosmo della società che aiuta bambini e ragazzi a diventare a cittadini e persone adulte» osserva Maria Angela Grassi, pedagogista e psicologa, presidente dell’Associazione nazionale pedagogisti italiani (ANPE).

Si dovrà o potrà “recuperare”?

«Una delle domande che genitori e anche insegnanti mi rivolgono più di frequente in questo periodo è: si potrà recuperare? È difficile rispondere, ma bisogna partire da due presupposti: intanto eccedere nel catastrofismo rischia di produrre effetti ancora più negativi sugli stessi giovani che stanno già scontando lockdown e chiusura delle scuole. Ai genitori, quindi, suggerisco un atteggiamento positivo e proattivo. D’altro canto non dimentichiamo che bambini e ragazzi hanno risorse inimmaginabili, di cui possiamo accorgerci nella quotidianità, da risposte verbali o comportamentali. Ma possiamo anche prendere ad esempio il passato, con la generazione di chi ha vissuto la guerra da giovanissimo o personaggi come Liliana Segre e molti altri. Noi oggi viviamo una situazione per certi versi terribile, ma la guerra è stata anche peggiore ed è durata diversi anni. Deve confortarci l’idea che si tratta di un periodo forse più lungo rispetto alle previsioni iniziali, ma che potrebbe terminare nell’arco di alcuni mesi, anche alla luce delle notizie positive sull’arrivo di possibili vaccini» spiega la pedagogista.

Ma per farlo occorrerà un maggiore sforzo e impegno da parte di alunni e studenti? «Penso che dal punto di vista dell’apprendimento si potrà recuperare, anche se certamente sarà necessario un certo impegno da parte di tutti, insegnanti compresi, che dovranno lavorare sia sul piano didattico che su quello emotivo» dice l’esperta.

In Italia le ore di didattica a distanza sono poche

Al momento una delle preoccupazioni maggiori riguarda la didattica a distanza. Non tutte le scuole si sono organizzate per avere un orario scolastico completo: spesso, soprattutto negli istituti pubblici, ci si limita a poche ore al giorno. Per chi è a casa in isolamento o quarantena, poi, sono rari i casi nei quali è previsto un collegamento per poter seguire in diretta le lezioni seguite dagli altri compagni in classe. Spesso sono gli insegnanti che, su propria iniziativa, dedicano un’ora o due del proprio tempo libero a chi è costretto a casa.

La dad può essere fatta bene, bisogna organizzarsi e formarsi

Veronica, originaria della Liguria e ora in Florida per motivi di lavoro con la famiglia, comprese le figlie di 10 e 13 anni racconta che la didattica a distanza può essere fatta bene, basta organizzarsi: «Fin da quando le scuole hanno riaperto in presenza a settembre, qui a Miami è stata data la possibilità di seguire le lezioni in presenza oppure, per chi aveva paura di contagi o altre difficoltà, da casa: l’orario scolastico è identico, dalle 8 del mattino alle 15, con la pausa pranzo. Gli insegnanti sono stati formati la scorsa primavera-estate e le scuole sono state dotate di strumenti che permettono i collegamenti. Non capisco perché non si possa fare anche in Italia, utilizzando le piattaforme e le competenze già conosciute nei mesi scorsi, anche adesso. Penso, ad esempio, ai casi di allerta meteo che proprio in Liguria sono frequenti in questa stagione. Oltretutto, questo sistema permettere di non perdere giorni di scuola anche ai ragazzi che sono in isolamento o quarantena».

I genitori non devono sostituirsi agli insegnanti

«Nei casi in cui non viene prevista una didattica integrata, il rischio reale è quello di un doppio vuoto, sia didattico che psicologico. Nel primo caso, la tentazione di molti genitori potrebbe essere quella di sostituirsi agli insegnanti, ma io lo sconsiglio. È giusto rispettare le professionalità per questo non ritengo che l’home schooling sia la soluzione ideale, nonostante sia presente in altri Paesi e sia cresciuto anche in Italia, specie dopo la prima ondata di pandemia. Ciononostante, se un bambino o un ragazzo lo dovesse chiedere, offrire il proprio aiuto non è sbagliato. Insomma, non ci si improvvisa maestri o professori, ma supportare i figli che fossero in difficoltà non è sbagliato» spiega Maria Angela Grassi. In caso di difficoltà, invece? «L’ideale sarebbe poter rimanere in qualche modo collegati con i compagni, seppure tramite uno schermo: è vero che è un palliativo, ma almeno permette di non sentirsi del tutto isolati. È giusto sfruttare le potenzialità della tecnologia, soprattutto perché oggi ci possiamo parlare e vedere – anche se a distanza – gli amici, mentre in passato le uniche possibilità era rappresentate dalle lettere o, in tempi già più moderni, dai telefoni» ricorda l’esperta.

Bambini piccoli e adolescenti i più vulnerabili

Ma chi sono i giovani più penalizzati sia sul piano didattico sia su quello sociale e psicologico?«Sicuramente quelli che sono all’inizio del percorso scolastico, in prima elementare: vivono un passaggio molto importante, dopo l’esperienza della scuola dell’infanzia, si ritrovano spesso a conoscere nuovi compagni e in questa situazione formare nuove relazioni sociali è più difficile. Per questo si è cercato di tutelarli, evitando la didattica a distanza, salvo situazioni estreme. Si trovano anche a dover restare seduti per molte ore, quindi privi di quel movimento a cui erano abituati. Ma non vanno dimenticati neppure gli adolescenti. L’adolescenza è il periodo dei primi amori e innamoramenti, e delle amicizie anche fuori dalla scuola, dove l’approccio fisico è fondamentale e invece per ora manca. Però vorrei rassicurare: anche in questo caso penso che ci sarà tempo per recuperare, bisogna essere fiduciosi ricordando che gli esseri umani hanno un grande senso di adattamento e sono in grado di trovare le risorse per affrontare anche situazioni del tutto nuove».

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