Come riconoscere (e combattere) il bullismo

Imparare a distiguere tra contrasti tipici dell’adolescenza e vere sopraffazioni è fondamentale. Per identificare i carnefici. E aiutare le vittime

Perché oggi c’è tutta questa attenzione al bullismo? Sono davvero aumentati i casi? Secondo una ricerca Doxa Kids del 2016, il 35% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni ha dichiarato di essere stato vittima di episodi di bullismo. Nel 2012 la percentuale era dell’8%. Cosa ha portato a questa escalation? «Bullo e vittima sono 2 facce estreme della stessa fragilità, oggi molto diffusa» commenta Matteo Lancini, psicoterapeuta dell’età evolutiva e presidente della Fondazione il Minotauro.

Un nuovo stile educativo?

«Gli stili educativi dei nuovi genitori sono più morbidi ed empatici. Una volta un figlio era abituato a essere criticato e rimproverato dagli adulti: nella nostra società l’assenza di frustrazioni, l’essere oggetto di continue attenzioni che alimentano il narcisismo dei tanti figli unici, insieme a un contesto sociale individualista e competitivo, hanno prodotto un mix che, con l’adolescenza, può diventare esplosivo. Il vero problema di molti ragazzini è essere popolari, avere successo. E se non ci riescono con lo studio, la bellezza o lo sport, scivolano verso l’aggressività. Contro gli altri e contro se stessi».

Fin dove deve spingersi un genitore?

Il papà di Mugnano (Na) che ha postato su Facebook la foto del figlio pestato dai coetanei ha fatto discutere. E riflettere: fino a dove è giusto che si spinga un genitore per proteggere il figlio? «Il problema non è l’interventismo degli adulti, ma l’eccesso di emotività: se un padre o una madre vanno a scuola a minacciare i bulli o gli insegnanti, come a volte accade, si esaspera solo il problema. Dopo la sfuriata, il genitore se ne va pensando di aver fatto il proprio dovere, ma chi rimane ad affrontare i commenti e le reazioni dei compagni sono il ragazzo e i docenti» dice Matteo Lancini. «Questo comportamento spesso determina la grande sconfitta della lotta al bullismo: i violenti restano in classe, la vittima cambia scuola».

Tredici e gli altri: 3 letture per approfondire


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Tredici, di Jay Asher (Mondadori) Sono 13 i motivi del suicidio di Hannah Baker, raccontati su delle cassette spedite ai compagni “colpevoli” dopo la sua morte. Bestseller in Usa, 13 reasons why è anche una serie tv su Netflix che sta facendo molto discutere.


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L’universo nei tuoi occhi, di Jennifer Niven (DeA) Lui è Mr Popolarità, lei lotta contro i chili di troppo e le offese a scuola. Cosa li unirà? Una storia d’amore. 


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Il posto più pericoloso del mondo, di Lindsey Lee Johnson (Bompiani) Affrontare la scuola e i cyberbulli può essere un incubo. 

Un bambino educato in casa al rispetto dei deboli e dei diversi può trasformarsi in un bullo a scuola?

«È raro che ragazzini così diventino veri e propri carnefici» dice Mario Pollo, docente di Psicologia sociale e delle nuove dipendenze all’università Lumsa di Roma. «È più facile che manchi loro il coraggio di prendere le distanze dai violenti e che quindi diventino conniventi, in qualche modo bulli 2 volte: perché fanno da pubblico al violento – che ha sempre bisogno di una claque – e non prendono posizione, non denunciano per viltà. A quell’età è naturale aver bisogno dell’approvazione del gruppo di amici, ma arrivare a “stare al gioco” per non essere presi di mira a propria volta è una codardia inaccettabile. Anche nei loro confronti, quindi, la sanzione di scuola e famiglia deve essere implacabile, altrimenti i principi con cui è stato cresciuto perdono significato».

Come fare a distinguere tra bullismo e screzi tipici della preadolescenza?

«Il bullismo ha caratteristiche precise: è un accanimento verso un individuo identificato come “debole”, ripetuto nel tempo e che, soprattutto, richiede un pubblico, cioè i compagni e gli amici» dice Matteo Lancini. «A moltissime bambine è capitato di tirarsi i capelli fin dalle scuole elementari, a moltissimi ragazzini è capitato di spingersi o sputarsi addosso. Si tratta di gesti su cui gli adulti devono dire la loro, ma che fanno parte dell’incapacità di contenere e riflettere tipici dell’età: gesti che possono scaturire quando un gruppo di adolescenti passa molte ore nello stesso ambiente. E che possono diventare occasioni di crescita perché è solo imparando a reagire a una piccola angheria o a uno scherzo di cattivo gusto che, da ragazzi, si può diventare più forti e capaci di farsi rispettare, senza l’aiuto degli adulti».

Quale limite dovrebbe porsi la scuola nel segnalare e censurare in classe gli episodi?

I docenti come possono gestire queste tensioni? «Oggi da una parte gli insegnanti sono pressati da genitori troppo “interventisti” che si lamentano per qualsiasi screzio, dall’al- tra si trovano di fronte a episodi di bullismo conclamato senza sapere come affrontarli» spiega Micaela Crespi, docente e collaboratrice dell’associazione Pepita Onlus che, da anni, fa prevenzione nelle scuole su questo tema. «A caso esploso, dovrebbero chiedere un aiuto professionale. Posso garantire che, nella gran parte dei casi, quando noi entriamo in classe e affrontiamo l’argomento direttamente con i ragazzi, loro sanno anche risolvere i problemi da soli, spesso chiedendo scusa. Ai genitori consigliamo sempre di comprendere la vera entità dell’episodio e a insegnare ai figli a difendersi, a rispondere, a reagire».

Bullismo e suicidi tra i giovani sono correlati?

«A volte purtroppo sì» dice lo psicoterapeuta Matteo Lancini. «Se un ragazzo viene sopraffatto dalle offese dei compagni violenti, può decidere di smettere di andare a scuola e convincersi che la sua omosessualità o il suo aspetto fisico lo rendano un diverso. Se per un video finito sui social network una ragazza viene massacrata a colpi di insulti dai coetanei, può arrivare a convincersi che la sua vita è segnata, che non potrà più avere delle amiche, un fidanzatino. È proprio il pensiero di essere in un vicolo cieco, è l’idea ossessiva che nulla cambierà mai ad alimentare, a questa età, pensieri estremi». Secondo l’Istat i suicidi di adolescenti sono il 10% dei circa 4.000 casi annuali nel nostro Paese. E in Europa sono diventati la seconda causa di morte dei giovani dopo gli incidenti stradali.

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